La
paura è più potende del dolore.
Titolo:
Insurgent
Autrice:
Veronica Roth
Editore:
DeAgostini
Numero
di pagine: 510
Prezzo:
€ 14,90
Sinossi:
Una scelta può cambiare il destino di una persona... o annientarlo
del tutto. Ma qualsiasi essa sia, le conseguenze vanno affrontate.
Mentre il mondo attorno a lei sta crollando, Tris cerca
disperatamente di salvare tutti quelli che ama e se stessa, e di
venire a patti con il dolore per la perdita dei suoi genitori e con
l'orrore per quello che è stata costretta a fare. La sua iniziazione
avrebbe dovuto concludersi con una cerimonia per celebrare il proprio
ingresso nella fazione degli Intrepidi, ma invece di festeggiare la
ragazza si è ritrovata coinvolta in un conflitto più grande di
lei... Ora che la guerra tra le fazioni incombe e segreti
inconfessabili riemergono dal passato, Tris deve decidere da che
parte stare e abbracciare completamente il suo lato divergente, anche
se questo potrebbe costarle più di quanto sia pronta a sacrificare
La recensione
“Una
volta ho letto che non esiste una spiegazione scientifica per il
pianto. Le lacrime servono solo a lubrificare gli occhi. Io penso che
piangiamo per liberare la nostra parte animale senza perdere la
nostra umanità. Perché dentro di me c'è una bestia che ringhia e
agogna la libertà. Tobias e soprattutto la vita. E per quanto ci
provi, non riesco a ucciderla.” Mi sono fiondato a peso morto
su Insurgent. Disperatamente.
In cerca di una conferma. Stanco di troppe letture carine e basta, di
troppi libri da leggere e dimenticare, ho preso tra le mani un
voluminoso tomo che ormai da qualche tempo prendeva polvere nella mia
libreria: il secondo capitolo della trilogia distopica di Veronica
Roth. Era lì che mi fissava da quasi un mese, con quella copertina
verde e blu che tutti detestano, ma che a me – in verità – piace
parecchio. Mi ero detto di cominciarlo alla fine degli esami di
maturità, come un piccolo e prezioso premio di consolazione,
ma altri libri più scorrevoli e brevi avevano rimpiazzato la seconda
avventura di Tris e Quattro e i miei buoni propositi. Mercoledì
pomeriggio l'ho iniziato, sabato mattina l'avevo già finito.
Cinquecento pagine divorate in poco tempo. Per me, che nutro una
paura segreta verso i libri lunghi, un record. L'ho amato, mi direte
voi. Invece no, per la maggior parte del tempo, il romanzo mi ha
deluso terribilmente. Divergent si
era rivelato un'esperienza esaltante, da capogiro: adrenalinico,
originale, imprudente, bello. L'esordio perfetto. Con questo suo
seguito, sin dall'inizio, l'approccio non è stato dei migliori. Sarà
che non ho una buona memoria, sarà che i personaggi secondari non
erano così memorabili come in un primo tempo pensavo, sarà che le
mie alte aspettative avevano caricato le spalle della giovane autrice
di un fardello che non poteva sopportare con le sue sole forze da
intrepida. Insurgent
si apre, infatti, nel punto
esatto in cui il romanzo precedente si era concluso. Nel caos. Un
caos di personaggi e situazioni, di scontri e alleanze. Strappato
dalla realtà e condotto bruscamente nel bel mezzo dei fatti, ho
provato confusione, disorientamento, capogiri suggeriti non dal
brivido dell'azione, ma dal troppo che
stava accadendo attorno a me e ai personaggi.
