Recensione in anteprima: Il cuore selvatico del ginepro, di Vanessa Roggeri
Creato il 26 agosto 2013 da Mik_94
Ciao
a tutti, e buon inizio di settimana. Questa mattina, la recensione in
anteprima di un ottimo esordio che potrete trovare in libreria a
breve, il 19 Agosto, edito dalla Garzanti. Che dire, io ve lo
consiglio! Ringraziando la gentilissima Francesca per avermi dato modo di
leggerlo in anticipo, con mia grande gioia e sorpresa, vi saluto e vi
auguro una piacevole lettura. M.
Titolo: Il
cuore selvatico del ginepro
Autore:
Vanessa Roggeri
Editore:
Garzanti
Numero di
pagine: 210
Prezzo: €
14,90
Data di
pubblicazione: 29 Agosto 2013
Sinossi:
È notte. Il cielo è nero come inchiostro, e solo a tratti i fulmini
illuminano l’orizzonte. È una notte di riti e credenze antiche, in
cui la paura ha la forma della superstizione. In questa notte il
rumore del tuono è di colpo spezzato da quello di un vagito: è nata
una bambina. Ma non è innocente come lo sono tutti i piccoli alla
nascita. Perché questa bambina ha una colpa non sua, che la segnerà
come un marchio indelebile per tutta la vita. La sua colpa è di
essere la settima figlia di sette figlie, e per questo è maledetta.
E qui nel suo paese, in Sardegna, c’è un nome preciso per le
bambine maledette, si chiamano cogas, che significa streghe.
Liberarsene quella stessa notte, senza pensarci più. Così ha deciso
la famiglia Zara. Ma qualcuno non ci sta. Lucia, la primogenita,
compie il primo atto ribelle dei suoi dieci anni di vita. Scappa
fuori di casa, sotto la pioggia battente, per raccogliere quella
sorella che non ha ancora un nome. La salva e la riporta a casa, e
decide di chiamarla Ianetta. Non c’è alternativa ora, per gli
Zara. È sopravvissuta alla notte, devono tenerla. Eppure il suo
destino è già scritto. Giorno dopo giorno, stagione dopo stagione,
sarà una reietta. Emarginata. Odiata. Da tutti, tranne che da Lucia.
È lei l’unica a non averne paura. Lei l’unica a frapporsi tra la
cieca superstizione e l’innocenza di Ianetta. Contro tutto e tutti.
Lei l’unica a capire chi si nasconde dietro quegli occhi spaventati
e selvatici: una bambina in cerca di amore, che farebbe qualsiasi
cosa pur di ricevere uno sguardo e una carezza. Solo una bambina,
solo una ragazza, con un cuore forte e selvatico come il ginepro. Le
sue radici non si possono estinguere così facilmente; la loro fibra
è fatta di ferro e se fuori bruciano, dentro il cuore rimane vivo...
La recensione
Il
cuore selvatico del ginepro giunge
in libreria in un periodo strano. A fine agosto, mentre ci si
aggrappa nostalgici a un'estate spazzata via dalla prima nuvola
burrascosa, si ci crogiola pigri alla luce dell'ultimo sole, si ci
prepara ad abbracciare settembre e ad accogliere i nuovi inizi che
porterà alle nostra porte. Un periodo sospeso, fugace, che porta
lontano il chiasso, il caldo, le persone, i bei propositi. Come un
Capodanno caduto distante dalle tavole imbandite, dalle tovaglie
rosso Natale, dagli abeti con una piccola stella cometa in cima e le
palline di vetro soffiato su ogni ramoscello. Ma un vento proveniente
da chissà dove, per un giorno o due, mi ha regalato la parvenza di
un autunno in anticipo. E leggere il romanzo d'esordio di Vanessa
Roggeri, mentre fuori scoppiava un temporale e le cime dei cipressi
si inchinavano al Dio del tuono, è stato assolutamente, magicamente
perfetto. Le imposte sbatacchiavano, le tende si gonfiavano come
guance che soffiavano spiragli di Zefiro, le prime foglie secche
scricchiolavano tra i loro rossi cupi e i verdi bruciati, il cielo
era un'unica coperta di lana grezza e sporca da qui alla Sardegna.
