Siamo ai tempi della rivoluzione culturale, e caso vuole che un altro film uscito questo weekend, Lettere di uno sconosciuto di Zhang Yimou, tratti di quel tribolato perioo della storia cinese del secondo Novecento – e a questo punto aspettiamo che qualche distributore importi anche Red Amnesia, dove sempre di guardie rosse e rivoluzione culturale si parla, visto lo scorso settembre al festival di Venezia. Dunque: due sudentelli dell’università di Pechino, due perfetti cittadini, vengono mandati in stage rieducativo – per almeno due anni! – lassù nella Mongolia interna tra le tribù nomadi affinché imparino cosa sia la dura vita delle praterie, e a lavorare con le mani e depurarsi ed emendarsi di vizi, capricci e comodità borghesi e metropolitani. Di colpo si ritrovano a condividere una yurta e a disposizione del rispettato capo-villaggio, un vecchio saggio che molto ha visto e molto sa, e che diventerà – ma loro ancora non lo sanno – il loro mentore, colui che li introdurrà ai misteri, alle bellezze e pure ai pericoli dell vita selvatica. Chen Zhen, uno dei due studenti, in un’escursione a cavallo ha il suo primo incontro con i lupi delle praterie e, nonostante il rischio corso, ne resta segnato per sempre. Una fascinazione che diventerà man mano ossessione, e lo possiederà. Impara dai mongoli del villaggio come difendersi dai lupi, ma anche i loro usi, il loro procedere in branco, le loro strategie di attesa e di attacco, e “ricordati che sono animali di grande intelligenza, pazienti, non sottovalutarli mai”. Finirà che si prenderà un cucciolo di lupo e lo nutrirà e alleverà clandestinamente. Con conseguenze pesanti e imprevedibili. Quel piccolo lupo metterà in pericolo la sua vita, e vite e beni della tribù, causando una serie di effetti a catena, e saranno avventure, disavventure e contrasti. Intanto la natura cattiva ci mette del suo con improvvise tempeste e altri disastri, intanto l’ottuso responsabile politico che, per conto di Pechino, deve vegliare sulla compatibilità comunista della comunità fa di tutto per peggiorare le cose. Come distruggere l’ecosistema erigendo insediamenti là dove c’era l’erba delle sterminate steppe. L’asse narrativo resta però saldamente quello dell’amore di Chen Zhen per i lupi, e per il suo cucciolo, in una riedizione di ogni precedente classico sul tema uomini e animali, da Lassie a Rin-tin-tin. Ogni ruffianeria del genere viene puntualmente rispolverata e riaggiornata, e bisogna ammettere che, nonostante ogni evidente polverosità e inattualità, Annaud arriva più di una volta a smuovere e commuovere la platea. Film vetusto, come no, e però i lupi sono magnifici, da soli o in branco, cuccioli o adulti. Altro merito è di aprire qualche squarcio di un qualche interesse sulla Cina delle rivoluzione culturale, sull’assogettamento e controllo esercitato dal regime sulle realtà etniche periferiche. Il che non basta a salvare L’ultimo lupo, ma almeno ne bilancia un po’ l’esorbitante tasso di retorica ecologista e neo-rousseauiana.
Recensione: L’ULTIMO LUPO. Avventura (un po’ vetusta) con uomini, lupi e praterie mongole
Creato il 26 marzo 2015 da LuigilocatelliPossono interessarti anche questi articoli :
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