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Recensione “Il vuoto intorno” di Claudio Volpe

Creato il 26 marzo 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Simona Postiglione «Sono uno zoppo che cammina nella vita con passo sbilenco, sciancato, uno zoppo che procede per tentativi, cercando appigli ai quali sorreggersi, corrimano lungo i quali far scorrere i palmi durante la discesa. Zoppico: è un dato di fatto e non voglio negarlo. Anzi, ne sono orgoglioso come sempre lo si deve essere guardando quello che si è, la propria essenza, debolezza, forza, bellezza. Amo zoppicare perché avere un passo traballante e precario, la consapevolezza di non potercela fare da solo, ti obbliga a cercare quel po’ che ti manca negli altri».
Dal Blog Just Humanity, di Claudio Volpe

Così scrive in una pagina del suo Blog Claudio Volpe, autore di Il vuoto intorno — suo romanzo d’esordio — pubblicato in II edizione il maggio scorso da Edizioni Arnodest.


Una definizione di sé — zoppo — che mi ha colpito, forse perché anche il mio è un passo claudicate e, alzando lo sguardo, è stato facile riconoscere la stessa andatura nell’umanità: sbilenca, sciancata, zoppa. Chi più e chi meno, procediamo tutti per tentativi, cercando di non restare a terra troppo a lungo quando ci finiamo — perché cadiamo, oh sì, cadiamo e ci facciamo male continuamente. Spaventati dal dolore, restiamo il più delle volte immobili, in attesa dell’agognato cambiamento, dimenticando che questi può avvenire solo guardando a noi stessi e gli altri con onestà: forza e fragilità ci legano gli uni agli altri, ed è fondamentale accettare questo legame e abbracciarlo con maggiore comprensione e indulgenza. Con amore. Recensione “Il vuoto intorno” di Claudio Volpe

Titolo: Il vuoto intorno Autore: Claudio Volpe Prefazione: Dacia Maraini Editore: Edizioni Arnodest Pagine: 272 Prezzo: 15,00 Euro Genere: Narrativa moderna Trama: Morte. Rinascita. Cadere. Rialzarsi. Un ragazzo padre e suo figlio Down. Il racconto di una vita. Il racconto di una storia fatta di buchi e di vuoti, di cadute, di assenze che si sovrappongono e puzzano d’insignificanza. Un padre che sfoga i suoi istinti frustrati sulle prostitute raccattate per strada. Una madre debole, fragile, alcolizzata, autolesionista, suicida. L'amore con una zingara dei nostri giorni in fuga dall'amore pedofilo e incestuoso di suo padre. La fuga verso la speranza, il viaggio alla ricerca di se stessi, del proprio valore, della propria storia. Il desiderio di distruggersi, di lasciarsi coprire dal male, di reificarsi. La prostituzione di un uomo in cerca del peccato. La possibilità di rinascere, di sconfiggere il male, di far tremare il vuoto prendendolo a morsi. La storia di come si può perdonare, morire e rinascere. La storia di come si può ancora amare nonostante tutto il male del mondo.

