Trama: Estate 1973, Heavens Bay, Carolina del Nord. Devin Jones è uno studente universitario squattrinato e con il cuore a pezzi, perché la sua ragazza lo ha tradito. Per dimenticare lei e guadagnare qualche dollaro, decide di accettare il lavoro in un luna park. Arrivato nel parco divertimenti, viene accolto da un colorito quanto bizzarro gruppo di personaggi: dalla stramba vedova Emmalina Shoplaw, che gli affitta una stanza, ai due coetanei Tom ed Erin, studenti in bolletta come lui e ben presto inseparabili amici; dall'ultranovantenne proprietario del parco al burbero responsabile del Castello del Brivido. Ma Dev scopre anche che il luogo nasconde un terribile segreto: nel Castello, infatti, è rimasto il fantasma di una ragazza uccisa macabramente quattro anni prima. E così, mentre si guadagna il magro stipendio intrattenendo i bambini con il suo costume da mascotte, Devin dovrà anche combattere il male che minaccia Heavens Bay. E difendere la donna della quale nel frattempo si è innamorato.
Recensione:
A cura do Loredana GasparriPenso di aver letto tutto di Stephen King, finora, a parte pochissime eccezioni. Per quanto i temi della sua narrativa si ripetano, ogni suo libro è un universo a se stante, con le sue regole e i suoi svolgimenti. In tantissime storie assistiamo all’irruzione di presenze inquietanti, fantasmi, creature ostili di altri mondi nella vita di ignari esseri umani, portando angoscia e morte, ma ogni volta è come se fosse la prima volta. Joyland non fa eccezione.Devin Jones, l’io narrante, incomincia rievocando l’estate del 1973, quando era un universitario squattrinato di ventun’anni, alle prese con diversi problemi spinosi e molto tipici di quell’età. Trovare un lavoro temporaneo sufficiente per pagarsi gli studi, approfondire la conoscenza della sua sfuggente fidanzatina, restia a passare a familiarità più complete, trovare un posto dove abitare, possibilmente vicino al lavoro, capire cosa fare “da grande”.
Da ventunenne, la vita è come una cartina stradale. Solo quando arrivi ai venticinque o giù di lì, cominci a sospettare di averla guardata capovolta, per poi esserne certo intorno ai quaranta. Arrivato ai sessanta, fidatevi, capisci di esserti perso nella giungla.Stephen King ha un modo tutto suo per parlare al lettore, intervenendo sulla trama senza alterarla, usando una doppia voce. La prima, che in questo libro coincide con quella di Devin Jones, racconta eventi, sensazioni, scherza, si arrabbia, riferisce opinioni. La seconda, la sua, emerge di colpo e a tu per tu con il lettore, lo mette a parte di piccole grandi saggezze da applicare nel quotidiano, come se fosse un padre, un fratello maggiore, un amico anziano. Non un guru: queste parole arrivano direttamente dalle cicatrici lasciate dalle esperienze sgradevoli. Devin risolve il primo dei problemi presentandosi al parco divertimenti di Joyland, per lavorare come tuttofare, insieme ad altri ragazzi e ragazze della sua età. Quasi contemporaneamente risolve il terzo, affittando una stanza presso la pensione della signora Emmelina Shoplaw, vedova di un capocantiere del parco di divertimenti, conoscitrice particolarmente approfondita della storia di Joyland. Una storia che quattro anni prima si era arricchita di un fantasma: una ragazza, Linda Gray, venne uccisa dal fidanzato alla fine di una gita proprio a Joyland. Il suo cadavere venne ritrovato vicino all’attrazione horror del Castello del Brivido, e da quel momento si mormora che il fantasma “reale” della vittima si aggiri proprio in quella zona del parco, ma non sono molti quelli che l’hanno avvistato, e quando questo capita, nessuno ne parla volentieri. Il resoconto di questo triste fatto di cronaca passa quasi come un aneddoto, da aggiungere al folklore del parco, e di cui dimenticarsi in fretta. Devin si ritrova immerso in una nuova vita frenetica, che lo aiuta a sopportare un po’ meglio l’improvviso abbandono della fidanzata, senza spiegazioni, ed effettuato in modo subdolo. Niente autocommiserazione troppo a lungo, per Devin Jones: sul lavoro deve rendere al massimo, correndo dove c’è bisogno di lui, e nella pensione della signora Shoplaw, dove si è trasferito per essere vicino al parco, la padrona di casa e le altre ospiti si prendono cura di lui a modo loro, con discrezione. Fino a questo punto, il tono della narrazione e gli eventi descritti lasciano intendere una situazione squallida, dove la mancanza cronica di denaro, la difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo, dipingono una vita che è pura lotta per la sopravvivenza. Lo stesso Devin fa la figura del giovane sempliciotto idealista, troppo timido per sbattere i pugni sul tavolo e prendersi quello che vuole, e per non farsi prendere in giro da una furba ragazzetta da due soldi. Nella comune parlata americana, un loser, insomma. Il lettore si ritrova a compatirlo, per poi meravigliarsi subito di come sia un vincente, suo malgrado. Quasi impercettibilmente, il tono della narrazione cambia; mentre la realtà diventa più solare e più positiva, la dimensione ultraterrena, introdotta dal fantasma, comincia a farsi sotto. Devin, colto da un’intuizione improvvisa che gli permette di ribaltare una situazione potenzialmente disastrosa, riesce a diventare una delle attrazioni più importanti del parco, nei panni pelosi e caldissimi di Howie, il cane lupo simbolo del parco.
Mi fermai all’incrocio tra Via Toffoletta e Corso Caramella, esattamente sotto due altoparlanti al massimo del volume. Alto quasi due metri, dalle zampe posteriori alle orecchie a punta, dovevo fare una certa impressione. Salutai con un inchino i marmocchi, che mi fissavano con la bocca spalancata e gli occhioni sgranati, e cominciai a ballare l’hokey pokey. La tristezza e lo sgomento provocati dalla fuga dei genitori vennero presto dimenticati. I miei piccoli spettatori scoppiarono a ridere, alcuni con le lacrime che ancora luccicavano sul volto. Mentre ero impegnato nella mia goffa danza, non trovarono il coraggio di farsi sotto, ma mi accerchiarono in massa.