Oltre il mare, oltre coste frastagliate e scogli aguzzi, oltre boschi
e rovi, il cielo era lo stesso che, gravoso e mesto, nella
storia che leggevo, malediceva e benediceva, con scrosci e luci
tremule, la nascita dell'ultima delle figlie della famiglia Zara. La
settima, l'indesiderata. Tzia Mercede, la levatrice, ha usato ogni
mezzo per estirpare quella piccola vita dall'utero dell'angosciata
Assunta, ma nessun malefico tentativo è stato più potente della
straordinaria voglia di vivere della nuova nascitura. Rosa, urlante,
con una lanugine nera sulla testolina perfetta, i dentini bianchi e
aguzzi, gli occhioni grandi e scuri, i polmoni forti e una vitalità
gridata al mondo, fuori, con un pianto di bimbo che è un ruggito.
Come ogni neonato, è un miracolo di carne, ossa e sangue; la vita
che si è incarnata ancora. Per la sua famiglia, tuttavia, è una
sciagura annunciata. Una maledizione. Gli uomini imprecano, le donne
si fanno il segno della croce e si vestono come a lutto, le bambine
dei coniugi Zara interrogano le domestiche sul trambusto che quella
fredda notte di Ogni Santi del 1880 ha portato con sé, e tutti, a
labbra tremanti, bisbigliano una parola, antica e inquietante come lo
sono le leggende di quel paese di genti tenaci e superstiziose: coga;
strega. La neonata non è la
benvenuta in quella casa in cui giocano già cinque bambine e a cui
un inverno da lupi ne ha già strappata una, quando era solo un
fagotto da cullare. Sette è male. La piccola senza nome è male. Per
tutti, tranne che per la coraggiosa Lucia, la più graziosa e
assennata delle sorelle Zara, la primogenita. La salva, le dà
calore, sceglie per lei il nome di Ianetta. Dove gli altri vedono un
mostro succhiasangue, un pericolo, Lucia vede solo una bimba
sfortunata che ha bisogno di essere amata, come tutti noi, in fin dei
conti, vorremmo. Il lettore, invisibile come gli spettri vaganti che
i bambini e le bambine dell'epoca aspettavano di vedere al di là
delle finestre venate di brina, allo scoccare dell'ora buia, entra in
quella casa isolata senza bussare e senza disturbare, sin dal primo
capitolo. Non è stato invitato – perché le gioie si condividono,
le disgrazie si tacciono – ma si muove tra quelle quattro mura a
passi leggeri e sicuri, scoperchiando antiquate pentole in cui
bollono intrugli bizzarri o zuppe profumate di spezie, leggendo la
preoccupazione sui volti tesi di nonni o padri, rubando il calore
dalle braci che ardono, sfiorando il pizzo e i ricami dei fazzoletti
che mantengono fermi i capelli crespi e i pensieri sbagliati di tzie
o mamme, spiando la forma delicata che si muove in una culla di
fortuna. Aggraziata e mai invadente, dolce e lieve, la penna
dell'autrice – come una bacchetta sfrigolante di magia proibita –
erige i muri di quella magione umida e fatiscente, così lontana
dalle carezza del mare e dalla luce della civiltà; rievoca il
selvaggio splendore della sua terra, costruisce i ricordi dei suoi
personaggi e ne innesta, di solidi, nelle menti di chi
legge.
