Recensione: L’AMORE BUGIARDO (GONE GIRL). Uno dei film più sopravvalutati del 2014

Creato il 19 dicembre 2014 da Luigilocatelli

L’amore bugiardo (Gone Girl), un film di David Fincher. Dal romanzo di Flynn Gillian. Con Ben Affleck, Rosamund Pike, Neil Patrick Haris, Tyler Perry.Preceduto da un buzz incontenibile e dal gran successo in dollari al box office Usa, finalmente è arrivato. Rivelandosi, a conti fatti, alquanto deludente. Una donna scompare, si sospetta fortemente c’entri il marito. Ma è solo l’inizio di una serie di continui twist e rovesciamenti di fronte. Una storia così tortuosa che si fa fatica a crederci. Altro che vivisezione spietata di un matrimonio, come da qualche parte (americana) s’era scritto. Resta il mestiere di David Fincher, che riesce a non annoiarci nonostante la lunga durata (2 ore e mezzo). Voto 6 menoFinalmente è arrivato, dopo aver fatto il botto d’incassi in America (165 milioni di dollari, e non è mica finita la corsa, una cifra sbalordente per uno psycho-thriller) e dopo essere stato testato col pubblico italiano al festival (o festa?) di Roma. Circonfuso pure da una cert’aura di capolavoro o quasi per via di alcune – non tutte – reviews mirabolanti in terra statunitense e per la fama e il credito accumulati dal suo regista David Fincher. Uno che con The Social Network ci aveva fatto intravedere cose belle, accendendo in noi la speranza di aver trovato un Autore Maximo, salvo deluderci subito dopo con l’inutile, esteriore versione by Hollywood di Uomini che odiano le donne. Il guaio è che con questo Gone Girl delude ancora, inducendo in noi il forte sospetto che non sia fatto della stoffa dei grandi. Intendiamoci, L’amore bugiardo – titolo non infedele, per carità, non traditore, però assai al di sotto dell’originale Gone Girl e della sua ambiguità e un filo sciampistico, ecco – è un thrillerone che per buona parte delle sue due ore e mezzo riesce ad avvincerti, riallacciandosi a un genere – quello dei giochi sporchi di coppia, del jeu de massacre a due – che a Hollywood ha sempre prosperato e anche prodotto fior di capolavori (di Hitchcock, di Lang, di Cukor). Solo che qui non si va mica tanto in profondità, mirando più all’accumulo dei colpi di scena – adesso si dice twist – che alla consistenza e plausibilità di personaggi e storia. Pensare che qualcuno in America ha parlato di coraggiosa vivisezione da parte di Fincher degli aspetti più luridi e tenebrosi di una vita di coppia, di un Scene da un matrimonio piagato e corrotto dalle paranoie e dai sadismi incrociati dei partner. Sì, Gone Girl sarebbe potuto essere questo, se la ben nota propensione registica di Fincher a rappresentare il sordido e l’abietto, l’oscuro e il patologico (vedi Seven, vedi Zodiac) fosse stata messa al servizio di un progetto serio. Di uno scavo davvero implacabile dei meccanismi malati lui-lei. Per carità, ci sono momenti notevolissimi, soprattutto nella messa in scena dell’intervento manipolatore dei media, ma i protagonisti non palpitano mai di verità, restano manichini di una tortuosissima e in gran parte gratuita storia da libro ferroviario (o da aereo, che è lo stesso). Non ho letto il romanzo di Flyann Gillian, l’impressione però è che i difettacci del film arrivino soprattutto da lì. Che è poi il sacrificare tutto, anche il buonsenso, al bisogno compulsivo di épater lettore e spettatore invischiandolo in una sequenza di rivelazioni e controrivelazioni, in una sospensione che da mezzo diventa fine unico, assoluto e tirannico della narrazione.
Nick e Amy si conoscono, giovani e belli, a New York. Tutti e due ben piazzati socialmente, lui con il suo lavoro presso un editore e le sue aspirazioni di romanziere, lei per via dei molti soldi messi da parte grazie alla serie di libri Amazing Amy realizzati ispirandosi a lei fin da quando era piccola dai furbi genitori. Lei naturalmente pencola un po’ pirandellianamente tra quello che è (ma chi è davvero?) e il personaggio che le hanno cucito addosso. Si piacciono, si amano, si scopano furiosamente. Li ritroviamo qualche anno dopo, con cinque anni di matrimonio alle spalle e ormai alquanto spenti, non più a NY ma a Noth Carthago, Missouri. Un posto in culo al mondo che è il paesello natio di Nick e dove si son trasferiti dopo che lui ha perso il lavoro e che sua madre si è ammalata di cancro. Il ragazzone – è Ben Affleck difatti – ha aperto (con i soldi di lei) un bar insieme all’adorata sorella genella, lei vivacchia tra insoddisfazioni e bovarismi da neocasalinga disperata di privincia. Ma nel giorno del quinto anniversario del loro matrimonio Amy scompare. La polizia rintraccia sangue in casa. L’hanno ammazzata? l’hanno sequestrata? l’hanno aggredita per chissà quali motivi? E comincia il giallaccio. Sorgono comitati per il suo ritorno a casay, Nick è visibilmente afflitto, nonché impegnatissimo nel suddetto comitato. Ma non basta ad allontanare da lui i sospetti. Già, perché si comincia a insinuare che lui Amy l’abbia fatta fuori, e a darci dentro nel montare la faccenda e nel demonizzarlo è una jena di un qualche tv che trasforma ben presto Nick nel perfetto mostro americano della porta accanto. Non posso dire niente, ovvio, di quel che segue, se non che succederà moltissimo, con giravolte in parte attese e fin troppoo telefonate, e altre assolutamente impreviste. Con un finale molto interessante che esula alquanto dai cliché e fuoriesce dal solito banale. Il problema è che gli autori (cartacei e filmici) si lasciano trascinare dal meccanismo inesorabile che loro stessi hanno innescato senza più riuscire a dominarlo. I due protagonisti perdono progressivamente ogni traccia di verosimiglianza per diventare pure funzioni del congegno produttore di suspense. Un errore che i grandi alla Hitchcock e alla Lang avrebbero evitato. I loro personaggi non erano (quasi) mai sopraffatti dalla trama, quelli di Gone Girl sono invece oggetti, burattini mossi dal fin troppo visibile ed evidente storyteller. Mi dicono che il libro sia meglio del film, più chiaroscurato e ambiguo. Sarà, ma non mi vien voglia lo stesso di leggerlo. Certo, il film è fortemente sbilanciato, non distribuisce equamente i torti e le turpitudini tra lui e lei, facendo di Amy una stronza colossale e di Nick la sua vittima. Non riuscendo a giustificare il finale che resta sì molto interessante, ma non troppo conseguente rispetto a quanto abbiamo visto fino a quel momento. Soprattutto, si sarebbero dovuto intensificare e sottolineare le zone d’ombra di lui. Ben Affleck è, al solito, rocciosamente inespressivo, e però a posto e molto credibile nel suo character di beefcake del MidWest (ma che la smetta di metter su massa muscolare, che tra poco farà fatica a portarsi in giro). Il film se lo acchiappa comunque Rosamund Pike, che sfrutta bene le chance offerte dalla sua femmina forse fatale forse no. Chi la pensava solo una bella bambola bionda si deve ricredere, Pike è un’attrice. Se le daranno una nomination Oscar, come si predice sui siti specializzati, non sarà uno scandalo.


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