Recensione: "Il giardino degli eterni" di Lauren DeStefano

Creato il 26 maggio 2011 da Lauragiussani
Titolo: Il giardino degli eterni
Autore: Lauren DeStefano
Editore: Newton Compton
Data uscita: 7 aprile 2011
Pagine: 368
Prezzo: 14,90 euro
Rhine Ellery, sedicenne, sa già che le restano pochi anni da vivere. Un disastroso esperimento genetico volto a creare la specie perfetta ha fi nito per distruggere l’umanità, che ora è condannata a una vita brevissima: 25 anni per gli uomini e 20 per le donne. Gli scienziati stanno cercando un antidoto, mentre il crimine e la povertà si diffondono a macchia d’olio, nelle strade si aggirano orfani disperati e le ragazze vengono rapite e vendute come mogli. Anche Rhine viene strappata all’amato fratello gemello e venduta a un uomo, Linden. Ma la ricchezza e i privilegi che lui le offre finiscono per accecarla... Fino al giorno in cui Rhine fa una scoperta raccapricciante: nella cantina della lussuosa dimora dove vive sono custoditi, in bare di vetro, dei corpi umani. Rhine raduna tutto il suo coraggio e tenta la fuga. Ma la strada è lunga e impervia, e il mondo è ancora in preda al caos e alla distruzione. E presto sarà troppo tardi per tutti.

RECENSIONE: Deludente inizio di una trilogia caratterizzato da una trama poco convincente, personaggi privi di spessore e un'ambientazione molto confusa(Attenzione: Spoiler!)

