“…Un giorno di molti anni dopo, mio marito Walooja, che amava la lettura, mi indicò un segno su una pagina: - Quello si chiama ‘punto’ e bisogna disegnarlo quando in un libro una persona ha finito di parlare -Ho voluto iniziare la recensione con questa frase della narratrice in prima persona, “innominata” per tutta la durata del libro, perché rispecchia esattamente l’atteggiamento non solo dell’anziana voce che ci guida nel racconto: è testimonianza, come accennato nell’introduzione, di una visione del mondo descritta attraverso simboli, personificazioni, dove ogni segno, ogni elemento ed ogni essere diventa un tutt’uno con la natura. Parlare di poesia per questo libro è scontato: una donna novantenne, depositaria delle tradizioni di una cultura in via di estinzione, che torna tra le sue montagne al crepuscolo della vita, insieme al nipote Ancaor, mentre tutti i suoi familiari si sono trasferiti nelle zone abitate o non ci sono più.
- Ah, ma io ho già visto quel segno, il giorno in cui mi persi tra i boschi. Stava scritto nel bel mezzo della foresta, era un lago in cui mi sono imbattuta – gli dissi io. Per fortuna, a differenza di un punto, quel lago rotondo non mise fine alla mia storia”.
Deve restituire il suo corpo, una volta morta, a quella natura dalla quale era scaturito. Ci narra della sua nascita, di avvenimenti passati che ricorda o che (come appunto la sua venuta al mondo) gli sono stati raccontati da sua madre, che amava tanto danzare fino a morirne, per il freddo una notte, vicino ad un fuoco quasi spento. Lo stesso fuoco che aveva ricevuto in dono di nozze proprio da lei: facendo un brusco “ritorno al futuro” provi il lettore ad immaginarsi di ricevere dai genitori, per il proprio matrimonio, il fuoco… Ci dice che una sorellina prima di lei ed altre persone della sua gente, uomini tornati dalla caccia assiderati non hanno resistito al freddo tipico di quelle regioni, compreso il suo primo marito. La neve incessante che accompagna gli spostamenti della tribù in alcuni periodi dell’anno può essere spietata, ma è anche la stessa manciatina di neve che il secondo marito Walooja, il poeta, l’amante della lettura usava infilarle attraverso i vestiti quando scherzavano tra loro. Ci parla d’amore: di quando da piccola sentiva i genitori amarsi nella tenda come avrebbe fatto lei una volta sposata. Era tutto naturale, le avevano spiegato che era come il muoversi del vento. Ci spiega come lo zio Nidou e suo padre, Linke, avevano gareggiato per la mano della bellissima Tamara, sua madre, sfidandosi con l’arco a colpire due funghi uguali nella foresta. La natura, anche se non sempre benevola, permea tutto il percorso della vita della sua gente: lei ne è consapevole e nonostante i lutti, gli spostamenti, i cambiamenti che l’invasione giapponese ha apportato alla sua terra, lei, come uno degli alberi, una delle creature animali (le renne che il suo popolo pascola per sopravvivere) non riesce a sradicarsi dalle sue origini e dalla terra stessa. Come ricorda il sapore della linfa di betulla, che la madre faceva bere a lei ed ai suoi fratelli ricorda gli abbracci dei suoi mariti, gli affetti, senza rassegnazione né rimpianto: è il corso naturale delle cose. Chin Zijan possiede una grazia narrativa tale ed un pudore direi “intellettuale”, quello che necessita per entrare nei sentimenti altrui, non solo nella vita personale ed intima dei personaggi. Descrive minuziosamente usanze e particolari, ad esempio, sulle creazioni artigianali degli evenchi, la confezione dei vestiti, il cibo, la costruzione delle tende. E’ un grande omaggio che fà ad una civiltà sconosciuta, con una capacità rappresentativa tale da farci quasi percepire gli odori e i sapori, il vento e la neve, ma soprattutto i sentimenti. Non perdetevi questo romanzo, vi perdereste l’occasione di visitare un mondo scomparso e sarebbe come se un lago o un punto, se preferite, avesse messo fine alla storia, di quel mondo.L’AUTRICEChi Zijian è nata nel 1964 a Mohe, nella provincia dell’Heilongjiang, ai confini settentrionali della Cina, dove tuttora vive. È cresciuta ascoltando racconti popolari e storie di fantasmi e spiriti, e ha sviluppato fin da bambina un’attenzione e un amore particolari per la natura. Ha pubblicato il suo primo racconto quando era ancora a scuola. Con le sue opere ha vinto tre volte il prestigioso premio letterario Lu Xun e con Ultimo quarto di luna ha ricevuto nel 2008 il premio letterario Mao Dun, il massimo riconoscimento per uno scrittore in Cina. I suoi romanzi sono stati tradotti in inglese, francese e giapponese.