Recensione: L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome, di Alice Basso

Creato il 08 luglio 2015 da Mik_94
Sei acida e sarcastica e lucida e critica e odi tutto e tutti. Ma questa tua capacità di vedere le cose con gli occhi della altre persone, di interpretare il mondo da dentro la loro testa... o il loro cuore. Questa che a te può sembrare una mera abilità professionale, be', si chiama empatia. E tu puoi fingere con tutte le tue forze che sia il contrario, ma la verità è che fa di te la persona più comprensiva, più tollerante, e persino più clemente, che io abbia mai conosciuto. Titolo: L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome Autrice: Alice Basso Editore: Garzanti Numero di pagine: 270 Prezzo: € 14,90 Sinossi: Dietro un ciuffo di capelli neri e vestiti altrettanto scuri, Vani nasconde un viso da ragazzina e una innata antipatia verso il resto del mondo. Eppure proprio la vita degli altri è il suo pane quotidiano. Perché Vani ha un dono speciale: coglie l'essenza di una persona da piccoli indizi e riesce a pensare e reagire come avrebbe fatto lei. Un'empatia profonda e un intuito raffinato sono le sue caratteristiche. E di queste caratteristiche ha fatto il suo mestiere: Vani è una ghostwriter per un'importante casa editrice. Scrive libri per altri. L'autore le consegna la sua idea, e lei riempie le pagine delle stesse parole che lui avrebbe utilizzato. Un lavoro svolto nell'ombra. E a Vani sta bene cosi. Anzi, preferisce non incontrare gli scrittori per cui lavora. Fino al giorno in cui il suo editore non la obbliga a fare due chiacchiere con Riccardo, autore di successo in preda a una crisi di ispirazione. I due si capiscono al volo e tra loro nasce una sintonia inaspettata fatta di citazioni tratte da Hemingway, Fitzgerald, Steinbeck. Una sintonia che Vani non credeva più possibile con nessuno. Per questo sa di doversi proteggere, perché, dopo aver creato insieme un libro che diventa un fenomeno editoriale senza paragoni, Riccardo sembra essersi dimenticato di lei. E quando il destino fa incrociare di nuovo le loro strade, Vani scopre che le relazioni, come i libri, spesso nascondono retroscena insospettabili.                                           La recensione Dopo la lettura dell'Ombra del vento, che nel passaggio dalla terza media al quarto ginnasio avevo amato così tanto ma così tanto da lanciare una domanda su Yahoo Answers per mettere le mani su qualcos'altro di simile, ero andato in fissa coi libri che parlano di libri – oltretutto, è la seconda volta in dieci giorni che nomino il mio primo Zafòn: segno che dovrei risfogliarlo, dite? La famosa domanda su Yahoo Answers, di cui ovviamente ho eliminato ogni traccia, tutta abbreviazioni, smile e gnè gnè, faceva – senza però abbreviazioni, smile e gnè gnè: Ho amato così tanto ma così tanto L'ombra del vento da lanciare una domanda su Yahoo Answers. Chi mi consiglia altri libri che parlano di libri? Quanta sagacia, ebbene sì. Questo per dire che quando tutti leggevano i vampiri della Meyer – dovrei vegognarmi nell'ammettere che io già li avevo letti, prima che diventassero moda e mi accorgessi di odiarli per moda? - io mi perdevo in storie dentro storie, nella metaletteratura, alla scoperta di narratori di secondo grado e di personaggi di personaggi. Immaginateli come una di quelle espressioni piene di parentesi, insomma: graffe, quadre, tonde. All'inizio sgomitavo come un matto per trovarne di nuovi, poi quando grandi editori avevano investito in testi che parlavano di libraie, botteghe vintage e pittoresche redazioni giornalistiche, improvvisamente, il mio interesse era entrato in coma. A portata di mano: sputtanato. Sputtanato: male. Perché inizio da qui? Ma per dire che davanti all'Imprevedibile piano della scrittrice senza nome avevo pensato di imbattermi, per l'ennesima volta, in una cosa di quelle – con queste donne dai visi enormi in primo piano e un cane che, nel frattempo, sniffava il suo stesso sedere e il sentore di cellulosa in decadimento negli anfratti oscuri della copertina. Perché questi libri – mi viene in mente Lo strano casa dell'apprendista libraia, che mi assicurano sia un'atrocità – parlano di donne cinofile e lettrici sognatrici. E io, che sono maschio? E io, che ho un gatto che si chiama Ciro e tengo i romanzi tutti sparsi per casa, senza una di quelle librerie da sogno che – ditelo ai miei, su – mi meriterei proprio? Convinto che appartenesse a quel filone che, su questo blog, si evita con cura da qualche anno a questa parte, lo avevo visto in giro e subito scordato. Naaa. Finché, complici la recensioni di colleghi fidati, gli ho dato una chance: pareva non essere così (serio, scontato, alla moda) ma cosà (spassoso, originale, da scoprire). La frase magica: Vani come Alice Allevi. Ed è stato quando ho saputo che, forse, il prossimo anno l'avventura di Alessia Gazzola si concluderà con il quinto volume e che tra me e il terzo capitolo di un'altra mia compagna di risate, la Geek Girl di Holly Smale, c'è un lungo inverno di mezzo, ho cercato – e mi ci sono miracolosamente ritrovato – l'esordio di Alice Basso.  