Recensione: L'estate dei segreti perduti, di Emily Lockhart
Creato il 06 luglio 2014 da Mik_94
Ciao
a tutti, amici, e buona domenica! Nuova recensione, questa mattina.
Vi parlo di un romanzo recentissimo, indubbiamente notevole sotto
molti punti di vista, che però mi ha deluso. Interessante come young
adult, piuttosto fiacco come mistery. Il finale previsto in
anticipo e la seriosità del tutto non hanno reso nemmeno
“divertente” – come accade spesso con un Dorn, un Fitzek, un
Koontz – farmici condurre. Peccato. Io devo iniziare ufficialmente a
ripetere, quindi auguratemi buona fortuna! A presto e buone letture.
Fai
ciò di cui hai paura.
Titolo:
L'estate dei segreti perduti
Autrice:
Emily Lockhart
Editore:
DeAgostini
Numero
di pagine: 315
Prezzo:
€ 14,90
Sinossi:
Da
sempre la famiglia Sinclair si riunisce per le vacanze estive su una
piccola isola privata al largo delle coste del Massachusetts. I
Sinclair sono belli, ricchi, spensierati. E Cady, l'erede di tutta la
fortuna e di tutte le speranze, non fa eccezione. Ma l'estate in cui
la giovane Sinclair compie sedici anni le cose cambiano. Cady si
innamora del ragazzo sbagliato e ha un incidente. Un incidente di cui
crede di sapere tutto, ma di cui in realtà non sa nulla. Finché,
due anni dopo, torna sull'isola e scopre che niente è come sembra
nella bellissima famiglia Sinclair. E che, a volte, ci sono segreti
che sarebbe meglio non rivelare mai.
La recensione
“La
vita è meravigliosa quel giorno. Noi quattro Bugiardi, uniti come
siamo sempre stati. Come lo saremo sempre (...) Ovunque andremo, ci
ritroveremo sempre sul tetto di Cuddletown Housa a guardare il mare.
Questa è la nostra isola. In un certo senso, qui resteremo giovani
per sempre.” Mi incuriosiscono gli esperimenti. Gli
accostamenti strani. L'idea alla base di L'estate dei segreti
perduti - i protagonisti adolescenti e i toni cupissimi, l'amore
e la morte, la gioventù e la perdita dell'innocenza - non sono, in
realtà, elementi così inconsueti come appaiono. Si sposano alla
perfezione. Il teen thriller, al cinema,
va forte. Piace. In ambito letterario, invece, piuttosto raro trovare
libri da inserire nella categoria. Troppo infantile Pike. Sempre e
comunque troppo maturo King. Il romanzo della brava Emily Lockhart, a
pieno diritto, entra a far parte di questo curioso sottogenere. E
com'è il romanzo? Be', nonostante il titolo italiano piuttosto
anonimo, mi ha attirato al primo sguardo. L'ho voluto, perché i
commenti in rete erano positivi e il buon John Green, sulla fascetta
promozionale, me lo consigliava a gran voce. Definiva il romanzo
“straordinariamente intelligente”. Indubbiamente, L'estate dei
segreti perduti sciocco non è.
Per essere un romanzo per ragazzi è maturo, feroce il giusto,
brutalmente diretto. Parte nel migliore dei modi. Se è vero che
l'incipt è tutto, l'autrice sfodera gli artigli e, dal cilindro,
tira fuori frasi d'effetto e capitoli che ti accolgono in maniera
spiazzante; assurda. Leggevo e trovavo il romanzo dannatamente
affascinante. Da perderci il sonno. La narratrice mi irretiva in
periodi lapidari, in isole private e demoni immaginari. Cady
Sinclair è la nipote numero uno di Harris e Tipper Sinclair. I suoi
nonni hanno un'isola con il loro nome per le vacanze estive, soldi
che non puoi contare, capelli biondi che non ingrigiscono, tratti
marcati che le rughe e l'età non rendono flaccidi. Sono bellissimi,
alti, gioviali e hanno dato vita a una discendenza di figlie e nipoti
bellissimi, alti e gioviali per eredità diretta. Allevano
generazioni intere di Golden Retriver e nessun estraneo è ammesso
nella loro corte, disegnata dagli architetti più in voga, arredata
dai personal designer della televisione. I generi sono lontani,
chissà dove, e il sangue della loro stirpe ariana non può
mescolarsi a dna
straniero, barbaro, diverso. Ogni estate si ritrovano lì, dove tutto
rimane uguale, mentre il mondo esterno cambia. Una torre d'avorio nel
mare, un'isola che non c'era e poi c'è stata, un'ermetica prigione
d'oro bianco, sabbia pallida e acqua salata.
I Sinclair sembrano
vivere solo d'estate. Creature fatate, magiche, che il sole rende
abbronzati e belli e la compagnia dei loro simili loquaci e
affiatati. Cady, sfrontata e ribelle, ci spalanca le porte di quella
reggia, irraggiungibile per chi non ha il loro stesso, privilegiato
sangue blu; abbassa i ponti levatoi; fa sì che la nostra barca a
vela attracchi a riva con conseguenze (im)prevedibili. Benvenuti a
Beechwood Island. Benvenuti nel cervello di una diciassettenne con i
pensieri spenti per black out improvviso. La Candy di adesso ha tinto
i capelli di nero, ma la ricrescita bionda inizia a vedersi. Si
libera delle cose che ha amato e dà disegni, sciarpe a righe,
collane e bracciali in beneficienza. Non vuole essere più la ragazza
materiale che tutti giudicano snob, non vuole essere più una
Sinclair. Vuole vivere tutto l'anno, non solo per quei tre mesi
d'estate, in cui – coi Bugiardi – fa bagni notturni, falò sulla
spiaggia, infinite partite a Scarabeo. Aspetta di vedere Johnny e
Mirren, gli unici cugini con i quali ha in comune la stessa età, e
Gat. L'estraneo, l'intruso, l'ospite a tempo indeterminato. Passa le
estati con loro da anni, lui, ma ha la pelle da indiano, una progenie
diversa, un mondo interiore che nessuno conosce. Entra in quel
girotondo d'anime per caso e ci resta, indugiando sempre sull'uscio:
il patriarca – anziano, rigido, un po' razzista – gli ricorda
che non è uno di loro. Un perfetto Sinclair. Cady s'innamora di lui
per quello. Lo capisce sulla soglia della cucina, mentre lo guarda
leggere i migliori libri del mondo, mettere petali di rosa in una
busta, andare in spiaggia coi pantaloni del pigiama e il petto nudo.
