Recensione: Io sono le voci, di Danilo Arona

Creato il 23 agosto 2013 da Mik_94
Ciao a tutti, come state? Oggi, la recensione di un gran bel thriller firmato dall'autore nostrano Danilo Arona. Da leggere, davvero. Ringraziando l'ufficio stampa della casa editrice, per avermi dato modo di leggerlo, vi auguro una buona lettura e vi abbraccio. M.   Titolo: Io sono le voci Autore: Danilo Arona Editore: Edizioni Anordest Numero di pagine: 358 Prezzo: € 12,90 Sinossi: Da sempre in Italia avvengono omicidi inspiegabili che sembrano trovare una loro magra giustificazione nella ferocia esibita. Dagli anni Sessanta poi è in atto un'escalation. Prima in una città di provincia nel nord Italia. Poi a Milano nel decennio successivo con giovani donne trucidate attraverso modalità di raro sadismo. Sino a quando ai giorni nostri una giovane e determinata giornalista investigativa, Cassandra Giordano, non scopre un impensabile filo rosso che collega delitti tra loro lontani nel tempo e nella geografia: la visione di certi film, il cosiddetto effetto Copycat, le voci nel cervello che ti spingono a uccidere emulando gli omicidi passati sullo schermo in tante famose opere cinematografiche. Ma, una volta scoperchiato il vaso di Pandora, Cassandra ne diventa vittima, innestando una nuova e ancora più feroce serie di delitti per imitazione. Una sequenza sanguinosa che la vede morire, prima vittima della nuova ondata omicida, sotto il guanto artigliato del leggendario Uomo Nero di Elm Street, Freddy Krueger. Ma può essere possibile un crimine del genere nell'Italia contemporanea? Si tratta di uno o più assassini? Magari una nuova stirpe di psicopatici ben mimetizzati nella normalità quotidiana? Arianna Giordano, sorella minore della giornalista, e un coriaceo ispettore di polizia si lanciano nella più incredibile delle indagini: svelare l'enigma degli omicidi Copycat, giungendo a smascherare il meno sospettabile dei serial killer. E Milano si trasforma in un sanguinario set cinematografico.                                    La recensione Il telefono squilla. Una ragazza, bionda e molto carina, corre a rispondere, lanciando occhiate, di tanto in tanto, ai pop corn sul fuoco. Il suo ragazzo è in ritardo e, se non sta attenta, come stuzzichini durante il film, avranno solo pop corn bruciati. Non il massimo per una serata romantica. Dall'altra parte del filo, una voce sconosciuta le chiede: Qual è il tuo film horror preferito? La risposta non è importante. Perché, quella notte stessa, la ragazza ne diventerà parte. Sarà l'unica protagonista del suo personale film dell'orrore: la vittima prescelta. Iniziava così un thriller uscito alla fine degli anni '90 e destinato, nel suo piccolo, a fare storia: Scream – Chi urla muore. Dirigeva Wes Craven e la prima vittima del killer dalla maschera bianca, ispirata al volto deforme e tormentato del protagonista dell'Urlo di Edvard Munch, era la più nota del cast, Drew Barrymore. Inaudito, insospettabile, improvviso, imprevisto. Geniale. In ciò, c'è molto delle atmosfere cupe e dello spirito dissacratorio del primo thriller che leggo dell'italianissimo Danilo Arona: scrittore, giornalista, critico cinematografico. Tre elementi di una stessa biografia che, anziché cozzare tra di loro, si sposano con studiata e sorprendente perfezione. La letteratura, la cronaca e il cinema: degni elementi di un thriller coi fiocchi. Soprattutto, il cinema: fonte d'ispirazione segreta per tutti, ma che mai come in questo romanzo è celebrato, adorato, citato. Di Scream – forse, il padre dei teen thriller di ultima generazione – ha la nerissima ironia di fondo, l'immancabile storia d'amore costantemente in pericolo, assassini che si nascondono dietro un curioso e inquietante travestimento, un'annunciata protagonista che muore nelle prime pagine. La particolarità dello stile di Arona sta nel fatto che, gran parte dell'inizio di ogni capitolo, risulta dedicata alla descrizione di un luogo e di un tempo, lontano o vicino che sia non importa. Dati sul clima e sul paesaggio, su strade e contrade sperdute. Riprese dall'alto, ma che poi si stringono, fino a inquadrare piccoli e macabri dettagli di una scena del delitto. Il romanzo è così, parte da lontano: comincia negli anni della guerra, con la storia di una bambina inquieta con la paura dei fulmini; prosegue con il racconto dell'infanzia di un bambino albino, nato e vissuto tra il disprezzo muto della madre e lo scherno dei suoi compagni; giunge, poi, al reale snodo della vicenda.  