Recensione: In silenzio nel tuo cuore, di Alice Ranucci

Creato il 23 febbraio 2015 da Mik_94
Buon lunedì, amici! Oggi vi parlo di un libro che ho letto nel weekend e che, da pochissimo, è uscito in libreria, facendo parlare di sé soprattutto per la giovane età dell'autrice. Purtroppo mi tocca dirvi che non mi è piaciuto, e il purtroppo è esclusivamente per la brava Alice, che un giudizio così “severo” non lo meritava. Spero di essere stato delicato il giusto, perciò, ma soprattutto onesto. Ciò che segue è quello che vi avrei detto se non avessi saputo nulla dell'identità della Ranucci e dei suoi diciassette anni. Con sincerità. Le stelle si intravedono appena, sperdute tra le luci abbaglianti della città. Ecco io assomiglio a loro. A quelle stelle. Confuse, smarrite, irrintracciabili in un cielo occupato da luci taroccate. Come me.
Titolo: In silenzio nel tuo cuore Autrice: Alice Ranucci Editore: Garzanti Numero di pagine: 166 Prezzo: € 13,90 Sinossi: Claudia ha sedici anni e ha imparato che il liceo è una giungla in cui vince il più forte, in cui non c'è spazio per la sua timidezza e insicurezza. Un po' di trucco, uno sguardo sfrontato e in un attimo fai parte del gruppo dei ragazzi che contano: superiori e vincenti. Ed è proprio lì che Claudia vuole arrivare. Perché essere diversi non porta da nessuna parte, se non a sentirsi sempre più soli. Perché quello è il mondo a cui appartiene Rodrigo, irraggiungibile che non si lascia scalfire dai sentimenti: il più ammirato della scuola, il più temuto, il più prepotente. Lui così diverso dal ragazzo che Claudia avrebbe immaginato accanto a sé. Eppure vorrebbe solo perdersi nei suoi occhi blu cobalto. E quando Rodrigo le chiede di uscire, Claudia non riesce a credere che sia vero. Non c'è altro da desiderare, tutto sembra perfetto. Ma all'improvviso la vita la mette davanti alla prova più difficile, e niente può essere come prima. La sua realtà si infrange in mille pezzi, come le sue emozioni a cui non sa dare un nome. Ogni cosa intorno ora appare falsa e inutile. Ogni persona è diversa da come la immaginava. Anche quelli che pensava fossero amici. Anche Rodrigo. Persino lei stessa. Senza più nessuna certezza, Claudia scopre che crescere vuol dire guardarsi dentro per davvero, senza falsi alibi. Vuol dire decidere chi si vuole diventare e tracciare il proprio percorso. Sicuri che c'è sempre la possibilità di sbagliare, di scegliere, di fermarsi e ripartire..                                               La recensione Esordire nel mondo dell'editoria a diciassette anni con una grande casa editrice non è all'ordine del giorno. E il fatto che la cosa capiti tanto raramente contribuisce ad attirare attenzione. Come in questo caso, ad esempio. Io non avrei letto In silenzio nel tuo cuore, se non mi fosse giunta alle orecchie la peculiarità di questo esordio tutto italiano. Un'autrice adolescente, la Garzanti a dargli fiducia e visibilità. Quella Garzanti che con le sue copertine tutte simili – i volti in primo piano, il font sobrio, i colori tenui – mi rassicura sempre un po'. Non saprei bene perché. I loro libri, nel bene e nel male, li riconosci. Sai che non vanno troppo appresso alle mode e che, in catalogo, non ci sono urban fantasy e young adult, se non in via eccezionale. Vanno bene quando vuoi darti alla narrativa – nazionale o internazionale – che vende e si piazza alta in classifica. Il romanzo di Alice Ranucci, a tutti gli effetti, è da inserire nella categoria dei titoli per ragazzi, e se mi fosse stato presentato così, posto in un'altra collana e con una copertina più colorata, non avrei voluto recuperarlo e forse non avrei corso il rischio mi deludesse e mi spingesse a non parlarne bene. Ci sono stati altri casi, certo. Ricordo Melissa P, provocatoria e senza peli sulla lingua; Dorotea De Spirito, alla moda e delicata; Gaia Coltorti, saccente e fastidiosamente sicura di sé. Ragazze, poi donne, che si sono fermate lì o hanno continuato, sull'onda del successo e delle chiacchiere. In punta di piedi, adesso