Uno di quei romanzi pimpanti, veloci, da tenere a portata di mano per le emergenze. Quando il lunedì ti traumatizza, la Sessione Estiva ti assassina, i tuoi piccoli dolori reclamano grandi attenzioni e tutto ciò di cui hai bisogno è un'aiutante, una mano alla fine di un braccio che, per una volta, non sia il tuo; di una come lei, Vani. Che è pungente, burbera, di poche parole, ma forniscile un foglio, una penna – anche il test per l'esame di Informatica funzionerà? -, e lei ti solleverà il mondo. Peccato che nessuno lo saprà mai. Eroina in incognito come Clark Kent, ma abbigliata come l'indimenticabile Lisbeth Salander, presta tempo e fantasia a romanzi che, una volta arrivati in libreria, acclami come capolavori certi. Lei ha scritto il libro che ha vinto il Premio Strega, ma tutti lo ignorano: applausi e riconoscimenti solo per Riccardo, bello e corteggiato, che aveva bisogno del fiuto della camaleontica protagonista per tornare sotto le luci della ribalta. Lei, in cambio di un pot pot sulla testa spettinata e di una paga misera, fa la ghostwriter: in poche parole, lei scrive e gli altri ci mettono il nome. Succede che, chissà perché, l'autore di punta di Edizioni L'Erica si innamora di lei e, con un corteggiamento spietato, vince il naturale odio per il prossimo di Vani. Che, per una frase di troppo scambiata in ascensore, si trova a fare da tata all'adolescente Morgana in un night club di satanassi rock. Soprattutto, che la scrittrice a cui dovrà prestare il suo ingegno – un'imbrogliona che scrive di angeli e armonie cosmiche – scompare nel nulla. Amori, grattacapi, misteri.  Una galleria di personaggi speciali, in un mondo – quello editoriale – che già nel telefilm Younger si è da poco rivelato pieno di disonestà e pasticci. Voce narrante, sardonica e impietosa, questa divertentissima lei che vive nell'ombra; il tono leggero degli chick lit internazionali e fiumi di parole pesate con malagrazia, pronunciate da una che non ama lo shopping sfrenato – nero su nero: forse fa rifornimento alle pompe funebri? – e probabilmente nel tempo libero, oltre a nutrirsi di schifezze confezionate, mangia bambini come i comunisti delle leggende. Il confronto con L'allieva della Gazzola, centratissimo, non va a discapito né dell'una né dell'altra protagonista: Alice Allevi – che mentre va a fare compere inciampa in un cadavere e simili – ha un posto nelle mie pause relax da più tempo, ma occhio a Vani, che dalla sua ha preoccupanti affinità con il sottoscritto. Non che io, fac simile di un giornalista titolato, sia imparentato con Vani, angelo custode di scrittori titolati. Non che Roman Polanski, in L'uomo nell'ombra – The Ghost Writer, abbia mostrato una storia che un po' parla di me. Ma, vedete, lei parla citando romanzi, è una misantropa nel sangue, conia risposte sgarbate così come respira. Ha la capacità, con un po' di sforzo, di spaccare in quattro un capello e di argomentarti il nulla. C'è, poi, la questione della solidarietà tra quei pazzi che si scrivono a Lettere, perché il loro sogno è vivere di scrittura – e dire che potevamo tutti iscriverci ad Architettura, così da poterci costruire personalmente il ponte sotto cui fare i barboni, tutti insieme disoccupatamente. L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome va letto se sei giù, se vuoi un libro dispettoso che ti faccia aumente il numero dei libri in wishlist – voglio farmi una cultura, per colpa dei ritmati battibecchi tra Vani e Riccardo, di narrativa americana -, se la protezione che hai promesso a fine giugno alla folgorante debuttante Lavinia Petti va necessariamente estesa anche a Alice Basso, che firma un brillante giallo che non pesa ma che, pur nella sua voglia di leggerezza, è abbastanza stimolante da meritarsi una recensione di quelle lunghe, vere. E io che, quando fa caldo, spero sempre di potermela cavare con commenti in pillole. Con questa nuova voce narrante anche la pillola più amara però va giù, e le lamentele di me, povero blogger letterario che per farsi qualche spicciolo si darebbe o alla macchia o, peggio, alla carriera pagata di fescion blogger – se non fosse che sono altro un metro e un po' e l'unica tartaruga di cui sono dotato si chiama Lauretta e, in questo esatto momento, sta nuotando nel suo acquario mentre Ciro scambia la sua piscinetta per un delizioso abbeveratoio, e che schifezza - trovano ascolto. Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Daniele Silvestri – Le cose che abbiamo in comune

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