Pubblicato da Francesca Rossi
Cari lettori Vorrei presentarvi un libro intenso e particolare, intriso dell’atmosfera degli anni immediatamente precedenti alla fondazione dello Stato di Israele (1948). Non è un libro facile, non è una lettura per passare il tempo, perché nei tre racconti di cui si compone c’è tutta la fatica, l’amarezza, le speranze e il passato dei pionieri ebrei che si avventurarono in Palestina scappando da difficili situazioni politiche e sociali. Nell’opera è resa tutta la complessità della loro nuova vita mentre sullo sfondo, le lotte tra arabi ed ebrei per la spartizione del territorio e il ruolo ambiguo degli inglesi assumono una forma sempre più netta e vivida. Una guerra ancora oggi non definitivamente chiusa, che ha dato vita a delicatissime situazioni diplomatiche, accordi più o meno rispettati, promesse non sempre mantenute, giochi strategici e ha causato troppi morti da una parte e dall’altra
La storia di questo primo racconto ruota attorno ad una festa data dall’Alto Commissario sul Monte del Cattivo Consiglio e a cui i coniugi Kipnis sono invitati come ricompensa per un tempestivo aiuto medico dato da Hans alla cognata dell’Alto Commissario. Sarà proprio durante quel ricevimento che si decideranno i destini di Hans, Ruth e Hillel. A causa di una decisione improvvisa, istintiva ma tragica per questa piccola famigliola. Sullo sfondo del racconto, oltre alla presenza degli arabi che tentano di cacciare gli ebrei, ci sono gli inglesi. Il loro atteggiamento diplomatico è ambiguo e paternalista. Un passo interessante del libro, pronunciato dal governatore di Gerusalemme, rende l’idea della delicata della scaltrezza politica degli inglesi e della situazione complicatissima che si stava prospettando in Palestina:
“Se veramente si fosse realizzata a Gerusalemme quella profezia d’amore fraterno tra le fedi diverse queste non avrebbero perso tempo prima di cacciare via di qui gli inglesi…Ma noi inglesi crediamo da sempre tanto nei miracoli, quanto nei precedenti, e la Terra Santa è abituata ai primi, mentre l’idea di un ménage à trois non è del tutto campata in aria qui a Gerusalemme: cosi noi continueremo comunque ad aleggiare sulla Palestina in veste di Spirito Santo, ruolo per il quale nessuno è più adatto di noi”.
Tutti i personaggi della storia, anche quelli secondari, sono degli sconfitti. I loro sogni si sono frantumati contro la dura terra della Palestina e loro stessi vivono di ricordi, in una amarezza e in una nostalgia a cui non possono porre alcun rimedio se non continuare a vivere, anzi a sopravvivere. Per capire bene il significato di tutti e tre i racconti, consiglio ai lettori di andare a leggere le tragiche vicende che hanno portato gli ebrei, in special modo quelli dell’Europa Orientale, a migrare verso la Palestina. Inoltre nel libro ci sono dei termini chiave per la storia degli ebrei in Palestina, come “Libro Bianco”, “Agenzia Ebraica” e “Theodor Herzl”. Avendo una generale conoscenza di questi termini sarà più facile entrare nello spirito e nelle vicende di questi pionieri. Alla fine della recensione vi propongo un miniglossario con alcuni di questi nomi, una specie di piccola guida che potrete approfondire ancora meglio su Internet o sui libri di Storia.
Nel secondo racconto, “Il Signor Levi”, l’ambientazione è sempre la stessa, ma il punto di vista appartiene a Uriel Kolodny, anche questa volta un bambino sveglio, in bilico tra la realtà e le sue sagge riflessioni, i dialoghi interiori con se stesso. I suoi genitori, personaggi a tratti non molto simpatici, non sono le vere figure di riferimento di Uriel. Per lui, infatti, esiste solo Efraim, un ragazzo più grande, elettricista e ideologo, cosi è definito nel racconto. Efraim è un tipo sveglio, un membro della resistenza in lotta contro gli inglesi, giudicati tiranni che occupano la terra del popolo ebraico, un personaggio misterioso che affascina Uriel, il quale lo considera la sua guida, il suo idolo. Il bambino sembra quasi “plagiato” da questo ragazzo che talvolta lo tratta con sufficienza ed è alla perenne ricerca della sua approvazione. Arriva perfino ad essere geloso delle amanti di Efraim, tra le quali, forse, si nasconde la sua stessa madre. A tal proposito il racconto è esplicito solo riguardo all’innamoramento di Efraim nei confronti della madre di Uriel; non sappiamo se il sentimento sia ricambiato e se addirittura i due siano amanti. Uriel vorrebbe prender parte ai segreti dei grandi, misteri che riguardano la Resistenza e la rivolta contro inglesi e arabi e in cui anche i suoi genitori sono coinvolti. Il suo sguardo di fanciullo consapevole ci restituisce il ritratto realistico della Gerusalemme che si preparava alla guerra decisiva, con un misto di malinconia, tristezza dei giorni passati e la ferma convinzione che la nascita dello Stato d’Israele sia la volontà di Dio e che anche gli inglesi debbano prenderne atto:
“…Dimostrargli quale tremendo torto era stato fatto al popolo d’Israele. Addurre prove dalla Bibbia. Raccontare delle sofferenze ebraiche. In fondo loro erano padroni di continenti e di innumerevoli isole, noi solo di una minuscola porzione di terra, cui non avremmo rinunciato”.
L’altra figura centrale del racconto è il padre di Efraim, il poeta Nehamkin, che assume il ruolo di “profeta” della resistenza. Anche questo personaggio è enigmatico, parla attraverso un linguaggio forbito, poetico, che vuole incendiare gli animi nascondendo nella ricercatezza delle parole l’odio verso gli “usurpatori” della terra.
