Irrational Man, un film di Woody Allen. Con Joaquin Phoenix, Emma Stone, Parker Posey.
Uno dei Woody Allen meno battutari e piacioni, più duri, neri e disincantati. Come Crimini e misfatti e Match Point. Professore di filosofia con smanie superomistiche progetta un delitto perfetto. Ritratto allarmante di un uomo che si sente svincolato dalla comune morale. Peccato che nella seconda parte Irrational Man diventi un gialletto improbabile, con un sottofinale di massima goffaggine. Voto 7
Uno dei Woody Allen meno battutari e più disincantati e cupi. Di quelli del filone nero che va a indagare il peggio degli umani, l’avidità, il vizio, il pregiudizio, la violenza, la mancanza di ogni pur minima morale. Per capirci, con questo Irrational Man siamo dalle parti di Crimini e misfatti e Match Point, con tanto di delitto voluto, goduto e assaporato, e voluttuose citazioni dostojevskiane come piace fare all’intellettuale newyorkese Allen. Si ride poco, quasi niente, in un film che per la prima pate, e anche oltre, è un piccolo prodigio di narrazione, dialoghi tersi e funzionali, caratteri delineati con mano infallibile, una trama che scorre senza il minimo ingorgo e intoppo. Da mostrare nelle scuole di cinema, ecco. Poi. Poi nella parte seconda Irrational Man si perde, si banalizza a piccolo giallo tendendo a somigliare pericolosamente a Misterioso omicidio a Manhattan, ma resta comunque il migliore tra gli ultimi Allen insieme a Blue Jasmine. Al centro, uno Joaquin Phoenix non proprio in smagliante forma fisica, appesantito, con evidentissima pancia, eppure (almeno secondo il copione) di irresistibile ascendente erotico sulle sue studentesse e colleghe di università. Interpreta difatti un professore di filosofia in una di quei college upper class della East Coast genere Ivy League. Arriva già circonfuso di un’aura di femminiere maledetto, e subito lo bracca una collega sposata e annoiata (una strepitosa Parker Posey), mentre l’allieva studiosissima Emma Stone, per quanto fidanzata a un buonissimo ragazzo, finirà con l’innamorarsi di lui. Per via di quello spleen da filosofo depresso sempre lì a concionare di Kant e Kierkegaard. Ma è quando gioca intemerato alla roulette russa che conquista definitivamente la studentessa, solleticandola sul versante crocerossina-Io ti salverò. Da lì al mettersi insieme è un niente e quando i due captano al ristorante una conversazione in cui una donna separata di dispera per i figli che il giudice, amico del marito, le ha sottratto, decide di passare all’azione. Lui, imbevuto di filosofia e anche di cattiva filosofia e di un certo superomismo, comincia a pensare che liberare il mondo da quel giudice corrotto sarebbe un’ottima cosa, e escogita il delitto perfetto. Lo ucciderà. Fin qui il film è ottimo, fino a quando ritrae un intellettuale narciso che si erge a giudice e giustiziere dei mali umani, e che dopo il delitto trova non solo legittimazione teorica in qualche anfratto della sua filosfoia ma anche quella pacificazione interiore che aveva perduto da tempo. Quello che segue è però un gialletto che si vorrebbe hitchockiano, ma senza la grinta e la perfezione maniacale di Hitchcock. Con indagini sgangheratissime, con errori su errori del colpevole e di chi cerca di stanarlo. Con un sottofinale di rara goffaggine che vorrebbe essere drammatico ed è solo ridicolo. Però il buono di Irrational Man è davvero molto buono, come sempre quando Allen rinuncia a fare il piacione con battute a raffica e guarda al cuore nero del mondo. Il superomismo del professore ricorda comunque almeno altri due Hitchock, Cocktail per un cadavere con la sua coppia diabolica in cerca del delitto gratuito e perfetto, e Delitto per delitto (da Patricia Highsmith) con il suo pazzo omicida.