Prima di procedere con la recensione di In Trance (che in lingua originale si intitola Trance, ma i nostri distributori devono per forza togliere/aggiungere/storpiare) di Danny Boyle, vorrei rendervi partecipi di quanto poco io stimi il suddetto regista. Certo, ha azzeccato un film che è diventato un cult generazionale (Trainspotting), ha rilanciato in chiave attuale la figura degli zombie (28 Giorni Dopo), ha vinto un Oscar con The Millionaire, ma a me continua a non convincere per niente. Per questo ci ho messo un bel po' prima di tentare la visione del suo ultimo lavoro (2013) cercando, tra l'altro, di non partire troppo prevenuto.
I pareri letti in giro erano contrastanti, il cast non mi entusiasmava (ma di solito Vincent Cassel è una garanzia), la trama sembrava interessante. Insomma, ci ho provato ma alla fine non è andata bene, perché In Trance è un thrillerino di plastica nemmeno tanto imprevedibile con momenti trash nemmeno niente male.
Simon è un battitore d'aste dipendente dal gioco d'azzardo e pieno di debiti. Per poterli pagare si associa a Franck e alla sua banda per rubare un quadro di Goya. Durante il furto viene però colpito alla testa, dimenticando dove ha nascosto il quadro. Per fargli superare l'amnesia, Franck e i suoi compagni chiedono l'aiuto di un'ipnoterapeuta.
Boyle torna con il suo stile psichedelico e strafatto di acidi e decide di fare una cosa che, devo ammettere, gli riesce benissimo: spaziare tra i generi. Sì, perché In Trance è un film diverso da tutto quel che il regista inglese aveva girato in passato, una pellicola tra il thriller, il dramma e la crime story, un rebus o una partita a Blackjack (e infatti il protagonista è dipendente dal gioco d'azzardo) tra personaggi che non conoscono né le loro carte né, tanto meno, quelle dell'avversario. E solo alla fine del gioco tutto diventa chiaro, tutto acquisisce un senso e diventa inequivocabile chi sia il vincitore e chi lo (o gli) sconfitto/i. Ecco, forse è questo uno dei problemi del film: vorrebbe tenere col fiato sospeso e sconvolgere/coinvolgere lo spettatore annullando allo stesso tempo tutte le sue certezze. Peccato che - bisogna ammettere che il regista almeno non cerca di imbrogliare - tutto sia intuibile e sempre più chiaro man mano che il film va avanti. Certo, il colpo di scena con relativo spiegone si rivela un colpo di mano intenso e drammatico mentre il finale ironico e "sospeso" quasi quasi fa sorridere, ma per quanto mi riguarda non riequilibra la situazione dopo una parte centrale prolissa, confusa e noiosa, estremamente barocca.
Un film di plastica, l'ho definito. E' questa la sensazione che ho avuto guardando In Trance. Tutto sintetico, vinilico, un trip violento e surreale, sboccato e trash come la scena in cui una Rosario Dawson che non si lascia sfuggire l'occasione di un nudo integrale si depila la patata. Per non parlare di pistolettate sugli organi genitali e imitazioni di opere d'arte. Forse Danny Boyle voleva evitare di prendersi troppo sul serio ma il risultato è opposto e In Trance corre spesso il rischio di cadere in farsa. E alla fine l'unica cosa che si salva è la storia di John Hodge /Joe Ahearne e un Cassel in formissima che fa sfigurare il povero e insignificante James McAvoy.
In trance non è un brutto film. Io l'ho trovato mediocre, facilmente dimenticabile, portato troppo per le lunghe. Insomma, per me Boyle è una conferma ed è un peccato, vorrei che qualche volta mi stupisse.