In questo secondo racconto gli inglesi rappresentano il potere oppressore che condiziona la vita degli ebrei attraverso le armi, le intimidazioni ed il coprifuoco. Sono i “disprezzati”, soldati solo a tratti umanizzati. "Il signor Levi", che dà il titolo al racconto, è una figura misteriosa che fa capolino nella storia solo alla fine; un personaggio evanescente di cui non si può parlare per sicurezza, che entra in casa Kolodny come un’ombra e come tale ne esce. Potrebbe essere il capo della Resistenza ebraica, ma il lettore, come lo stesso Uriel, non lo sapranno mai con certezza. I genitori di Uriel arrivano addirittura a negare davanti al loro figlio che il signor Levi sia mai esistito, o che sia mai entrato in casa loro. Per Uriel, piccolo, coraggioso combattente senza divisa, né armi, né esercito, le bugie imbarazzate dei suoi genitori sono la prova che qualcosa di nuovo si prepara all’orizzonte e, benché deluso da questa esclusione immotivata che lo riporta alla sua dimensione di bambino, Uriel crede fermamente che il suolo che sta calpestando appartenga al popolo ebraico e nessuno possa impedirlo. Il terzo racconto “Nostalgia” si distanzia dagli altri, in quanto il punto di vista è di un adulto, il dottor Emanuel Nussbaum. Inoltre questa è la storia più delicata ed intimista del libro, poiché il protagonista è malato e sa che molto probabilmente non arriverà a vedere la fondazione dello Stato di Israele. Anche la forma epistolare del racconto è un punto di stacco rispetto alle altre due storie: il dottore, infatti, scrive lettere alla sua amata Mina, con cui ha avuto una relazione ormai finita. E’ molto toccante vedere la debolezza fisica e anche caratteriale di Emanuel paragonata al carattere deciso, concreto e spartano di Mina. Nel racconto, poi, ritornano alcuni personaggi delle storie precedenti: la famiglia Grill, Efraim, il dottor Kipnis e anche Uriel. Quest’ultimo stavolta è l’amico e l’allievo del dottor Nussbaum, che prova verso di lui un affetto paterno e cerca di insegnargli i rudimenti di chimica. L’ambientazione è la stessa degli altri due racconti, il quartiere gerosolimitano in cui i pionieri ebrei si trovano a vivere le loro vite, ad aspirare agli stessi ideali e a difendersi dagli stessi pericoli. Il dottor Nussbaum vorrebbe servire concretamente la causa sionista, aiutare la Resistenza e l’Agenzia ebraica con i suoi studi, ma sa che il suo nemico più grande, il tempo, non gli permetterà di farlo liberamente. La sua vita scorre inesorabile verso la fine e il suo più grande desiderio, tenuto accuratamente nascosto tra le pieghe dell’anima, è quello di rivedere Mina. Il protagonista è rassegnato, osserva la realtà intorno a lui come se ne fosse già completamente fuori, ma questo non gli impedisce di avere uno sguardo lucido, attento e limpido sui fatti storici che stanno portando verso la guerra:
“…Il “Times” di Londra metteva in guardia i sionisti dall’intraprendere mosse…che si sarebbero rivelate fatali e suggeriva loro di arrivare a una revisione realistica delle proprie aspirazioni, capire…che l’idea di uno stato ebraico avrebbe condotto a un bagno di sangue. Bisognava escogitare un’altra soluzione, che potesse essere accolta anche dagli arabi. Il giornale non propugnava…la rinuncia al progetto sionista…solo le tronfie aspirazioni politiche dei capi dell’Agenzia ebraica erano avventate”.
Il libro di Amos Oz è una riflessione profonda su quei giorni di tumulto e d’attesa che portarono ad un durissimo scontro con gli arabi e alla proclamazione della nascita dello Stato d’Israele. L’autore privilegia l’uso delle descrizioni dettagliate, poiché vuole che il lettore “senta”, percepisca i sentimenti, i pensieri, l’esistenza stessa di questi uomini che affrontarono condizioni avverse in nome di un ideale. In queste narrazioni non c’è azione, il ritmo non è sostenuto, non c’è suspence. Tutto questo non serviva ad Oz e nemmeno ai suoi personaggi. Il ritmo stesso ricalca lo stile di vita in Medio Oriente e le ore lente e infuocate dei giorni a Gerusalemme. Ho già detto che Il Monte del Cattivo Consiglio non è un libro di facile lettura, proprio per l’argomento trattato; ora aggiungo che proprio questo è il suo punto di forza. Non si poteva ridurre, comprimere o adattare ai gusti dei lettori una questione storica di tale portata e complessità. La difficoltà, dunque, non sta nello stile del libro, o nel suo linguaggio. Per questo lo consiglio non solo a chi si intende un po’ di storia ebraica o ha affrontato per motivi di studio il conflitto israelo-palestinese, ma anche a chi non si è mai interessato all’argomento. La difficoltà è facilmente superabile approfondendo il tema (anche in corso di lettura) e avendo subito chiaro che l’opera racconta di persone normali, li riprende nella loro quotidianità, senza sensazionalismi o colpi di scena e che il punto di vista è quello sionista. Non troverete un saggio storico obiettivo e super partes, né riferimenti esplicativi a persone e fatti storici, la cui conoscenza è data per scontata. Sarebbe, però, un peccato non leggere Il Monte del Cattivo Consiglio e perdere, cosi, un libro interessante, ben costruito e anche l’occasione per approfondire un tema ancora attualissimo