C’è chi la neve la adora (ciao, tu) e chi non la può sopportare. E poi c’è chi – in letteratura, ma non giurerei sia solo un parto della fantasia – la neve la sa interpretare.
Che abbiate sentito raccontare del libro o che vi siate goduti gli scenari nordici del film omonimo, ne “Il senso di Smilla per la neve” giganteggia una protagonista convincente, pienamente disegnata, persino conturbante: Smilla Qaavigaaq Jaspersen (preparatevi a una successione di nomi impronunciabili) è una ragazza che, dopo una infanzia legata ad una madre inuit groenlandese, ha trovato faticosamente nella capitale danese la sua nuova dimensione. A riportarla alle origini è l’incontro con Esajas, un bambino anch’esso inuit la cui morte, attribuita a un incidente, non convince affatto.
È l’evento che darà il via ad una indagine, ovviamente non autorizzata, dal ritmo incalzante, perfettamente calibrato fra l’intenzione di proporre un romanzo dai toni thrilleristici e la volontà di raccontare una struttura sociale che, da meridionali europei, abbiamo sempre immaginato perfetta. Chi non ha in mente lo stato sociale nordico, l’accompagnamento all’uomo, le opportunità sanitarie, i bonus alle coppie che creano una famiglia? Ecco, Hoeg spazza via tutto e concentra l’attenzione sull’assorbimento degli inuit, snaturati nella loro condizioni di “prophetae in patria” e costretti ad uno stanziamento prontamente esistenziale.
Venato da una ironia sottile e molto piacevole, “Il senso di Smilla per la neve” è un romanzo cardine nella moderna letteratura nordica, non a caso inserito nella lista dei 1001 libri da leggere e caratterizzato da una serie di riflessioni e pensieri della splendida protagonista. Sento il dovere di regalarvene alcuni, anche per sottolineare quanto lo stile di Hoeg sia particolare e intrigante al punto da costringere a non abbandonare mai la lettura, e diventare in qualche maniera parte del romanzo stesso.
Alfonso d’Agostino
Le citazioni:
“I coltelli che ho in casa sono abbastanza affilati da aprire le lettere. Tagliare una fetta di pane è quasi al limite delle loro possibilità. Io non ho bisogno d’altro. Nelle brutte giornate mi capita spesso di pensare che ci si può sempre mettere in bagno davanti allo specchio e tagliarsi la gola. In tali occasioni è bello avere l’ulteriore sicurezza di dover andare prima dal vicino a farsi prestare un coltello decente.”
“I fiocchi sono come piccole piume, e la neve è così, non necessariamente fredda. Ciò che avviene in questo istante è che il cielo piange su Esajas, e le lacrime si trasformano in piume di ghiaccio che si posano su di lui. E’ l’universo che in questo modo gli stende sopra una trapunta affinché lui non debba mai più avere freddo.”
“Cantor illustrava ai suoi allievi il concetto di infinito raccontando che c’era una volta un uomo che possedeva un albergo con un numero di stanze infinito, e l’albergo era al completo. Poi arrivò un altro ospite. L’albergatore spostò allora l’ospite della stanza numero uno nella numero due, quello della numero due nella tre, quella della tre nella quattro, e via di seguito. Così la stanza numero uno rimase libera per il nuovo ospite.
Ciò che mi piace di questa storia è che tutti coloro che vi sono coinvolti, gli ospiti e l’albergatore, considerano normalissimo compiere un numero infinito di operazioni perché un ospite possa trovare pace in una stanza tutta sua. E’ un grande omaggio alla solitudine.”
SCHEDA LIBRO
Autore: Peter Hoeg
Titolo: Il senso di Smilla per la neve
Traduzione: Bruno Berni
Editore: Mondadori
Collana: Oscar Mondadori
Pagine: 480
ISBN: 978-8804613176