Recensione: Io non sono Mara Dyer, di Michelle Hodkin
Creato il 11 settembre 2013 da Mik_94
Ciao
a tutti, amici. Oggi, la recensione di un romanzo attesissimo,
arrivato in libreria appena la settimana scorsa. Dopo aver recensito
Chi è Mara Dyer (qui), sono felice di potervi parlare anche di
questo suo inquietante e ipnotico seguito, ormai a un anno di distanza. Lo consiglio a tutti, sia
a coloro che hanno amato il primo, sia a coloro che l'hanno
detestato: vedrete! Ringraziando la gentile Nancy per avermi dato modo di
leggerlo, vi auguro buona lettura e buon pranzo, visto che è quasi
mezzogiorno. A presto, M.
Dimmi
quello che vedi, perché io non so cos'è reale e cosa no, che cosa è
nuovo o diverso, e non posso fidarmi di me stessa, ma mi fido di te.
Titolo:
Io non sono Mara Dyer
Autrice:
Michelle Hodkin
Editore:
Mondadori “Chrysalide”
Numero
di pagine: 463
Data
di pubblicazione: 3 Settembre 2013
Prezzo:
€ 17,00
Sinossi:
Mara Dyer sa di aver commesso un omicidio. Jude voleva farle del
male, e lei si è difesa, grazie al terribile potere che le permette
di uccidere con la forza del pensiero. Ma ora Jude è tornato, e
nessuno le crede anche se giura di averlo visto con i suoi occhi.
Quel ragazzo dovrebbe essere morto, e Mara rischia di finire i suoi
giorni nell'ospedale psichiatrico in cui è tenuta in osservazione
con una diagnosi di probabile schizofrenia. L'unica possibilità di
salvezza è assecondare i medici e fingere di avere avuto
un'allucinazione. Così la sera è libera di tornare a casa e vedere
Noah, l'unico che ancora crede in lei e cerca di aiutarla a fare luce
sui misteri che circondano la sua vita, proteggendola da Jude. Ma i
fatti inquietanti si moltiplicano, e Mara rischia di impazzire sul
serio: qualcuno entra in camera sua la notte e la fotografa mentre
dorme, e un giorno le fa trovare una bambola appartenuta alla nonna,
che soffriva dei suoi stessi disturbi. Mara, esasperata, cerca di
bruciarla, ma nel fuoco rinviene un talismano complementare a quello
in possesso di Noah...
La recensione
“Stavo
cadendo a pezzi e i pezzi si sparpagliavano nel vento.” Chi
è Mara Dyer si era chiuso con un urlo raggelante e un brivido,
salito violentemente lungo le scapole e arrampicatosi sui pendii di
cartilagine della nostra colonna vertebrale. Il sangue freddo, di
ghiaccio. Da liquido a solido d'un tratto. Cristalli gelidi nelle
vene, taglienti come coltelli. Un'ombra maligna aveva sfiorato la
protagonista, in un commissariato pieno di poliziotti, e lei e i
lettori avevano realizzato una cosa semplicemente sconvolgente:
quella diciassettenne - calamita per calamità, e dalle notti
scandite da sogni che bruciano l'anima e dalle carezze leggere di un
ragazzo dall'adorabile accento inglese – non era pazza. Era uno
scherzo della natura, un pericolo pubblico, un'assassina, un cattivo
elemento, ma non era pazza. I titoli di coda erano scesi prima di
conoscere il resto. Darsi un pizzicotto sarebbe servito a poco: tutto era
reale, tutto era finito e Mara Dyer era rimasta un completo mistero.
Nella prima pagina, così come nell'ultima. Leggere il seguito era
sacrosanta necessità. Vitale. Io non sono Mara Dyer è
un'evoluzione. Ha inizio nella follia, finisce nella follia. In un
Manicomio pieno di urla distorte che tanto somigliano a quelle che ci
ridestano dai nostri incubi: le nostre. E' svegliarsi e mettere i
piedi giù dal letto in cerca delle Converse di sempre sul pavimento
di sempre. Svegliarsi in una stanza non nostra, inospitale, con le
pareti bianche imbottite. Al posto del pigiama, una camicia. Di
forza. Guardi il mare in tempesta, attraverso gli occhi di Mara. E
vorresti buttarti: nel suo sguardo blu; nell'acqua blu di cui
ignoriamo i tentacoli nascosti sul fondo limaccioso. Nel passaggio
ignoto che conduce alla sua anima al di là dell'abisso. Un tempo
l'unica persona di cui avere paura era sé stessa. Ora Jude è
tornato e nessuno è al sicuro, non più. Lui, infuriato
sopravvissuto all'uragano Mara, ha occhi ovunque. Vede Joseph, il
simpaticissimo fratellino della sua miglior nemica, vantarsi, in
soggiorno, di essere campione imbattuto di videogiochi e, in cucina,
di essere un vegetariano convinto... un giorno sì e l'altro no. Vede
la stanza di lei attraverso gli occhi di bambole inquietanti e
attraverso l'obiettivo di una telecamera puntata sul suo corpo
dormiente; vede la sua famiglia reputarla sempre meno lucida e il suo
fedele e misterioso ragazzo, Noah, amarla sempre di più ad ogni
stranezza condivisa. La vede nell'acqua torbida in cui, nel suo
vestito rosso sangue, nuota verso la salvezza, in un mondo di
prospettive capovolte come clessidre in frantumi. Forse, per tutto
questo tempo, è stata una sirena.