Ebbene sì, solo due stelline per questo libro tanto atteso e nel quale riponevo molte speranze. Meglio dirlo chiaro e subito perché, viste le numerose recensioni positive che ho letto in giro, ci tengo ad anticipare che la mia sarà di tutt’altro avviso.
“Il giardino degli eterni” di Lauren DeStefano è un romanzo che tenevo d’occhio già mesi prima che uscisse, incoraggiata dal grande successo ottenuto all’estero e affascinata – questo senza dubbio – dalla copertina. Una delle più belle, sul serio, certamente di questa prima metà del 2011 e forse anche dell’intero anno passato. Ma una bella cover non basta, da sola, a fare di un libro una lettura memorabile, o quanto meno piacevole. Attira, questo sì…illude…e poi, nel mio caso, delude.
Come molti altri romanzi usciti di recente la storia è ambientata in un futuro distopico, dove le nuove generazioni – frutto di esperimenti genetici volti a rendere gli esseri umani più forti e resistenti alle malattie – scoprono di dover pagare un caro prezzo: la drastica riduzione dell’aspettativa di vita. Quello che passa sotto il termine “Virus”, colpisce infatti tutte le ragazze di vent’anni appena compiuti e i maschi di venticinque, portandoli nel giro di qualche settimana alla morte. E’ in questo senso che la quarta di copertina riporta la dicitura “Che cosa faresti se conoscessi il giorno esatto della tua morte?”
Devo dire che l’inizio non è stato male, le premesse sembravano buone. Poi, dopo qualche decina di pagine, la storia ha preso una piega inaspettata che davvero non è riuscita a convincermi e ha tirato dritto in quella direzione fino alla fine. A mio avviso è un romanzo molto confuso…va bene essere in un futuro completamente diverso dal nostro, ma sembra che la stessa autrice non sappia come descriverlo, come illustrarlo al lettore. Perché “Il Virus” colpisce le ragazze cinque anni prima dei ragazzi? Mistero! Cosa sappiamo del mondo in cui vive Rhine? Ben poco. La descrizione del mondo esterno è abbozzata e indistinta, qualche considerazione avvolta nella nebbia che – se possibile – peggiora la situazione.
L’inizio, dicevo, mi è piaciuto. Bella l’immagine di queste ragazze segregate al buio, anche se la DeStefano ha calcato un pochino la mano (il lettore si immagina questo gruppo di ragazze rinchiuse lì dentro da una vita, tanto che perdono il contatto con la realtà…ma non è propriamente così). Cito testualmente “Siamo al buio da così tanto tempo che abbiamo perso il controllo delle nostre palpebre. Dormiamo ammucchiate come animali”…e poi ancora “Siamo state in silenzio per troppo tempo”… “usciamo con passo incerto, come se ci fossimo dimenticate come si usano le gambe”. Ebbene, sembra che ci abbiano passati mesi se non anni, lì dentro, quando poi invece si scopre che si è trattato solo di poche ore! Può starci la paura, quella sì, e un po’ di smarrimento. Ma da qui all’immagine di eterne segregate ne passa.
Nelle prime pagine del libro Rhine abbozza un piccolo quadro del suo mondo, che però si limita di fatto alla storia della scarsa longevità e alle vari possibili tipi di destino per una qualsiasi ragazza. Il resto rimane fumoso, veramente solo accennato. Sappiamo di essere nel futuro, ma quanto il mondo si sia nel frattempo evoluto – nel bene e nel male – non è ben chiaro. Il lettore non può fare altro che racimolare dettagli e tentare di ricostruire uno schema che l’autrice avrebbe dovuto illustrare fin dall’inizio. Ci sono ancora i cinema, le automobili, e molte altre cose.…carino l’uso intensivo degli ologrammi (piante in giardino, meduse e fondali dell’oceano in piscina). Proprio per questo non capisco la “distanza” col nostro secolo: Rhine ne parla come un passato lontano, lontanissimo, che sembra non riesca nemmeno a immaginare. Questa è una cosa che mi è già capitata di recente: leggere libri ambientati in un futuro nel quale i personaggi sono affetti da una sorta di “reset” del passato, quasi ignari della vita del nostro tempo. Lo trovo assurdo. Io non sono certo vissuta nel 1700, ma so come vivevano. Possiamo addirittura dire di sapere – anche se con meno certezza – come viveva l’uomo di Neanderthal…e Rhine (o altre protagoniste di libri simili a questo, vedi “Matched” di A.Condie piuttosto che “Delirium” di L.Oliver) passano metà del tempo a chiedersi come era la vita prima, manco fossero dei robottini creati da zero, senza storia né passato.
Ad ogni modo, la narrazione si sposta ben presto all’interno dell’immensa tenuta che sarà – piccole e brevi eccezioni a parte – la sola ambientazione della vicenda, fino alla fine del libro. Quindi, dopo aver dato una vaga, vaghissima descrizione del mondo esterno, l’autrice si “rintana” – è proprio il caso di dirlo – in una realtà infinitamente più piccola. Più piccola, e più facile da tenere sotto controllo e da gestire…ma, ahimè, altra delusione. E’ solo l’abbozzo di un albergo: chi va, chi viene, i corridoi, stanze, ascensori e cucine. Un panorama piatto, che ben presto annoia, insomma.
La caratterizzazione dei personaggi è a malapena sufficiente. Il fatto che potrei riassumere ognuno in due righe e non avere nulla più da aggiungere ne è una dimostrazione. Sono spesso insipidi e senza spessore. La stessa Rhine meritava un’analisi più approfondita; Gabriel è quasi inesistente, Linden insipido. Cecily solo leggermente fastidiosa, Rowan lo sa il cielo perché viene spesso menzionato e il Vaughn è il classico cattivo di turno. Le uniche figure che ho veramente apprezzato sono quelle che – manco a farlo apposta – vanno incontro a una rapida dipartita, vale a dire Rose e Jenna.
La narrazione è in prima persona singolare, tanto per cambiare. Il lettore vive quindi nella testa della protagonista femminile, tanto per cambiare. Spero vivamente di ritrovare una sana terza persona singolare, nelle mie prossime letture, perché davvero vedere libri impostati nello stesso identico modo a lungo andare stufa, stufa molto. A maggior ragione in questo, dove la prima persona singolare poteva tranquillamente essere evitata: Rhine continua a non emergere, spesso mette in fila una serie di avvenimenti quasi stesse leggendo la lista della spesa…non si avverte la sua presenta, le sue emozioni. I ragionamenti, i piani di fuga, quelli sì…ma per il resto è apatica, non comunica molto come personaggio.
Sorvolo sulla sua (pseudo-inesistente) storia con Gabriel: accennata e inconcludente, due occhiate e tre parole in tutto. Mi sembra sia stata davvero campata per aria, lui poi è un personaggio che più piatto e insulso di così proprio non si può.
Anche sul fronte della coerenza, il racconto scricchiola non poco. Più che il giardino degli eterni mi è sembrato “il giardino dei poco furbi”: si ha l’impressione che le ragazze si sentano più in trappola di quanto non lo siano veramente. Insomma, non è un carcere di massima sicurezza, per cui evitiamo di dipingerlo come tale. Poi ci sono le incongruenze…un esempio? Le telecamere. Grazie alle congetture di Rhine abbiamo appurato che anche in quel mondo esistono le telecamere (quando pensa alla possibilità di essere ripresa a una delle feste, e far sapere così al fratello che è ancora viva). Poi però nel “carcere” ecco che gironzola a piede semi-libero, arrivando addirittura nei sotterranei (idem Jenna), terrorizzata al pensiero di essere beccata da Vaughn. Se il tutto è davvero così sotto controllo come l’autrice vuole far credere, come minimo ci sarebbero telecamere in ogni dove, sugli ascensori, nei sotterranei e nelle stanze delle ragazze! Cioè, da una parte la DeStefano vuole far passare un certo messaggio (la protagonista che vive un dramma esistenziale, segregata come poche), ma dall’altra si rifiuta di rendere il tutto credibile (vedi ad esempio telecamere) perché ovviamente imporrebbero pesanti limiti alle azioni consentite (niente chiacchierate con Gabriel, niente bacio, minifughe nel sotterraneo e via dicendo). Da questo punto di vista, ho avuto pertanto l’impressione che l’autrice volesse la botte piena e la moglie ubriaca. E ciò che ne risulta è, almeno per la sottoscritta, una visione distorta e poco credibile della storia.
La fuga finale, che poi è ciò a cui gira attorno Rhine praticamente fin dall’inizio del libro, invece di essere un evento eclatante passa anch’essa in sordina. Non dice nulla, non emoziona, riduce ai minimi termini la poca curiosità rimasta. Penso sia evidente che la storia non mi ha convinta, che la lettura mi ha lasciato ben poco e che i personaggi non hanno suscitato in me l’interesse aspettato, tanto che posso dire fin d’ora di non avere particolarmente voglia di sapere cosa ne sarà di Rhine e Gabriel.
Riconfermo le due stelline per l’inizio di questa trilogia che – per quanto mi riguarda – è già arrivata al capolinea.

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