Dipinge prati punteggiati di fiori colorati, boschi ribelli e
rigogliosi, scie in movimento di fedeli in processione, comignoli che
rilasciano fumo troppo grigio in contrasto con la neve troppo bianca,
nuraghi svettanti come le torri delle fiabe antiche. Mescola calore e
gelo, luce e buio, cose belle e cose brutte. Il meglio e il peggio
che le piccole realtà hanno da offrire, quando tengono al sicuro
come in un nido, ma, a volte, stritolano senza pietà: mamme chiocce
che uccidono i pulcini gialli della loro stessa covata. Alle
descrizioni di piatti tipici e usanze, abiti e scorci, profumi e
sensazioni, alla bellezza di una natura spesso sconvolta, si
contrappongono, allora, i demoni immortali che l'ignoranza genera. E,
alla luce caliginosa e funerea della superstizione dei nostri avi,
tutto diventa più inquietante; spaventoso. Malocchi e vecchie
storie, sortilegi e gelosie, morti e scomparse fanno vedere ai
protagonisti e al lettore quello che, razionalmente, il cervello
nega. Il lato oscuro delle storie che ogni nonno ama ripetere ai suoi
nipoti, storie di un tempo non poi così remoto, getta ombre fitte e
taglienti su una storia candida e gentile.
Il cuore
selvatico del ginepro diventa,
quindi, un esotico fiore nero dai frutti dolceamari, coltivato da
sole donne e solo in Sardegna. I toni sono melliflui, ma i sentimenti
sono viscerali e le situazioni molto forti, a tratti. Tutto passa
attraverso labbra di donne, sgorga da occhi e gola, si sedimenta in
uno stomaco stretto da un vitino da vespa, rimbomba nelle loro più
intime immensità. Straordinarie primedonne, delineate egregiamente
in poco o più di duecento pagine da un'autrice ispirata e sensibile.
Vanessa Roggeri si fa piccina,
non giudica gli errori imperdonabili delle vecchie generazioni, e,
anche grazie a pochi, ma accurati dialoghi, riesce a dare al suo
racconto il colore del parlato e
l'impostazione di una leggenda affidata alle voci di una molteplicità
di narratori erranti. Le protagoniste assolute sono le matriarche
della famiglia Zara. Fa rabbia leggere di Assunta che rinnega
l'ultima delle sue figlie; suscita un odio profondo l'opportunismo e
la crudeltà della gelosa secondogenita, Pinella; tocca il cuore
l'amore incondizionato di Lucia verso la sua sciagurata sorella
Ianetta. Ianetta, un personaggio complesso e schivo, che è un
mistero perfino per sé stessa: lei non ha occhi sani per vedersi,
quindi si accontenta del riflesso che gli sguardi di chi la circonda
le restituiscono. Fa decimare il bestiame, ammalare i parenti,
invadere la casa con rospi e mosche, morire i bambini dispettosi nel
tormento di pizzichi di ape senza fine: questo è quello che tutti
vedono, che tutti le rinfacciano, che tutti le sputano contro. Se
nessuno la vede buona, è perché non lo è. “Coga”...
e lei vive nel bosco, come un animale selvatico dagli artigli
sfoderati. “Coga”...
e lei scappa in una torre di pietra, aspettando le visite un'amica
cattiva e le torce dei suoi compaesani che, secondo tutti, la
purificheranno dalle sue colpe con il fuoco; “Coga”,
ancora... e la sua
umanità vacilla, come le intenzioni di una sorella che vorrebbe
soltanto salvarla. Realistico, emozionante, originale, passionale e
spaventoso, l'esordio di Vanessa Roggeri è un viaggio nel cuore
segreto di una terra incredibilmente affascinante e incredibilmente
contraddittoria, narrato in grande stile e ricco di valori preziosi
ed echi incisivi. Un pregevole e promettente esordio, firmato da una
donna che, come le sue protagoniste, a quelle tradizioni è legata
saldamente, come il lichene alla roccia. All'ombra di un fico - che
tanto ricorda il nespolo dei Malavoglia - sopravvissuto
alle sventure di quattro generazioni di Zara e guardiano di quelle
aspre terre, in miseria e nobiltà, una saga familiare italiana,
danzante tra verità e menzogna, colpa e riscatto, che ha i legami di
sangue di Marquez e della Allende e il tocco magico di Joanne Harris.
Il
mio voto: ★★★★ +
Il
mio consiglio musicale: Chiara feat. Fiorella Mannoia – Mille passi
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