Tacchi a spillo che ticchettano lungo i corridoi di una prigione, una pista su alcuni omicidi ai danni di donne, insabbiati nel corso degli Anni di Piombo, un'intervista esclusiva ad un efferato serial killer di bambini biondi: la svolta nella carriera dell'avvenente giornalista Cassandra Giordano. La lunga chiacchierata tra lei e l'individuo ribattezzato dai media Il proiezionista, sarà paragonata dai suoi fantasiosi colleghi a quella tra Clarice e Hannibal Lecter in Il silenzio degli innocenti.  Un cult. Strane, le coincidenze: il cinema è la chiave di sangue che lega le barbare uccisioni che macchiarono l'Italia settentrionale in passato e quelle che si verificheranno di lì a poco. Cassandra, come la Barrymore nella serie con Neve Campbell, sarà colei che tornerà a ispirare feroci aguzzini rimasti ancora senza nome, membri di un'arcana congrega chiamata la Stirpe. Morirà a casa sua, con la verità quasi in pugno e il volto squaciato da lame affilate. La citazione, anche in questo caso, è lampante e, anche in questo caso, si torna a parlare di Wes Craven: l'assassino indossava i guanti dell'indimenticabile Freddie Krueger di Nightmare. Il lettore conosce l'identità degli assassini, l'identità di tutti gli assassini, mentre la polizia, capitanata da un affascinante ispettore, continua a sfidarli al loro stesso gioco e a tentare di cogliere, invano, perfino la più piccola delle citazioni. La più lapalissiana è sotto i loro stessi occhi: Arianna, la sorella della giornalista assassinata, somiglia incredibilmente alla defunta Cassandra. La stessa bellezza nordica, gli stessi occhi chiari, la stessa tendenza a giocare ai detective: La donna che visse due volte... Danilo Arona, con una prosa impeccabile e una maestria da fare invidia ai più grandi nomi, firma un lungo, originale, sentito e scioccante inno d'amore a un genere cinematografico che non morirà mai. Il suo è un thriller che parla di thriller. Un omaggio colto e raffinato all'arte della paura. Raffinato nella scrittura e nelle intenzioni, ma meravigliosamente e impressionantemente pulp, per il resto. Lui – nato ad Alessandria, nel 1950 – ha avuto la fortuna di vivere gli anni d'oro del giallo made in Italy e di possedere l'abilità mai scontata di parlare dei cambiamenti che hanno saputo ripercuotersi su tutto, nel corso degli anni: il cinema è lo specchio della realtà. Dai grandi classici si passa all'era dei reboot e dei moderni remake, dagli anni del terrorismo si arriva ai (soliti) politici corrotti e alla (solita) crisi. Lui c'era quando Dario Argento era il re incontrastato, quando Lucio Fulci sconvolgeva le platee, quando i thriller avevano le uccisioni più crude e i titoli più lunghi, quando il rock dei Goblin faceva gelare il sangue e ricordare Profondo Rosso e le streghe cattive di Suspiria.
Tutto ricorda allora. Omicidi che occupano interi capitoli con la loro “inventiva” e i loro raggelanti dettagli, piogge di acido che deformano i visi, riflessi mortali come lo è lo sguardo di Medusa, coltellate sferrata da ogni lato, cadaveri riversi nei loro stessi umori, urla di donne che ricalcano il terrore antico di quando a colpire, nella Londra vittoriana, era Jack Lo Squartatore. Io sono le voci è esattamente quel tipo di thriller. Fisico, violento, viscerale, non psicologico. Scritto tra strade da percorrere alla luce rossa dei lampioni e non tra i labirinti di una mente deviata. Un thriller d'altri tempi, in cui agiscono indisturbati assassini d'altri tempi, legati tra loro dalla passione per il cinema e la morte e da un Cineforum dimenticato. Assassini ormai vecchi, ma lucidissimi. Con una ferocia inumana che non va mai in pensione, o a dormire. Mai. I numerosi personaggi sono descritti con la giusta dovizia di particolari, umani, sì, ma, in parte, volutamente abbozzati come avveniva nei sanguinosi gialli del passato. Il ritmo è frenetico, il sangue è copioso, il finale ammicca verso il lettore con un sorriso malato, sghembo. Distribuito da Edizioni Anordest – una piccola casa editrice da tenere d'occhio – e firmato da Danilo Arona – uno scrittore di cui ho ancora tanto da scoprire -, Io sono le voci è un chicca sublime per gli amanti di letteratura e cinema. Prendete i pop corn e sedetevi in poltrona, da soli. Al buio. Sullo schermo è proiettato un tremolante conto alla rovescia, prima dell'inizio dell'incubo. Se conoscete L'esorcista, Seven, Candyman, Red Dragon, Il villaggio dei dannati, Il gatto a nove code e Ti piace Hitchcock?, il libro che leggerete – e il film che vedrete – è quello che fa al caso vostro. Buona visione. And good evening Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Goblin - Suspiria

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