RECENSIONE Il tema dell’amore, dell’accettazione si sé e della solidarietà sconvolge i sensi. La nostra umanità è un dono immenso, per il quale si sono spese parole e se ne spendono, senza mai trovare completo appagamento. Prevale la sensazione di non avere detto abbastanza, di non avere letto a sufficienza. Il Vuoto intorno è la storia di un uomo che nasce, vive, precipita e poi rinasce, senza mai realmente morire a se stesso. La storia di Achille è di una Loredana fra tante, di Franco, di Graziella, di un Michele qualunque; con le dovute distinzioni, posso dire che è la storia di ciascuno di noi. Cambiano i luoghi, i protagonisti, gli eventi e le ragioni che innescano la sofferenza fisica ed emotiva, ma il dolore e lo sforzo di elaborarlo, il senso di non appartenenza, la paura e il vuoto sono gli stessi. La ricerca spasmodica dell’amore, della consapevolezza di sé e del proprio valore, è il collante che spinge a riemergere ancora e ancora, ogni qualvolta il male ci spinge in basso, fino a toccare il fondo. Classe 1990, Claudio Volpe è un esordiente che sa scrivere. Lo stile narrativo è delineato, la scrittura è densa, fitta, trascinante. Il suo è un linguaggio ricco di parole che s’imprimono nell’animo e, non di rado, il loro eco resta e fa riflettere anche quando si è sospesa la lettura. Parole che incalzano e s’intrecciano; sembrano quasi prendere forma, dando l’impressione di poter toccare con mano l’evento, o l’emozione. L’autore dimostra una notevole capacità introspettiva e d’immedesimazione nel dolore che provano i protagonisti, e la complessità dell’animo umano traspare nel non detto dei personaggi: il mistero emozionale s’intuisce, ma non si racconta fino in fondo. Achille nasce in una famiglia ridicola, con un destino già segnato: suo padre non c’è mai stato, la sua assenza e l’incomunicabilità fra loro saranno a lungo una costante del loro rapporto, mentre sua madre — tradita, disillusa e distrutta dalla mancanza d’amore del suo matrimonio — ha affogato la disperazione nell’alcol. Il protagonista, ancora bambino, smette di considerare un padre suo padre, senza aspettarsi più nulla da lui, e assiste impotente alla caduta rovinosa della madre, debole e incapace di dire o fare nulla.
«Lei mi voleva con sé per sempre ed eternamente nello sfiorire della sua vita. Era ossessionata dalla mia presenza e mi voleva cucito a lei come fossi l’ombra del suo corpo scarno nella quale lei potesse riflettersi nei momenti di bisogno. Mi voleva come sostegno nel suo disperato e puerile tentativo di levarsi di dosso la merda che le era arrivata fino al collo e che ormai rischiava di entrarle in gola e soffocarla».
Achille è figlio del vuoto e il vuoto è nato con lui. L’assenza d’amore in una famiglia ha spesso conseguenze terribili che trasbordano le pagine di un romanzo, inondando quelle della vita reale; può condizionare lo sviluppo emotivo, castrare la percezione di sé e del proprio valore come individuo, limitare la capacità di fidarsi e di guardare all’altro con empatia, ostruendo i canali della condivisione. Tuttavia, più o meno consapevolmente, si rimane aggrappati alla speranza di colmare il vuoto emozionale, proprio in virtù del bisogno viscerale di ricevere e dare amore. Un istinto primordiale, come un gene marchiato nell’anima che rende possibile risalire dal fondo buio, anche quando il dolore farebbe auspicare la resa. Non arrendersi al dolore, accettarlo per quello che è ― con il suo insegnamento ―, e rinascere. Lo fa Romeo — l’angelo di pietra —, lo scultore di cui sua madre s’innamora ricambiata e con il quale impara a fare ciò che non era mai riuscita a fare prima, amare se stessa; e lo farà Achille, dopo essersi rotto più volte nella vita, perdendo parti di sé e della propria storia. Claudio Volpe affronta temi importanti come quello della famiglia e dell’affermazione personale, in un contesto sociale che tende a soffocare l’individualità; parla della forza trascinante dell’amore, che da solo è in grado di risollevare un’esistenza allo sbando, tratta dell’eutanasia, dunque della morte, e dell’egoismo che spesso dimostriamo di fronte ad essa. Il cuore di Achille è un luogo incerto, a volte ospita i passanti come fossero pezzi della sua carne e altre volte li lascia fuori, al gelo di un mondo senza amore; sua madre vi ha avuto accesso e quando cade in uno stato vegetativo, senza possibilità di recupero, il suo disperato bisogno d’amore gli impedisce di lasciarla andare. Liberarla avrebbe significato condannare se stesso a una sofferenza più grande del tempo sospeso, in attesa di un risveglio che ― lo sapeva ― non sarebbe mai avvenuto. L’amore però è dare, consegnare alla pace la persona per la quale viviamo. E le persone, seppure da noi amate, sono del mondo e della vita, non nostre. Non possiamo vantare nessun fantomatico diritto di proprietà su di loro. Quando Achille arriva a comprendere questo e si