Al giorno d'oggi capire cosa sia reale e capire cosa non lo sia è difficile, anzi, a volte addirittura impossibile. Perché ormai realtà e la finzione si confondono, si fondono, si amalgamano continuamente, si nutrono l'una dell'altra. E, a volte, la finzione diventa più reale del reale proprio quando la realtà diventa inaffidabile perché guardata da un punto di vista soggettivo, personale. Quando il reale arriva a stupire e a estraniare, persino a non convincere mostrando imperfezioni e buchi di sceneggiatura. Quando lo metti in scena e sembra fiction. Forse perché viviamo nell'epoca dei punti di vista. Di televisione, radio, internet. Del populismo estremo e del siamo tutti critici del mondo che ci circonda. L'epoca di facebook, degli smartphone, delle selfie e della propria opinione a tutti i costi. Della finzione spacciata per reality da un Grande Fratello qualunque. Del mockumentary e del found footage.
Poi uno va a vedere L'Impostore - The Imposter ed ecco che la confusione regna sovrana. Sì, perché il documentario del 2012 diretto da Bart Layton e prodotto tra Stati Uniti e Inghilterra, con ben sei nomination al British Independent Film Awards e una vittoria al BAFTA (gli Oscar inglesi), che ha riscosso consensi al solito Sundance Film Festival e che qui da noi (ovviamente) è arrivato con ben due anni di ritardo (qualche settimana fa nei nostri cinema), rimane costantemente in bilico e ti lascia interdetto per tutta la sua durata, impossibilitato a sbilanciarti ma sempre con un "ma dai" sulle labbra pronto ad esplodere. Il mockumentary perfetto, l'avrei definito io, se non fosse che la finzione, qui, è relegata solo a quei momenti di fiction in cui i fatti reali qui narrati vengono ricostruiti. Sì, fatti reali, perché di questo si tratta, che voi ci crediate o no. Della realtà che diventa fiction dopo che la fiction era diventata realtà.
Il tredicenne americano Nicholas Barclay, ragazzino problematico, un bel giorno scompare dalla cittadina del Texas in cui viveva e dalla sua famiglia. Inutili le ricerche, inutili le indagini: di Nicholas non c'è più nessuna traccia. Fino a che, un bel giorno, tre anni dopo dalla Spagna arriva una notizia: il ragazzo è vivo. La sorella attraversa l'oceano per andarlo a prendere e riportarlo a casa, tutto sembra essersi concluso nel migliore dei modi se non fosse che Nicholas, un tempo biondo e con gli occhi azzurri, adesso è un ragazzo moro e dagli occhi scuri che dimostra più dell'età che dovrebbe avere. Ma, nonostante ciò, la famiglia è pronta a riaccoglierlo a braccia aperte.
Quando si inizia a guardare The Imposter si diventa preda di una sensazione costante e alienante che le cose stiano procedendo nel modo sbagliato. C'è una sorta di orrore che lo spettatore prova fisso e stabile proprio alla bocca dello stomaco, un orrore pronto ad esplodere ma che resta latente per almeno la prima metà della pellicola. C'è la sospensione del giudizio critico, c'è la bocca che rimane aperta perché quel che sta succedendo è terrificante. Ci sono i fatti, senza nemmeno la più piccola parvenza di credibilità, che ti tengono incollati allo schermo raccontati come fosse l'ultima puntata di Real TV se non fosse per una regia meravigliosa, la prima del promettente Bart Layton. Domande su domande che nascono spontanee, piccoli dettagli che pensiamo, senza ombra di dubbio "non possono essere veri". E si fosse trattato realmente di un finto documentario i più avrebbero potuto storcere la bocca perché la verosimiglianza, in The Imposter, sembra essersene andata a spasso.E invece...
... invece no...
Invece quel che annichilisce di più di questo documentario che di finto ha solo le molte scene ricostruite e che per il resto, è una raccolta di vere interviste, vere registrazioni, veri notiziari, è il fatto che non inventi niente, che non ceda alla fantasia neanche per un secondo. E che, facendo questo, mostri l'ineadeguatezza di un sistema sbagliato, che non tutela e non preotegge. Che si fa i cazzi propri e che poi cerca di correre ai ripari. Ma il dolore non è rimborsabile, non si può mettere un cerotto sull'irreparabile, non si può e basta. Ed è tutta qui la potenza di un film che ferisce più di qualsiasi finzione e che, in un certo senso, diventa finzione esso stesso. Ci fa comodo pensarla così, per tutta la durata della pellicola. Fino a che il finale non ci leverà alcun dubbio.
ALLARME, PRESENZA SPOILER: se non hai visto il film ti consiglio di andare direttamente alle CONCLUSIONI.
Alla fine, la sospensione del'incredulità dura veramente poco. Anzi, subito ci viene servita la soluzione dell'enigma, quasi il regista avesse deciso di venire in contro allo spettatore dopo un incipit estremamente cinematografico. E pian piano i pezzi vengono tutti messi al loro posto, perché quella che a prima vista sembrerebbe la storia più incredibile di tutte le storie, alla fine non è altro che una truffa: quella perpetuata ai danni della famiglia Barclay da Frédéric Bourdin, 21enne francese conosciuto anche come Il Camalente, un ragazzo dall'infanzia problematica che durante la propria attività di "ladro di identità" ha truffato un numero spropositato di famiglie. E infatti quella di Nicholas è una delle tante identità rubate da questo inquietantissimo individuo che, con il volto dell'attore Adam O'Brian, ci parla per tutta la durata del documentario esponendoci il proprio punto di vista, le proprie paure, i propri pensieri. La fiction che incontra la realtà nel modo definitivo. E che con una sincerità disarmante ci accompagna in un viaggio nella psiche del "mostro" nel senso classico del termine, ragazzo bisognoso d'affetto e di nient'altro, per poi stravolgere tutte le nostre convinzioni insinuando il dubbio nelle nostre menti. E il dubbio è: come ha fatto una famiglia intera a farsi prendere in giro in questo modo? Come ha fatto una madre o una sorella a passar sopra non solo ad indizi incontrovertibili ma allo stesso richiamo del sangue? La risposta è semplice ma terrificante: che avessero avuto qualcosa da nascondere, queste persone? Che fosse stata la famiglia stessa l'artefice della scomparsa del piccolo Nicholas? Che l'arrivo di Frédéric fosse stato provvidenziale? Ed è con questo dubbio che lo spettatore viene abbandonato, lasciato a se stesso e costretto a tirare le proprie incomplete conclusioni.
CONCLUSIONI
Documentario che non si limità a "documentare" ma che si fa ibrido, assumendo la forma e la sostanza di un thriller, L'Impostore è una pellicola snella ma imponente, lenta ma implacabile, che ti fa a pezzi e ti stupisce. Duplice come nel suo essere allo stesso tempo realtà (i fatti narrati) e finzione (la messa in scena di quei fatti). E poi ditemi voi quanti documentari esistono con un vero e proprio colpo di scena che cambia d'un tratto le carte in tavola. E anche se mi sembra esagerato parlare di capolavoro o gridare al miracolo, penso che questo The Imposter sia una ventata d'aria fresca, un prodotto originalissimo che metterà a dura prova le vostre convinzioni. Magari un giorno si passerà al livello successivo e si riuscirà a fondere realtà e fiction anche da un punto di vista formale, ma provateci voi, adesso, a lamentarvi della verosimiglianza o dei buchi di sceneggiatura. La vita non è un film anche se a volte ci va vicino e, poche altre, supera persino l'immaginazione.