E mi ha cantato, e ancora mi sta
cantando, di affogare insieme a lei. Che fa elenchi su elenchi di
cosa è normale e cosa no, che pensa una cosa e ne dice un'altra, che
sceglie di mentire o di dire la verità a seconda delle occasioni,
che vive altre vite in incubi ambientati nell'esotica e polverosa
Calcutta, tra animali selvatici e furiosi istinti omicidi. Incubi che
restano anche quando brilla il sole su un giorno nuovo. Il primo
capitolo era più ampio e più ristretto allo stesso tempo, quasi per
essere vicino alle contraddizioni lampanti scritte sulle labbra di
Mara. Aveva a disposizione mense affollate di bulli e arpie, ampi
corridoi scolastici, fazzoletti di giardino dischiusi davanti alle
mura di un familiare liceo: era un familiare young adult in cui
sprazzi di orrore e pazzia salvavano in corner i lettori e la
protagonista dalla banalità. Questo seguito – giunto in libreria
precisamente un anno dopo – è schiacciato tra le quattro mura di
una casa, già violata dal nemico, e tra le pareti di uno sperduto
istituto d'igiene mentale, già violato da menti violate.
Niente
scuola, ma tanti corridoi: sempre più vuoti, sempre più umidi,
sempre più tenebrosi, sempre più silenziosi. E il silenzio, si sa,
è un amico fedele della paura, insieme all'angoscia e
all'inquietudine, che si fanno strada, verso la fine, tra lampadine
che scoppiano, porte che si bloccano, messaggi scritti con il sangue,
isole abbracciate strette da qualcosa di più insormontabile del
mare. Che potenza ha la Hodkin – sadica e contagiosa al pari delle
sue colleghe Lauren Oliver e Veronica Roth: una femme
fatale le
cui mani hanno più effetti collaterali di quelle della sua Mara,
investita di un potere che è una magnifica condanna. Ogni volta
sembra leggermi nel pensiero e così, quando sbuffavo e alzavo gli
occhi al cielo davanti a una parte centrale dai toni marcatamente
romance per i miei gusti, lei, come un deus ex machina armato di penna a
sfera, lei inseriva raggelanti colpi di scena e piogge di corvi morti. Ma
forse li avrei tollerati ugualmente i protagonisti, e lo ammetto a
cuor leggero. Stretti fino a spezzarsi le costole, accoccolati fino
al risveglio, vicini fino a farsi del male, sono carinissimi insieme. Sì.
L'autrice tesse una rete da cui il lettore, come un animale a sangue
caldo che ama la paura e il pericolo, vuole lasciarsi stritolare:
cerbiatto che si consegna volontariamente a un pericoloso
bracconiere. Si è ipnotizzati dall'inferno privato di una
protagonista dai tratti sempre più interessanti e definiti. Il suo
romanzo, esattamente come il primo, è affascinante, sensuale,
onirico, cinico, ironico, seducente, magnetico, psichedelico. Non si
legge, si beve e, anche se probabilmente non mi rimarrà in mente a
lungo, le quasi 500 pagine che lo compongono si leggono che è una
meraviglia. O qualcosa che è simile alla meraviglia, ma in versione
horror... Soltanto l'epilogo, nel primo tanto imprevedibile, non mi
ha sconvolto come avrei sperato. Si conclude sul più bello, con
quegli ammalianti e curiosi flashback che non vengono spiegati e con
l'iniziale duologia che si arricchisce di un volume in più, The
Retribution of Mara Dyer. La
tensione, palpabilissima, si taglia in due con un coltello. Creatura
aliena nata da un incrocio tra The
Ward, American Horror Story: Asylum,The
Conjuring e
The
Black Swan, il
romanzo ti trascina per i capelli – anche se il finale non ti
spettina poi troppo - e ti lascia in bocca un sapore ferroso. Quello del sangue delle unghie che, per il nervosismo e il tormento, ho preso a
mordicchiarmi come un dannato senza pace dall'inizio alla fine. Sentire una
risata femminile tra le macerie e i cadaveri di un manicomio crollato
non è mai stato così divertente e accattivante. Viaggiare nelle
follia non è mai stato così bello. “I
suoi occhi grigi di zaffiro mandavano lampi e le labbra di velluto
erano gonfie di baci. Quello era il ragazzo che amavo. Un po' in
disordine. Un po' sciupato. Un bellissimo disastro. Proprio come me.”
Il
mio voto:
★★★★
Il
mio consiglio musicale:
Filter – Happy Together
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