Autore: Valentina D’Urbano
Editore: Longanesi
ISBN: 9788830431140
Numero pagine: 319
Prezzo: € 14,90
Voto:
Trama:
In un luogo fatto di polvere, dove ogni cosa ha un soprannome, dove il quartiere in cui sono nati e cresciuti è chiamato “la Fortezza”, Beatrice e Alfredo sono per tutti “i gemelli”. I due però non hanno in comune il sangue, ma qualcosa di più profondo. A legarli è un’amicizia ruvida come l’intonaco sbrecciato dei palazzi in cui abitano, nata quando erano bambini e sopravvissuta a tutto ciò che di oscuro la vita può regalare. Un’amicizia che cresce con loro fino a diventare un amore selvaggio, graffiante come vetro spezzato, delicato e luminoso come un girasole. Un amore nato nonostante tutto e tutti, nonostante loro stessi per primi. Ma alle soglie dei vent’anni, la voce di Beatrice è stanca e strozzata. E il cuore fragile di Alfredo ha perso i suoi colori. Perché tutto sta per cambiare.
Recensione:
Un romanzo che descrive la vita degradata e spietata delle periferie nella morsa di droga e delinquenza può essere una pietra miliare, come è stato Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. Proseliti e imitatori ne sono la diretta conseguenza, è naturale. Ma a distanza di anni, e in una fase in cui l’editoria italiana è invasa da libri-spazzatura spesso e volentieri provenienti da concorsi patetici o peggio da case editrici a pagamento è sempre buona norma andare con i piedi di piombo e stare attenti a quello che capita di leggere.
In questo caso, una trama apparentemente accattivante che mette l’amicizia prima della denuncia sociale mi era sembrata un buon punto di partenza: stavolta mi sono sbagliato.
Alfredo è il classico ragazzaccio cresciuto senza madre, nell’indifferenza dei fratelli e sotto le botte del padre alcolizzato. In Beatrice, invece, sono evidentissimi i tratti tradizionali di una Mary Sue (qui e qui per i particolari), quelli di due delle tipologie più diffuse: la crocerossina salvifica che fa di tutto per salvare il suo ragazzo e la ghetto-girl sboccata e trasandata. Entrambi i personaggi dominano la trama, mettendo in ombra tutti gli altri e impedendo alla narrazione di scorrere con i dovuti dettagli: ecco allora che mancano descrizioni che sarebbero state importanti, e il libro si infittisce di domande lasciate irrisolte e argomenti accennati in modo impreciso e sommario.
Perché dunque una valutazione più alta del normale?
Per un dettaglio che viene affrontato nel romanzo, in modo inaspettatamente lucido e consapevole: quello dei rapporti umani.
Le situazioni difficili sono ovunque, e per quanto ci si impegni per staccarsi dalle proprie origini di solito ci si riduce a indossare una maschera di normalità per coprire i propri difetti e potersi concedere qualche ora di fuga. È più unico che raro imbattersi in un’altra persona e trovarsi come davanti a uno specchio, sentirsi compresi per quanto le circostanze possano essere avverse, avere qualcuno con cui condividere i momenti belli e brutti: per questo, al di là dei capitoli marysueschi o eccessivamente ripresi da altri libri, la storia di Alfredo e Beatrice ha anche i suoi paragrafi positivi. Quando l’autrice scantona nell’originalità, concentrandosi sul loro essere considerati “gemelli”, raggiunge i punti più alti del romanzo. I due amici condividono tutto, con quel loro modo di fare aspro e scontroso, anche quando l’amicizia si trasforma in qualcosa in più che loro non si diranno mai, incapaci di ammetterlo anche a se stessi.
E il momento più toccante, quello più crudelmente realistico, è quando si rendono conto di essersi persi molto prima di dirsi addio: ci sono momenti in cui, per quanto bene ci si voglia, si arriva a un punto in cui troppe decisioni sono già state prese, e continuare senza accettare la realtà non farebbe che trasformare l’amicizia in odio. Anche se accettarla significa arrendersi, rassegnarsi, distruggere un legame che sembrava indissolubile e alla fine una vita stessa. Dopo, non resta che un ricordo fatto di “avrebbe potuto essere”, in cui si risentono ancora gli echi e il rumore dei passi di chi, concretamente o no, se ne è andato.
Il romanzo non si chiude con note di speranza o di redenzione: qui chi proviene da una situazione disagiata è destinato a rimanerci, asserragliato in un mondo chiuso che non dà spazio ad altre uscite, come se fosse condannato a sopravvivere in qualche modo solo tra i suoi simili.
E, a ben pensarci, è un po’ quello che succede nelle vite per così dire “normali”, giorno dopo giorno: i diversi e gli emarginati fanno branco, ma le storie di solitudine vanno oltre. Perché l’amore è pur sempre amore, e non conosce distinzioni di sesso o luogo. È solo più o meno impossibile da coltivare.