Recensione L'ospite d'inverno

Creato il 16 gennaio 2016 da Lightman

Ricordiamo Alan Rickman con la sua prima opera dietro la macchina da presa: L'ospite d'inverno, dramma crepuscolare intriso di dolce naturalezza ambientato in una cittadina innevata.

In una cittadina scozzese, durante una fredda giornata d'inverno, l'anziana Elspeth fa visita alla figlia Frances, da poco vedova ed ancora incapace di elaborare il lutto. La madre propone alla donna, con cui ha un rapporto travagliato, di accompagnarla in una scampagnata al faro del Paese. Nel frattempo Alex, il figlio adolescente di Frances, conosce la coetanea Nita, da tempo segretamente innamorata di lui, e le propone di andare a casa sua durante l'assenza della genitrice. A queste storie si intrecciano quelle di due anziane zitelle impiccione, il cui maggior divertimento è quello di partecipare ai funerali di perfetti sconosciuti, e di due ragazzini che hanno marinato la scuola alla ricerca di avventura.

Il regno di ghiaccio

Alan Rickman è ricordato soprattutto per la sua lunga e fortunata carriera d'attore ma l'appena compianto interprete britannico ci ha anche regalato due interessanti opere da regista: il recente Le regole del caos (2014) e soprattutto L'ospite d'inverno (1997). Quest'ultima, osannata alla Mostra del Cinema di Venezia (dove ha vinto ben tre premi, incluso quello per la migliore attrice protagonista a Emma Thompson), è una perla da riscoprire, incastonata nel freddo della neve scozzese che fa da sfondo cromatico ad una vicenda che si disgela pian piano nel suo placido ed inquieto tormento emotivo. Rickman sfrutta al meglio il grigio paesaggio innevato per trasportarci in quattro storie collegate, quale più quale meno, in grado di scandagliare con lucidità un ampio range generazionale, passando dalla fanciullezza dei ragazzini all'insofferenza di una vecchiaia mai come qui metafora del tramonto dell'esistenza. L'allora esordiente cineasta si concentra sui personaggi e sulle loro storie con una delicatezza dolce e sinuosa solcata da impeti di furiosi rimorsi, in particolare nel controverso rapporto tra Elspeth e Frances, interpretate magistralmente da Phyllida Law e dalla Thompson, madre e figlie anche nella realtà: è proprio grazie a ciò che emerge una lucida naturalezza nelle amare incomprensioni tra i due personaggi, entrambi alle prese con un vuoto emozionale da colmare. La sceneggiatura, tratta da una commedia teatrale di Sharman Macdonald, concede però giusto spazio a tutte le figure in gioco, intarsiando pagine di sobria dolcezza che rapiscono proprio grazie ad una semplicità mai forzata che, soprattutto nella parte finale, flirta con istinti poetici. Un sentimentalismo privo di retorica che, non privo di virate da commedia intelligente e intrecci romantici con i quali vien semplice immedesimarsi, ci offre una sentita e realistica sintesi delle sfaccettate sfumature che complicano e speziano la vita stessa.

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