[Recensione] La diva Julia di William Somerset Maugham

Creato il 07 marzo 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: La diva Julia
Autore: William Somerset Maugham
Traduzione: Franco Salvatorelli
Editore: Adelphi
Anno: 2005
ISBN libro:9788845919978
Pagine: 275
Prezzo libro: 10,00
Voto:

Trama: (dal risvolto)
Julia Lambert, «la più grande attrice d’Inghilterra», come scrivono i giornali, sa decisamente irretire il suo pubblico: quello adorante che riempie le sale, quello che si lascia soggiogare da lei nella vita privata, e infine noi, che seguiamo sulla pagina questo suo lungo, trionfante monologo. Durante il quale Julia ci sembra di continuo sul punto di cadere: in un matrimonio mediocre, in un amore con un ragazzo che ha vent’anni meno di lei, nei trabocchetti tesi da debuttanti ansiosi di rubarle la scena. E ogni volta, dal loggione, vorremmo ingenuamente metterla in guardia, ma Julia è una Marlene che non ha neppure bisogno di invocare il suo von Sternberg, perché sceglie benissimo da sé il tono, il gesto, l’inquadratura.«Cosa resta da fare a Julia Lambert? La cosa più ardua: impadronirsi di se stessa, guarire, troncare tutto. Ci riuscirà? Sì. Aiutata da un perfetto organizzatore di percorsi psicologici e di trame. Non suo marito, non un vecchio amico, bensì Maugham: conoscitore di tutti i trucchi, di tutte le ambiguità e doppiezze della scena e della vita» (Giorgio Montefoschi).

Recensione: Julia, nel teatro e nella vita, non sbaglia una battuta che sia una, perennemente compiaciuta della propria interpretazione. Si indispettisce e a volte si infuria per quel fidanzato, Michael, poi suo marito, al quale non riesce di fare altrettanto, nemmeno sul palcoscenico. Poco male, in fondo ha sposato un ragioniere, un uomo parsimonioso, pratico e calcolatore. L’uomo smette di recitare per dedicarsi al mestiere di impresario, di fatto più congeniale al suo talento. Dirigerà il teatro come un ufficio commerciale. A questo punto poco importa sia noioso, tronfio, banale, privo di fantasia e vanitoso, ciò nonostante scrupoloso, onesto, leale.
Difficilmente Julia avrebbe sopportato un alter ego recitante, tant’è che si invaghisce di Thomas, non un attore ma un ragioniere, poco più grande di suo figlio.
E’ la sua immaturità ad attrarre e a infastidire Julia, come l’aveva ghermita e contrariata l’immaturità (o la freschezza) di Michael, suo marito, finché era durata.
Thomas entra nel ménage familiare, nel quale Julia interpreta a meraviglia la parte della madre che osserva amorosamente il figlio (Roger). L’amicizia tra i due ragazzi produrrà gelosie inverosimili, ardue da governare e causa di profondo turbamento.
Ci sono momenti in cui i sentimenti, quelli più spinosi, prendono il sopravvento spiazzando il cuore e la mente. Julia teme quegli istanti in cui pare di soccombere, di non trovarsi all’altezza. Si sorprende a balbettare, il mento le trema, perde un po’ dell’autocontrollo di cui va fiera. Dalla situazione può uscire col pianto:

(“Non piangeva così da quando aveva recitato ‘Un cuore straziato’”)

ma mai devono mancare le parole giuste, la battuta a effetto capace di trarla d’impaccio:

(“In che commedia dicevo così?”)

Piuttosto il suo ricorrere alle pièces teatrali assomiglia all’aiuto del dizionario quando non viene una parola, o l’abbiamo sulla punta della lingua.
Julia, se non si è capito, recita soprattutto le emozioni che prova. Non a teatro (sarebbe deleterio), ma nella vita. Dà forma e sostanza ai sentimenti, alle emozioni che prova davvero. Il volto nascosto è realmente quello che mostra. La sto sparando grossa, ma non più di tanto.
E’ l’arte, per la quale vive, a creare un’ambiguità che ha del sublime. In un senso e nell’altro (sia quando tace ciò che pensa, sia quando esprime ciò che sente) è onesta. Se finge è per il tatto che impedisce di dare del cretino al proprio interlocutore o di essere crudamente schietta. E’ la finzione imposta dall’educazione o dal selfcontrol, dall’urgenza di non esplodere, di non fare una scenata, non urtare qualcuno cui tiene in qualche modo.
Il lettore, una volta messo a parte di questo segreto, tifa per Julia.
Quando dimostra tutto a un tratto vent’anni di meno, gli occhi appaiono più splendenti e a teatro l’interpretazione diventa brillantissima, non ce ne stupiamo. Accade che le emozioni si facciano strada comunque, fino a trasparire e illuminare la maschera del volto. Comprendiamo una cosa fondamentale: si recitano dolori e sentimenti che non si provano, oppure si recitano a memoria dolori e sentimenti che si sono provati davvero.
Nella vita di tutti i giorni la recitazione diventa uno strumento per rendere le emozioni vissute accettabili o decifrabili agli occhi di chi sta attorno. Senza questo riparo è probabile che esse divengano incomprensibili, oscure. Il teatro la innerva e la protegge, regala un’altra personalità, magari immune da un dolore che altrimenti la farebbe capitolare:
Il dolore reale è brutto, compito dell’attore è rappresentarlo non solo con verità, ma con bellezza”. Si può essere più chiari?
La vera incognita non è Julia, che recita nella vita e sul palco, ma il suo pubblico. Se è tale quello che siede a teatro, nella vita sono altri attori, e nemmeno tanto bravi:
In che mondo viviamo? Gli attori si dannano per sembrare gentiluomini, i gentiluomini fanno il possibile per sembrare attori”.
Il rimprovero che le muove Roger, il figlio, è così perfetto e preciso da mancare il bersaglio: “Tu non distingui tra verità e finzione. Reciti con i domestici, con papà, con me… Tu non esisti, sei solo le parti innumerevoli che hai interpretato”.
Dov’è la sua anima, dov’è Julia? Noi lo sappiamo benissimo. Noi lettori ci siamo nascosti tra le pieghe dei suoi pensieri, all’interno di un’armatura, di una poderosa cassaforte che nemmeno i famigliari sono stati in grado di penetrare. Accompagnati dall’autore, abbiamo capito che i suoi pensieri sono sempre battute, devono sempre funzionare. E’ un’arte molto simile a quella dei poeti:
Il poeta è un fingitore / finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente“(Fernando Pessoa).
Le parole dette devono leggersi in viso: Julia è un’attrice, finge così completamente che arriva a fingere che è dolore, il dolore che sente davvero. E chi vede recitare quel finto dolore, può immedesimarsi fino a vedere riaffiorare il proprio, fino a commuoversi:
Le emozioni bisogna averle provate, ma non puoi rappresentarle finché non le hai alle spalle”. Se non fosse così l’attore cadrebbe a pezzi. Recitare non significa sempre fingere. Julia recita ma non finge affatto: è un modo diverso di essere.
L’arte dà senso alla vita, la esprime. Per questo suscita invidia in coloro che non ne sono coinvolti e che, se la rincorrono, ne ricercano il solo diletto. Sono convinti che dietro di essa e della passione che suscita vi sia il nulla. Un nulla che però mette soggezione. Come il Dio (o la Diva) che vi si nasconde.


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