arriva la Ranucci e, a lettura ultimata, posso affermare con sincerità che non ha attirato a sufficienza la mia attenzione. Da una parte, ho avuto l'impressione che il suo primo romanzo mancasse di freschezza: toni convenzionali per una storia fragile. Dall'altra, l'ho trovato invece il perfetto frutto dei suoi diciassette anni: non stupisce per guizzi, né per maturità. L'autrice è piccola, acerba, e si nota. Non si può urlare al miracolo. Non si può dire che scriva male. Ma non si può neppure negare che, altrove, ci saranno senz'altro coetanee con idee più nuove. Aspettandomi poco dall'intreccio, compensavo riponendo nutrite speranze nello stile. Lei ci racconta le generazioni di Instangram e i giovani stupidi di Moccia. La Roma da bere e da fumare, i licei come covi di vipere, i figli irriconoscenti e i genitori distanti. Ma la storia va avanti a furia di cicchetti e canne, niente di sconvolgente, e la metamorfosi interiore ed esteriore della protagonista – eterna bruttina trasformatasi all'improvviso in una ragazza cattiva e popolare, invitata dalla madre a rendersi utilile in un centro profughi – non l'ho sentita mia.  Non mi ci sono riconosciuto in quel contesto, come quando guardo i film americani e penso che le biondine snob che vanno in rehab, i bad boy e i servizi socialmente utili siano cose da cinema o d'altro mondo. Alice ci racconta la sua generazione, ma vuoi la narrazione in prima persona, vuoi la coincidenza d'età tra lei e il personaggio, non c'è il distacco necessario. Il suo flusso di pensieri poteva essere più ragionato e solo l'ultima pagina, un espediente – ammetto – intelligente, ti fa capire come mai non si sia affidata alla terza persona, evitando di correre il rischio di stare spesso sullo stomaco, insieme alla protagonista, inizialmente schiava del culto delle apparenze, e ai suoi banalissimi amici. Ci sono state cose che mi sono piaciute e cose che non mi sono piaciute, facendo oscillare il mio giudizio fino alla fine. L'uso smodato di puntini di sospensione, i punti esclamativi e interrogativi in rapida successione, i periodi brachilogici che non vanno più, il fatto che non fosse raccontato niente di nuovo, ma che ci fosse d'altra parte un certo coraggio nel mettersi in ballo, con una voce secca e una narratrice inedita poiché antipatica. C'è stata una parte centrale molto intensa, in cui il dolore per un lutto improvviso ti tocca, e un epilogo a tinte gialle che avevo intutito, sì, ma che comunque funziona. Un'altra invece, la più importante, in cui la protagonista dovrebbe portarti via con sé, fuori dal tunnel, fa storcere il naso per l'educazione affettata del tutto. Senza rivelare troppo, posso dire che il percorso di Claudia la porta dalle braccia dell'iracondo Rodrigo all'assocazione a cui l'aveva indirizza sua madre e che sentire rievocate le storie vere, costruttive (e piagnucolose) di sfortunati immigrati e di mendicanti ha sulla protagonista un effetto benefico, su di me molto meno: è stato come guardare C'è posta per te. Le sentenze, i giudizi universali, la morale facile lasciamola a Alessandro D'Avenia, che può permettersi la retorica perché insegnante di filosofia al liceo e persona adulta, fatta e finita. Da una ragazza piena di vita, invece, mi aspetterei più verità. Urlato come un dramma di Muccino degli anni duemila, piacerà più alle mamme che ai figli, in quanto dirà loro ciò che vogliono sentirsi dire. Che i grandi hanno ragione, che la gioventù è marcia dentro, che non ci sono più il dialogo e le mezze stagioni. Un romanzo generazionale educativo e sensibile, fin troppo, con una firma da bambina che, nonostante i premi e i traguardi già raggiunti, deve affinarsi ed affinarsi. Ci vogliono il tempo, la vita, una storia più accattivante. In silenzio nel tuo cuore, in attesa di qualcosa che sia maggiormente all'altezza della situazione, nel cuore silenziosamente ci entra e silenziosamente va via. Il mio voto: ★★ Il mio consiglio musicale: Francesca Michielin – Sola

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