Ciao
a tutti, amici! Come state? Qui, tutto bene. Tornato a casa, ieri, mi
sono messo all'opera. Eccomi qui, dunque, a parlarvi della mia ultima
lettura. Una recensione più breve e disordinata del solito, ma non
avevo molto da dire e non sapevo, francamente, come dirvelo. L'estate
del coniglio nero è un libro semplice come pochi, nella
struttura del mistero, ma mi ha profondamente affascinato. Non vi
dico niente della trama. Vi parlo solo di un autore tanto, tanto
bravo di nome Kevin Brooks. Un abbraccio e buon weekend, M.
Allora
eravamo amici. C'erano legami tra noi. Ma allora le cose erano
diverse. Noi eravamo diversi. Eravamo bambini. Poi a poco a poco
tutto era cambiato. Il mondo diventa più grande, ci si perde di
vista, gli amici d'infanzia diventano “gente che conoscevi”. Sì,
li conosci ancora, li vedi a scuola tutti i giorni, li saluti ancora,
ma non sono più quelli che erano.
Titolo:
L'estate del coniglio nero
Autore:
Kevin Brooks
Editore:
Piemme “Freeway”
Numero
di pagine: 423
Prezzo:
€ 15,00
Sinossi:
È
un'estate torrida e Pete ha già passato diverse settimane senza fare
altro che ciondolare per casa. Fino a quando una telefonata gli
cambia la vita per sempre. È Nicole, gli chiede di vedersi. Presto
si separeranno, ognuno per la propria strada, il college, Parigi...
Sarebbe bello incontrarsi per l'ultima volta con il gruppo dei vecchi
amici, solo loro quattro: Pete, Nicole, Eric e Pauly. Pete le chiede
di Raymond, anche lui è un vecchio amico, fa parte del gruppo. È
vero, è un tipo strano, sembra vivere in un mondo tutto suo al cui
centro c'è un coniglio nero; ma Pete gli è molto legato e vuole che
sia con loro. Quella notte, però, quando si trovano al luna park,
Raymond scompare. E anche Stella Ross, una ragazza del loro liceo
diventata famosa. Tutti pensano che i due eventi siano collegati, che
Raymond lo strano sia il colpevole. Pete vuole dimostrare a ogni
costo che si sbagliano, ma quando segreti, rancori e vecchie gelosie
mettono gli amici uno contro l'altro, anche le sue certezze
cominciano a incrinarsi...
La recensione
“Quando
era iniziato tutto? Quattro giorni prima? Quattro anni prima? Quattro
amici prima?”
Kevin Brooks scrive il caldo, la noia, la pigrizia.
Ricrea la fiacchezza fisica, la spossatezza mentale, l'indolenza dei
sedici anni. Dà vita all'estate. Con una penna – dai tratti ora
sottilissimi, ora marcati – che scava, suggerisce, crea. Che crea
tre mesi di giorni tutti uguali. L'arrivo delle giostre in città, la
partenza dei vicini per luoghi esotici, i lati più brutti del caldo.
E tu vedi i fiori morti, l'erba gialla e stremata, le facciate delle
case che sudano, i rami spogliati da un inverno a trenta gradi. Un
inferno per villeggianti. L'alcol, e i cerchi alla testa, e le gambe
che ballano senza musica, e la vescica che rischia di scoppiare, e la
gastrite. Il caldo che sbriciola le strade e gioca a creare nuovi e
tremolanti forme con il sole e le ombre. Le giostre, con le luci, i
colori, le discoteche erranti. Gente che pomicia, gente che vomita.
Gente che va, gente che viene. Un protagonista indecifrabile.
Familiare e del tutto alieno. Obnubilato, fatto, sfatto. Una persona
che non sa dire di no. Un ragazzo troppo buono, nel profondo: gli
passano una canna e non sa dire di no; gli passano l'ennesima
bottiglia e non sa dire di no; gli chiedono un bacio, un abbraccio,
un po' di affetto e non dice di no. Mai. L'estate del coniglio
nero racconta una settimana della vita di Pete e l'adolescenza
intera, ma con gli strumenti del thriller. D'altronde, che c'è di
più misterioso? Un'età sottile, un ponte tibetano sospeso su un
fiume nero, una discarica in fiamme, una città di gente che eri
solito conoscere. Assi sottili, funi sfilacciate, il rischio di
cadere giù ad ogni passo. Inquieta, ma affascina. E' vertigine pura.
Non è il romanzo dell'anno, vero. Correre in libreria per
accaparrarsene una copia non è indispensabile. Eppure, con questo,
non voglio dire che non mi sia piaciuto. Resta uno dei più incisivi
ed interessanti letti nelle ultime settimane. L'ho capito da quel
prologo che mi ha reso lo sfuggente Pete stranamente vicino. Disteso
sul letto, con la serranda abbassata, per sconfiggere la noia con
altra noia. Quando stendersi per due minuti significa finire per
addormentarsi per due ore. Il calore che concilia il sonno, i grilli
troppo stanchi per cantare, le mosche che hanno tanta sporcizia su
cui ronzare. Gli amici c'erano, poi non ci sono più. Tutto è al
passato, tutto è passato. Alcuni passaggi sono da imparare a
memoria, riscrivere e incorniciare. Basta aver compiuto il salto,
infatti, da una classe all'altra, da una scuola all'altra, per
comprenderli a fondo. Quello che unisce i liceali è il liceo. Stessa
cosa se, con l'arrivo dei quattordici anni, hai finito le scuole
medie.
Cosa triste, cosa vera. Pete e i suoi amici si illudono del
contrario, anche se sanno di sbagliarsi. Si rincontrano dopo qualche
anno. S'incontrano nel loro vecchio rifugio, ma in una manciata di
anni troppe cose cambiano. Un po' come accade in quelle rimpatriate
tra ex compagni di corso, organizzate a dieci anni dalla laurea.
Nicole, Eric e Pauly sono piccoli, ancora. Non hanno messo su
famiglia, non hanno un lavoro, non hanno bambini nati per errore. Ma
fanno cose da grandi. Cose bruttissime. Giocano ad impossessarsi del
peggio della vita da adulti. Giocano inconsapevolmente con la morte.
L'autore è formidabile e può permettersi tutto, o quasi. Tante
pagine sono sincere, vibranti, dirette e la descrizione di
un'adolescenza corrotta, brutta, sporca e cattiva fa capire
immediatamente che non ci troviamo davanti a uno young adult scritto
e pensato in America. L'estate del coniglio nero è
Skins, è Paranoid
Park. Le droghe, il sesso,
l'alcol, la problematicità. A livello “thriller” non offre nuovi
spunti: una storia come tante, classica nella sua semplicità, ma è
a livello “young adult” che ci mostra un mondo che tanti negano e
pochi conoscono. Un ripido Grand Canyon, una piscina svuotata, un
circo di passaggio. Un libro distorto. Un incubo artificiale, indotto
da droghe sintetiche e brutti ricordi. Una trama effimera, comune, ma
che si regge bene, e su pochissimo. Non c'è grosso stacco dai fatti
descritti nella corposa sinossi, ma piace lo stesso. Per come è
scritto. Per il fegato e il cuore. Per il vomito e l'onestà. Per
l'effetto perpetuo di annegare nell'hangover. “Credo
sia tutta una questione d'amore. Eh, sì. E' una faccenda crudele,
l'amore.”
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Eminem – Lose Yourself