Recensione - Ippolita di Rita Sanna a cura di Armando Senior Tatta

Creato il 27 settembre 2013 da Andrea Leonelli @AndreaLeonelli
L’incipit del romanzo è la descrizione autunnale degli alberi spogli e scarni come vecchie carcasse, allusiva ad una riflessione amara sulla vecchiaia da parte di una ancora avvenente e sconosciuta signora: Ippolita.
La signora, quasi con moto di stizza, precisa: lei non e’ vecchia, e’ sana e lucida, ma “spontaneamente sola”.
Perché la scrittrice esordisce con questa constatazione? Indubbiamente perché ha già chiara l’architettura del romanzo, che lega l’inizio della trama alla sua fine secondo un percorso narrativo e logico , che apre con una presa d’atto dell’età che avanza e si conclude con la fuga dal “vecchiume”, sollecitata da insperati orizzonti futuri.
Colpisce la figura di Ippolita, enigmatica soltanto in apparenza, ma speculativa riguardo a certi problemi (eutanasia), cosciente di amare ancora la vita (“assaporo l’odore delle piante e della terra”).
Ippolita è una donna che sa osservare e osservarsi; è profonda nelle similitudini (“beccarsi come galline ruspanti”, dove quel ruspante sta a dimostrare forte sensibilità ai particolari perché il suo essere vibra e si emoziona osservando).
Le esitazioni emozionali di Ippolita somigliano a “fermo-immagini” di momenti emblematici del suo mondo affettivo: donna misteriosa, incerta, gelosa dei ricordi o oppressa da travagli relazionali intimamente sentimentali? Forse tutto o niente di ciò.
Comunque si impone come “personalità di classe”, sia nei gesti genuinamente misurati che nei gusti raffinati evidenziati nel modo di organizzare il suo quotidiano di “esule” per scelta.
C’é indubbiamente l’arte e l’ormai consolidato talento della scrittrice che continua a dare prova di capacità narrative e creative, con uno stile sempre raffinato e di una chiarezza e limpidezza espressiva che richiama le forme classiche della narrativa tradizionale.
C’é maestria nel dipingere con le parole gli ambienti e gli oggetti; maestria nel legare logicamente i monologhi e i dialoghi. Ogni rievocazione non e’ mai isolata o episodica, ma sempre ideologica spiegazione dei fatti narrati.
La iniziale quanto misteriosa Ippolita sembra l’immagine di un libro chiuso, intonso, dalla veste tipografica attraente che invoglia all’acquisto. Poi lo sfogli, lo leggi e ti accorgi che il contenuto è intrigante e ricco di continue sorprese “dietro l’angolo”. Alla fine il personaggio ti conquista e diventi “fan di Ippolita “.
Intanto ti soffermi a riflettere: in fondo questa elegante figura di donna non é altro che il prodotto creativo di un talento letterario che ha tenuto “in letargo” la sua arte narrativa per troppo lungo tempo.
Vero, signora Rita?
Quanta bravura negli stacchi narrativi; nel fissare in fermo-immagine i silenzi emotivi di Ippolita; e quel momento, palesemente lacerante, della “luna velata” guardata con occhi di pianto; quanta sofferenza nel suo passato, ma anche rivalsa di un carattere reso coriaceo dalle delusioni.
A mio avviso, Ippolita è un personaggio da sceneggiare, non solo per la bellezza morale della persona, ma e soprattutto perché l’intensità’ delle sue emozioni e la problematicità dei fatti vissuti ne fanno una figura reale, concreta, umanamente attuale.
Ippolita incarna la classica figura di persona che, trovandosi in un periodo di transizione della propria vita (anagrafica, lavorativa, professionale, ecc.) si mette in “stand-by” in un rifugio residenziale dove attendere possibili eventi per riprendere il filo del proprio modo di vivere.
Il tutto è narrato come inconsapevolmente guidato o voluto da un destino incompiuto nel suo passato di donna; una predestinazione, come lo era il suo nome mitologicamente evocativo.
Manca qualcosa che dia senso compiuto alla sua vita, come un elemento necessario a congiungere i due estremi di un cerchio; un evento che le desse l’occasione di portare a compimento la missione che madre natura affida a ciascuno di noi.
Rita Sanna, genialmente, materializza l’evento nell’incontro fra Ippolita e Martina; nella conseguente e netta percezione del “vecchiume” che ancora non si addice a Ippolita e nel risveglio prepotente del suo istinto materno che anela ancora a “una figlia che il destino… le ha negato”. La gravidanza di Martina è la novità che segna la svolta nel destino di ippolita, che le schiude un nuovo futuro e la convince ad “allentare il filo (della solitudine) che non si addice” alla sua personalità decisa e reattiva.
Ippolita non è rassegnata: è solo in “attesa”; e di ciò è consapevole laddove afferma “era sola, si, ma ancora in grado di …riprendere a vivere… solo se l’avesse voluto”. Nel suo profondo cela timori comuni a tutti i mortali: solitudine, paura delle malattie e l’incipiente vecchiaia, che la caratterizzano come personaggio reale.
Il romanzo presenta molti tipi meritevoli di sceneggiatura, come la vecchietta del residence con il cappellino spelacchiato di lana d’angora; la figura di Rodolfo così vera e ricca di umanità sofferta; della madre così assente e avara di affetti; di Martina con la sua vita di donna impegnata. La dovizia di monologhi e descrizioni d’ambiente ben si prestano a tradursi in espressivi dialoghi.
E l’intermezzo amoroso con William? E l’entrata in scena del carismatico Renzo?
La storia di Ippolita ha tanto da insegnare a chi vuole uscire dal tunnel delle avversità della vita; dalla frustrante ingratitudine umana; a chi ha a lungo patito per i gravi errori degli altri; a conservare un attivismo mentale anche nei momenti di inedia; a chi vuole essere sempre propositivo; a chi ama la vita e vuole viverla.
Tutta la trama del romanzo è una espressione di vita e un inno alla speranza.


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