sente pronto, qualcun altro l’ha preceduto: Romeo libera la donna che ama, restituendole quella dignità nascosta cui tutti abbiamo diritto, consegnandola a una felicità che sa di eterno. La vita è un tuffo esiziale, un tuffo nella luce, un tuffo nell’amore, un tuffo nella pace. Un tuffo nel vuoto. Così facendo, Romeo libera anche se stesso e l’ultimo tuffo ― nel vuoto ―, deprecabile per la maggior parte di noi, sarà un gesto d’amore che solo chi è in groppa alla soglia che separa la vita dalla morte, può davvero comprendere. Come superare il male che offusca i pensieri e atrofizza le membra stringendoci in un angolo della vita? Come un pugile sopraffatto dall’avversario, costretti all’angolo da colpi inesorabili e dolorosi, senza apparente via di fuga, alziamo le braccia a difesa, aspettando una reazione istintiva o misurata che ci liberi, Achille trova una scappatoia, si fa carico della sofferenza altrui: inizia a lavorare in un centro che ospita disabili mentali e assorbendo il loro dolore anestetizza il suo. La ricerca della strada maestra, il tentativo di ricongiungersi con la parte più profonda di se stessi e di dare un valore alla propria esistenza, ricordando che non siamo soli nel dolore, che possiamo donare l’uno all’altro un po’ di conforto, di coraggio e la speranza, anche se spesso si tratta solo di rimandare il confronto con il vuoto che abbiamo dentro e che ci circonda. Siamo soli quando veniamo al mondo, quando moriamo e quando siamo chiamati a guardarci dentro, nessuno può decidere per noi come e quando riemergere dal torpore, ma c’è sempre qualcuno o qualcosa che può riaccendere il desiderio di risollevarci. L’incontro con la madre di suo figlio — Chefka, una zingara dei giorni nostri — è prima salvifico, poi distruttivo, e infine definitivamente salvifico perché il loro amore ha segnato la continuità della vita con Ettore, il figlio Down di Achille. Due vite spezzate dal dolore e un incontro, il loro, che disegna per un tratto troppo breve una linea retta.
«Se viviamo senza amore per la vita finiamo per schiavizzare noi stessi e la nostra felicità. Diveniamo stupidi codardi che rinunciano a vivere per la paura di soffrire. La vita è tutto l’opposto: ci chiede di imparare a soffrire per vivere, ci chiede di andare a cercare noi stessi il dolore, e di combatterlo così da poter essere liberi di essere felici. Felici da vincitori. Liberi di non aver paura».
L’amore di Achille per Chefka è stato un amore incosciente, come scrive l’autore, perché troppe volte la coscienza diventa la nostra prigione, il macigno che pesa sulle nostre spalle e ci allontana dal nucleo pulsante della vita. Perché, mi domando? Rispondete voi lettori: perché? Una volta ho ascoltato un’intervista a Giorgia — la cantante —, diceva che la paura frega a ciascuno di noi metà della vita. Paura di scegliere ciò che ci fa stare bene, liberandoci dalle infrastrutture che ci hanno piazzato sulle spalle ancora prima di emettere il primo vagito; paura di accogliere l’altro e di farci stringere in un abbraccio, paura di esprimere i nostri pensieri, le opinioni. Paura di vivere. Ora — ringraziando il cielo — non siamo tutti vittime del dolore e, comunque, ognuno reagisce al vuoto intorno in modo personale, ma siamo fragili e, chi prima e chi dopo, siamo destinati a fare i conti con il desiderio di fuggire da questa debolezza. Meraviglia delle meraviglie, è proprio la nostra fragilità che può salvarci: riconoscendola, accettandola, plasmandola con l’argilla dei buoni sentimenti che accende la speranza e la solidarietà. Credo che Claudio Volpe abbia uno spirito libero e battagliero, intriso d’ideali ed entusiasmo, lo stesso che anima molti giovani sognatori e — considerati i tempi bui in cui viviamo — credo che i suoi contenuti e il suo modo di comunicarli siano la strada giusta per ricercare una profondità che resti, legandoci gli uni agli altri senza pretese, senza apparenze.
«L’amore è quella voglia di dire, nell’istante che separa la vita dalla morte: è tuo questo ultimo respiro, è tuo questo mio ultimo pensiero, questo mio ultimo pianto, conservali perché sono la cosa migliore che ho da offrirti, la più adatta a parlarti di me».
È poesia. Recensione “Il vuoto intorno” di Claudio Volpe L’AUTORE Claudio Volpe è nato a Catania nel 1990. Ora vive a Pontinia (LT). Ha frequentato il liceo classico a Latina e attualmente studia giurisprudenza all’università Roma Tre. Scrive la sua prima poesia a dieci anni, a diciassette riceve una menzione speciale per la pace dalla “Società Dante Alighieri” per la poesia “Una lettera per la guerra”. “Il vuoto intorno”, presentato al premio Strega 2012 da Dacia Maraini e Paolo Ruffilli, è il suo primo romanzo. Nel 2012 ha vinto anche il Premio Franco Enriquez.  A fine Marzo verrà pubblicato il suo secondo romanzo “Stringimi prima che arrivi la notte”.

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