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Recensione: La guerra dei nostri nonni di Aldo Cazzullo

Creato il 17 maggio 2015 da Coilibriinparadiso @daliciampa

Dopo troppo tempo, considerando che ne ho già un’altra da scrivere, ho pubblicato questa recensione, che come vi avevo annunciato, non è molto positiva. Fatemi sapere cosa ne pensate. <3"><3"><3

La guerra dei nostri nonni

  • Titolo: La guerra dei nostri nonni

  • Autore: Aldo Cazzullo

  • Casa Editrice: Mondadori
  • Data pubblicazione: Ottobre 2014
  • Pagine: 248
  • Genere: Giornalismo letterario
  • Trama: La Grande Guerra non ha eroi. I protagonisti non sono re, imperatori, generali. Sono fanti contadini: i nostri nonni. Aldo Cazzullo racconta il conflitto ’15-18 sul fronte italiano, alternando storie di uomini e di donne: le storie delle nostre famiglie. Perché la guerra è l’inizio della libertà per le donne, che dimostrano di poter fare le stesse cose degli uomini: lavorare in fabbrica, guidare i tram, laurearsi, insegnare. Le vicende di croce rossine, prostitute, portatrici, spie, inviate di guerra, persino soldatesse in incognito, incrociano quelle di alpini, arditi, prigionieri, poeti in armi, grandi personaggi e altri sconosciuti. Attraverso lettere, diari di guerra, testimonianze anche inedite, La guerra dei nostri nonni conduce nell’abisso del dolore: i mutilati al volto, di cui si è persa la memoria; le decimazioni di innocenti; l’«esercito dei folli», come il soldato che in manicomio proseguiva all’infinito il suo compito di contare i morti in trincea; le donne friulane e venete violentate dagli invasori; l’istituto degli «orfani dei vivi», dove le mamme andavano di nascosto a vedere i «piccoli tedeschi» che erano pursempre loro figli. Ma sia le testimonianze di una sofferenza che oggi non riusciamo neppure a immaginare, sia le tante storie a lieto fine – come quelle raccolte dall’autore su Facebook– restituiscono la stessa idea di fondo: la Grande Guerra fu la prima sfida dell’Italia unita; e fu vinta. L’Italia poteva essere spazzata via; dimostrò di non essere più «un nome geografico», ma una nazione. Questo non toglie nulla alle gravissime responsabilità– che il libro denuncia con forza – di politici, generali, affaristi, intellettuali, a cominciare da D’Annunzio, che trascinarono il Paese nel grande massacro. Ma può aiutarci a ricordare chi erano i nostri nonni, di quale forza morale furono capaci, e quale patrimonio portiamo dentro di noi.

Opinione personale:

La trama di questo libro me lo aveva fatto immaginare come geniale: le storie dei nostri nonni, quelle che ci facciamo raccontare la domenica dopo pranzo e che ci fanno appassionare più di un romanzo; quelle autentiche, sofferte, importanti, e che troppo spesso nessuno conosce. Perché si c’è il generale Diaz, c’è Cadorna, e i nomi sono altisonanti, li conoscono tutti. Ma Fioravante, Luisa, M.E., C.L., Maria, Giuseppe? L’hanno combattuta anche loro, la Grande Guerra, troppo spesso sono morti, alcune sono state violentate, bambini abbandonati, gente giustiziata. Questo libro mi era sembrato un’idea bellissima.

A mio nonno soldato, ai suoi pronipoti Francesco, Rossana, Marcello, Lorenzo, Claudio e ai 650 mila soldati che non sono diventati nonni.

Era. In realtà poi, per strappare il cerotto, molto semplicemente, non mi è piaciuto per niente. Sono andata avanti a leggerlo per inerzia, e sempre per inerzia l’ho finito. Sono stata tentata di non finirlo, ma ne ho bisogno per un progetto s

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colastico: non mi piace lasciare incompiuti neanche i libri peggiori, ma non so se questo lo avrei portato a termine comunque.
La verità è che il tema è fantastico, non per essere ripetitiva: la storia unita a vicende personali, e non di fantasia, ma reali e sottovalutate! Il risultato? Una catastrofe! Il genere giornalistico fa si che l’interesse si perda praticamente all’istante, e che rimanga assopito fino all’ultima pagina, fatta eccezione per rari picchi. Non dovrei neanche parlare in maniera impersonale: è stato il mio interesse ad assopirsi, credo purtroppo in maniera abbastanza soggettiva, ma non ho potuto fare a meno di esserne condizionata. E di dar vita a un giudizio quasi spietato. Ho esitato da morire per due motivi: in primis, quanto si deve essere crudeli per disprezzare un libro su una tematica così delicata? E in secondo luogo: vi giuro che le tematiche sono interessanti, e rimango di questo parere anche ora, e vorrei che voi lo leggeste, perché imparereste molto, ma in un modo che per me è stato un travaglio.