Con le giornate lunghe e il sole caldo che picchia in testa, scappano
baci, carezze, promesse che il vento si porta via. Si perdono per i
restanti nove mesi dell'anno, si ricordano della loro esistenza e del
loro sentimento solo da giugno a settembre. Perché la protagonista
non ricorda quello che è successo nell'estate numero quindici?
Perchè è drogata di antidolorifici, schiava di emicranie cattive,
soggetta a capogiri continui e a flashback che non avvertono prima di
far male? La Lockhart – abilmente – fa di queste domande un
mistero che dura trecento pagine e più. Delinea una protagonista dai
tratti stranissimi e dagli usi unici.
Si appunta frasi sulle mani, a
destra e a sinistra; pensa al suo funerale, ma mai al suo matrimonio;
fa delle persone che la circondano personaggi di fiabe nere come la
mezzanotte che, con ordine certosino, appunta nei suoi taccuini
nascosti. Il romanzo non conosce il piattume e la banalità dei
comuni young adult. Sorprende con uno stile affilato, strega, soffia
fumo negli occhi. E tu non sai dove mettere i piedi e le mani. Non
sai dove guardare. Ma io sapevo, da metà in poi, dove stavo andando.
Avevo intuito il colpo di scena finale e speravo, comunque, che
l'autrice sapesse farmici arrivare con un sorriso furbo, divertito,
cinico. Invece, L'estate dei segreti perduti
stilisticamente ha un mare di
pregi che, a lungo andare, si perdono in un mare di monotonia.
Purtroppo, la narrazione appare scostante; spossa. Il tutto – il
bello e il brutto – stufa: quelle descrizioni sanguinolente della
psiche di Cady che non sai se siano metafore, oppure no; quei
passaggi dolciastri, giovanilisti, senza freschezza, che liricamente
vorrebbero fare della protagonista e di Gat i Catherine e Heatchliff
delle nuove generazioni; le chiacchiere alla luce delle stelle, slegate dal contesto, l'eccessiva avidità degli
adulti, il mostruoso egoismo dei piccoli; le faide familiari, i nomi
delle varie case, le discussioni o le adulazioni per l'agognata
eredità. Alcuni dialoghi mi sono sembrati buttati così, per
riempire spazi bianchi. I capitoli non corti, ma da
telegramma, fanno sbuffare spazientiti, dopo poco. Mentirei se dicessi
di non avere apprezzato la prosa dell'autrice: le favole nere senza
mai lieto fine, i punti e a capo continui, le parole incolonnate
senza una logica precisa, le metafore splatter. Tutto è troppo,
però, è il troppo stroppia, per usare uno dei modi di dire tanto
cari a nonno Harris. Mai come in questo caso, pregi e difetti si
possono soppesare. I lati positivi, palesi, stanno in quella prosa
spezzettata, elementare, aguzza, ma accattivante come poche. Tra le
righe, idee intriganti e una scrittura che si scopre piena di ombre
densissime. Gradualmente, però, si scoprono anche gli aspetti
negativi. Quella che, per me, è prevedibilità; ripetizioni
eccessive; superflui dettagli di troppo. Il romanzo, piuttosto breve
e veloce, avrebbe dovuto contemplare l'eliminazione di più
di qualche particolare inutile. Il coraggio non manca, la carne al
fuoco è tanta, ma il meccanismo – a un certo punto – si è
inceppato e andare avanti ha significato imbattersi in elementi
innocui, ma che, ormai stanco, giudicavo fastidiosi. Ad esempio,
i refusi della traduzione italiana. Ad esempio, la parola “benzina”
ripetuta per una decina di volte in due, tre pagine di fila. Bho. Qualcosa, tra me e la Lockhart, non ha funzionato, nonostante
l'originalità di alcuni passi. Nonostante la qualità della
scrittura e la costruzione di un misterio per una vicenda, tutto sommato, poco
misteriosa. L'angoscia accumulata si è sgonfiata come un palloncino di plastica. Piacerà a chi mastica poco il genere e, giovanissimo o soltanto poco
appassionato, non conosce la cinematografia di Carpenter, Scorsese e un Amenàbar a caso. L'estate dei segreti perduti, dunque, è
un libro dalla personalità fragile - psicolabile, paranoico,
problematico. Forte. Mi ha indispettito, eppure non lo sconsiglio, se non ai lettori più smaliziati. Ha
le inquietudini lievi e i toni di un romanzo d'appendice con pareo,
bikini e infradito. Ricordi in frantumi di un'estate da dimenticare.
Valutazione tirata, la mia, per un'autrice promettente, intelligente, ma che non si
applica.
Il
mio voto: ★★½
Il
mio consiglio musicale: Lykke Li – No Rest For The Wicked (canzone stupenda)
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