La Isla Mínima (Marshland), un film di Alberto Rodríguez. Con Javier Gutiérrez, Raúl Arévalo, Nerea Barros, Antonio de la Torre, Manolo Solo, Jesús Castro.
Dieci Goya e, più recentemente, l’Efa del publico come migliore film europeo del 2015. Tutti premi meritati. Questo film spagnolo è un noir di rispetto e assai autoriale diventato a sorpresa un successo di nicchia di fine anno. Nella Spagna del 1980 appena uscita dal franchismo due poliziotti diversi e opposti indagano su alcune ragazze scomparse. Siamo alla foce del Guadalquivir, in una livida zona di paludi ai confini del mondo e della legge. Un ritratto del male convincente e allarmante. Meno convincente quando La Isla Mínima ambisce a farsi metafora politica e morale. Ma resta un film da vedere, eccome. Voto 7 e mezzo
Di quei film di genere, ma che il genere riescono a trascenderlo emancipandosene, come il nostro cinema non sa fare. Come non sa più fare, almeno dagli anni Settanta (si confronti La Isla Mínima con il recente, goffo italian horror In fondo al bosco). Un noir di poliziotti e delitti seriali lurido e cattivo di produzione e lingua spagnola, allineato però allo standard dei migliori prodotti anglofoni contemporanei, insieme perfettamente nazionale-locale e globale, dunque in grado di fare la sua bella figura e i suoi incassi su tutti i mercati. Come sta capitando da noi, dove, distribuito dalla torinese etichetta indipendente Movie Inspired, ha conquistato una sala dopo l’altra in questo fine 2015 diventano un solido successo di nicchia nel circuito del cosiddetto cinema di qualità (spero di trovare la prossima volta un’altra e meno antica, meno spocchiosa definizione). Successo che, diciamolo subito, si merita tutto. Premiatissimo in patria, dove si è preso la bellezza di dieci Goya, gli Oscar di Spagna, e più recentemente vincitore a Berlino del premio del pubblico agli Efa 2015 (pubblico che ci ha visto più lungo e meglio degli illustri giurati di tutta Europa che hanno invece sciaguratamente scelto come miglior film dell’anno il tremendo Youth di Paolo Sorrentino). Già le immagini su cui scorrono i titoli di testa ci mandano a dire parecchio sulle ambizioni del regista e su come ci troveremo di fronte a un’opera per niente comune e generica e invece assai autoriale e personale. Son riprese aeree (col drone? ma se sono col drone come possono essere tanto immobili? o sono dei fermo-immagine? qualcuno fornisca spieghe, grazie) della location della storia che andiamo a vedere, l’immensa foce in Andalusia del Guadalquivir – fate conto le valli di Comacchio però moltiplicate per estensione e inquietudine indotta -, con i suoi acquitrini, le terre melmose e piatte, i suoi rami d’acqua sinuosi e attorcigliati come serpi di fiume, e sembrano quadri di rigoroso astrattismo o concettualismo, o mappature cerebrali o di tessuti biologici di strane e forse aliene creature. Qualcosa di malsano, ipnotico e repulsivo, immobile e apparentemente senza vita visto da lontano quanto formicolante a uno sguardo più ravvicinato, annuncio eloquente di quanto sta per accadere in quella finis terrae, in quel mondo oltre ogni legge e confine conoscibile. Due ragazzine sono scomparse, due sorelle adolescenti, figlie di un disgraziato violento e della sua succube moglie abitanti una stamberga sul fango della palude, sicché viene mandata dal centro del paese, da Madrid, a indagare in quella landa desolata e periferica, una coppia di poliziotti classicamente male assortita, a rispolverare la dialettica degli opposti caratteri su cui si son costruite tante detection cinematografiche e letterarie (poi riversatasi nella nuova o nuovissima serialità televisiva, e le analogie tra La Isla Mínima e True Detective prima serie, col poliziotto più scassato dentro e tormentato e quello più cinico e deciso con qualche anno di più, sono tante e evidenti, con un Raúl Arévalo quasi clonato su Matthew McConaughey). Siamo nel 1980, a Spagna franchista appena defunta ma sempre presente con i suoi ingombranti fantasmi e con la sua occupazione delle menti e della psiche collettiva, e con una democrazia giovane e fragile, balbettante, non così sicura di sé. Pedro, il più giovane dei due detective, è il figlio della nuova Spagna che s’avanza e vorrebbe far piazza pulita delle passate ignominie, e di quelle concrezioni di poteri che hanno soffocato e come tolto dalla storia il paese per decenni. Anche nelle indagini che sta conducendo vuol portare la luce della democrazia, ma a frenarlo è il più anziano e disincantato collega Juan, aduso a modi spicci e assai poco garantisti fin dai tempi in cui era uno sgherro di regime. Due Spagne che son due opposte visioni del mondo e incarnano diverse moralità destinate inevitabilmente a collidere nel corso della ricerca delle ragazze desaparecide. Forzati a collaborare, Pedro e Juan entreranno più volte in conflitto ma insieme scoperchieranno un verminaio di perversioni neanche tanto nascoste e dissimulate, vizi estesi, collusioni e coperture che chiamano in causa i vecchi e i nuovi potenti, ma soprattutto i vecchi, di quel posto a casa di Dio. Andamento tutto sommato convenzionale e senza troppe scosse narrative, anche ampiamente prevedibile (siamo al fin troppo visto paradigma delle ragazze innocenti preda di bande più o meno organizzate di depravati), con qualche concessione fastidiosamente populista che arruola in automatico e pigramente i ricchi e i capataz della zona tra gli schifosi responsabili dei misfatti (i borghesi signora mia son tutti dei porci!). Ecco, quando La Isla Mínima ambisce a farsi pesante, plumbea metafora politica e fustigante apologo morale perde quota, con l’indagine del bravo poliziotto Pedro messa lì didascalicamente e con abbondanti semplificazioni a significare i lumi della democrazia in lotta con le tenebre della reazione e del passato dittatoriale che non passa. Il meglio il film lo dà invece nella messa a punto dei caratteri principali e collaterali, nell’allarmante messa in scena di un mondo degradato, livido, limaccioso e minaccioso, percorso da fratture della psiche, con derive nella malattia e nella corruzione. Tutto è marcio in quel clima di palude, tra quei miasmi che corrodono in pari misura le cose e i corpi degli uomini-zombie. La Isla Mínima, il punto più estremo e pericoloso di quel mondo già di suo oltre ogni confine e legge, è il luogo dove tutto si rivelerà, dove ogni oscura macchia si materializzerà e verrà a galla rischiando di trascinare con sé i due agenti, l’innocente Pedro e il meno innocente Juan. Come nelle migliori narrazioni di indagini poliziesche, La Isla Mínima è un viaggio nell’apocalisse e negli abissi, una finestra spalancata sul male. Dunque una visione necessaria. Cercatelo nei cinema delle vostre parti.