Leggevo e speravo che le
mie idee si schiarissero un po'. Che ci capissi qualcosa. Recuperati
i vari tasselli, fatto uno schema mentale di fazioni e protagonisti,
ho proseguito nella corsa a perdifiato che la prosa della Roth sa
sempre assicurare. Leggevo e vedevo le pagine che mi separavano dalla
fine diminuire man mano. Leggevo con piacere, senza annoiarmi un
attimo, ma non succedeva assolutamente niente. Sparatorie, fughe,
salti nel vuoto e arrampicate pericolose, agguati e tradimenti. Scene
di implicita violenza e di fervore assemblate tra loro senza un filo
conduttore che fosse unico, senza una trama. Ho avuto l'impressione
che l'autrice si fosse giocata tutte le sue carte vincenti nel primo
volume, in cui la carne al fuoco era appetitosa e abbondante. Nel
sequel, invece, c'era una triste carestia di novità. Di una cosa,
però, mi sono meravigliato, e in positivo: la bravura straordinaria di
Veronica Roth. Una fuoriclasse. Riempire quasi 300 pagine di puro
nulla non è decisamente da tutti. Ed
oggettivamente nella prima metà di Insurgent avviene
poco o niente. Quindi due sono le opzioni: o lei è un'idiota, o è
un genio del male. Personalmente, propendo per la seconda. Tendo a specificare nella
prima parte perché, fortunatamente, anche se in corner, il libro
trova la via del riscatto nella seconda. L'epilogo è geniale e da
mozzare il fiato, i capitoli conclusivi si lasciano divorare con una
velocità che non credo sia umana. L'autrice riempie tutto di
mistero, mette in discussione situazioni e personaggi, mantiene viva
la curiosità sia quando dice tutto e niente, sia quando è tempo dei
colpi di scena più importanti. Intrattiene come pochissimi sanno
fare. Gli elementi verso cui ho storto il naso sono veramente tanti,
innumerabili, ma con un finale davvero ben architettato lei salva
tutto e rigira nuovamente le carte in tavola.
La scelta efficace ed
audace di chiudere Insurgent così
avrebbe potuto farmi arrabbiare ancora di più, ma la paraculaggine
della Roth – non mi vengono altri termini, no: furbizia sarebbe
limitativo – me l'ha fatta amare. Lei e la sua protagonista, Tris,
sono gemelle separate alla nascita: identiche. Lei è Tris. Le ho
odiate di pari passo, ho faticato a seguire le loro fughe a rotta di
collo, ma alla fine le ho ritrovate entrambe dove le avevo lasciate.
Stare dietro a Tris diventa davvero complicato in questo secondo
volume. La
sua psicologia è più altalenante, il suo carattere è meno
monolitico, le sue scelte sono meno mirate. Sfila in mezzo a traumi e
macerie come un'eroina, guarda in faccia la morte una pagina sì e
l'altra pure, ma ha sedici anni. E' una bambina. Una ragazzina.
Proprio come l'autrice, che è pienamente consapevole di sé e un
tantino spietata a soli ventiquattro anni. Accanto
a lei, c'è Quattro. Con i suoi incubi, con le sue poche paure, con
una famiglia che è un peso mortale, con una tenerezza e una fedeltà
verso Tris così poco “intrepida”, ma tutta da scoprire. Tutte le
morti di cui il libro è disseminato, inoltre, non commuovono e non
sconvolgono come, invece, avveniva in Divergent.
Muore un personaggio, ne muoiono due, ne muiono un centinaio e altri
ancora, ma è una carneficina continua che non lascia segni nei
sentimenti del lettore. Più che altro una domanda ironica: con tutti
i personaggi decimati, mortalmente mutilati, feriti o menomati, chi
ci sarà in Allegiant?
Le atmosfere e le ambientazioni sono più ampie e claustrofobiche di
quelle del primo, ma a mio parere questo è un altro degli elementi
che fa sì che l'interesse del lettore vada scemando. Senza più la
familiarità, il chiasso, il calore e la pazzia che si respiravano
nel covo sotterraneo degli Intrepidi viene meno una parte importante
dell'anima di Divergent.
A circa metà libro, quando Tris e i suoi amici ritornano dove tutto
è iniziato, tra quelle grotte e quegli spuntoni di roccia così
suggestivi, sono tornato a respirare e a sorridere, davanti a una
partita a Paintball all'ultimo schizzo di vernice.
Il
mio voto: ★★★★ =
Il
mio consiglio musicale: Bastille – Laura Palmer