Il linguaggio popolare li chiamò “scemi di guerra”. Le loro storie raccontano in realtà di un dolore indicibile, di una dignità offesa.

Il genere del giornalismo, è chiaro a tutti, è oggettivo, non è quello di un romanzo, non è sentimentale o eccessivamente emozionante: ciò non vuol dire che non debba essere coinvolgente, anzi! Per il semplice fatto di dover con

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vincere il lettore a leggere il tuo articolo, e non solo a comprare il giornale, esso deve essere il più coinvolgente e interessante possibile. Lo stesso discorso vale per il genere del giornalismo letterario: sì sarà anche difficile scrivere un intero libro su quel tono, ma non impossibile (ho amato Tutte le speranze, e trovo che questa tematica fosse ancora di più di interesse generale).
Quindi che cosa è andato storto? Sicuramente l’uso sbagliato del genere (oh mio dio sto criticando il giornalismo di un giornalista), troppo distaccato, come in un fatto di cronaca isolato, quando invece ci sono migliaia di collegamenti da fare. Sì, le storie erano associate per tema, ma niente più. Poi la carrellata di aneddoti, una dopo l’altra: mi è rimasto troppo poco delle storie dei nostri nonni, le vicende erano in numero eccessivo e nella mia testa si confondono tra loro. Non avrei preteso di ricordare ogni nome, volto o storia, ma l’intento di esaltare uomini e donne senza volto si perde e si contraddice addirittura. 

Chiesi scusa al signor Carlo se avevo risvegliato ricordi dolorosi. “Sono io che mi scuso se non ho detto tutto”, rispose. “Ci sono cose che non ricordo. Ci sono cose che non voglio ricordare.”

Forse se ne può fare una lettura diversa, leggere qua e là, una storia o un capitolo che può interessarci, ma non sarebbe bello, si perderebbe il senso di un percorso che attraversa l’Italia, ma che forse aveva già perso di vista l’autore.

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Forse non è così positivo che il mio interesse sia risvegliato ogni tanto, perché era solo per la storia di Ungaretti, di Papa Giovanni XXIII, di Hitler, di D’Annunzio che celebri a modo loro lo sono già, e smentiscono ancora di più l’intento del libro. C’è da dire che essi venivano presentati come soldati e non come quello che erano al di fuori o che sarebbero stati.
Devo dire che mi è piaciuto, anche se mi ha fatto rabbrividire, il capitolo sugli stupri, in cui la noia delle carrellate di storie simili degli altri capitoli, si è trasformata in incapacità di riprendere fiato da tanta crudeltà. E poi gli orfani non orfani . Ma tutte le storie sono già troppo confuse, come le altre.
L’idea, l’intento e la storia in sé, potrebbero avere cinque cuori, nel mio cuore. La nostra storia, della nostra Italia, dei nostri eroi, (bis)nonni, difensori. Spero che lo leggiate, in fondo, e che lo troviate interessante, perché in realtà ha avuto molto successo, e l’hanno amato praticamente tutti. Ma continuo a ripetere che la lettura ha la sua magia e il suo perché. Magari vi annoierete anche voi e anche se dispiaciuta, mi sentirò compresa!

Dal 15-18 non ho avuto alcun vantaggio. L’unica pensione che ricevo è quella dell’Atac. Ma non ho certo combattuto per un vantaggio, per nulla che non fosse il mio Paese. E a Trieste alla fine ci siamo arrivati. Poi il mio Paese pian piano si è dimenticato di noi. Un po’ lo capisco, è passato così tanto tempo. Dei miei vecchi fratelli d’arme, di tutti questi ragazzi che vede nella foto della mia compagnia, non è rimasto nessuno. È cambiato tutto, c’è l’Europa, i nemici sono alleati, in Austria i miei nipoti vanno senza passaporto a sciare.

Il mio voto:

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L’autore:
Aldo Cazzullo: Giornalista italiano. Dopo quindici anni a “La Stampa” di Torino, dal 2003 è inviato speciale ed editorialista del “Corriere della Sera”. Ha raccontato le Olimpiadi di Atene e di Pechino, gli attentati dell’11 settembre, il G8 di Genova, gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi ad opera delle Brigate Rosse.
I suoi libri, pubblicati da Mondadori, sono incentrati in gran parte sul tema dell’identità nazionale.


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