[Recensione] La leggenda del drago d’argento

Creato il 09 marzo 2013 da Topolinamarta

Dopo un bel 9+ conquistato nel tema su Shakespeare (‘mazza, oh! *-*), posso finalmente dedicarmi alla prossima recensione del progetto… in ritardo come al solito, ma almeno rallegratevi per me: il tempo dedicato allo studio, e per il quale ho trascurato il blog per alcuni giorni, è servito – finalmente – a qualcosa!

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Titolo: La leggenda del drago d’argento
Sottotitolo: La spada nera
Autore: Paolo Massimo Neri
Generi: fantasy
Editore: autopubblicato
Pagine: 470
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo: €16,64 (eBook €2,99)
ISBN: 9781480071506
Formato: brossura, eBook (ePub, Mobi, PDF)
Illustratore: Walter Brocca
Valutazione: Grazie all’autore per avermi inviato il libro in formato eBook.

RIASSUNTOLa grande Guerra di Shuraam e’ finita da molti anni. Nei villaggi delle terre dell’Ovest regna ormai la pace e la prosperita’. In uno di questi piccoli paesi, un ragazzo di nome Koddrey, che non conosce il proprio passato ne’ i suoi genitori, viene cresciuto con amore dai suoi zii. Con l’aiuto del nonno Guyl, un ex guerriero ed ex insegnante di armi arrivato improvvisamente, imparera’ l’arte della scherma per iscriversi alla scuola di Spada di Willysberg, una citta’ che si affaccia sul Mare delle Assurie. Qui, Il ragazzo andra’ incontro ad avventure straordinarie e conoscera’ mondi completamente diversi dalle sue Terre dell’Ovest, ma che lo aiuteranno a scoprire una parte delle sue origini che lui non credeva di avere. L’amicizia, il coraggio, il sacrificio, la scoperta di una spada nera appartenuta al padre, dato per morto in un assedio, lo accompagneranno in un viaggio molto duro dove affrontera’, insieme ai suoi nuovi amici, anche il male sotto forma di demoni, schiavi della magia nera e costretti a nutrirsi di carne e sangue umano per sopravvivere. E conoscera’, sia pur in modo rocambolesco e fantastico, un drago d’argento il cui nome si era perso ai limiti della leggenda…

L’AUTORE – Paolo Massimo Neri è nato nel 1978 ed è laureato in lettere malgrado il suo handicap (sordità), che non gli ha impedito di raggiungere, con determinazione e coraggio, traguardi che alcuni potrebbero ritenere impensabili. Ha fatto due master, di cui uno come redattore. Con le conoscenze di editing acquisite e grazie al suo bagaglio di lettore, dopo un accurato e lungo lavoro di limatura ha dato vita a un romanzo (il primo di una saga) che unisce il fantasy e il thriller e che ha autopubblicato su Amazon nel 2012.

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RECENSIONE

È il momento di parlare di un romanzo che, non lo nascondo, ho fatto una certa fatica a concludere. Un po’ per mancanza di tempo (mai una volta che riuscissi a prendermi una mezz’oretta per leggere senza essere interrotta da nessuno, acciderbolina!); un po’ perché il mio PDF, nonostante non fosse particolarmente corposo (340 pagine scarse, contro le 470 dell’equivalente in brossura), era fitto da far spavento; un po’ per i motivi che ora passerò a elencarvi. In ogni caso, eccomi qua a parlarvi della tanto attesa Leggenda del drago d’argento.

Un fantasy di quelli così classici che più classici non si può: questa è stata l’impressione che ho avuto osservando la sinossi e che mi ha accompagnato durante la lettura. Confesso di essere partita un poco prevenuta nel leggere il romanzo, anche se andando avanti mi sono dovuta ricredere almeno parzialmente, ma suppongo di non avere tutti i torti: ritrovarmi con l’ennesimo orfano che non sa chi siano i suoi genitori né il suo passato e che ha sul braccio un misterioso marchio a forma di drago, diciamo che non mi andava del tutto a genio. Tuttavia ciò che mi ripeto sempre fino alla nausea è che persino dalla trama più banale del mondo può nascere, talvolta, un libro meritevole, quindi ho cercato di radunare tutta la fiducia che possedevo e ho cominciato a leggere.

Per una volta, credeteci o no, la mia fiducia è stata quasi del tutto ripagata: non ci sono molte idee che non siano mai state viste da qualche altra parte, è vero, ma è anche vero che non ne è presente nessuna che faccia suonare l’allarme “cliché grosso come una casa”. Pensate che Koddrey, il protagonista, sia la copia sputata di Eragon con i poteri di Harry Potter e magari l’aria da perfettino di Nihal oppure di Eynis? In tal caso temo che vi sbagliate.
Come dicevo all’inizio, la trama de La leggenda del drago d’argento è davvero molto classica – con tanto di elfi, nani e naturalmente i draghi -, ma non per questo caratterizzata da quella banalità e scontatezza che permea oramai gran parte dei libri di genere fantasy, soprattutto nostrani ma anche non.

Una cosa che ho apprezzato parecchio è la seguente: Koddrey non è il genere di protagonista che all’inizio è un contadinotto insignificante e che due giorni dopo sa già maneggiare la spada come uno schermitore provetto, né è capace nel giro di una settimana di padroneggiare alla perfezione complicati incantesimi per i quali, magari, il suo stesso insegnante mago ha impiegato anni di fatica. Anzi, tutta la prima metà del libro è dedicata al suo addestramento, prima da parte del nonno Guyl – a mio parere il personaggio riuscito meglio tra i tanti incontrati – e in seguito all’interno della scuola che arriverà a frequentare: 150 pagine (secondo il mio formato) in cui Kody impara l’arte della spada, i primi rudimenti di magia, ma anche come entrare in contatto con la natura. Lo sviluppo e la crescita del protagonista, insomma, vengono descritti per filo e per segno, e il narratore non gli risparmia certo alcuni errori dovuti all’inesperienza (e, per giunta, almeno in uno di questi rischia di restarci secco prima del tempo): ciò a contribuito, per come è sembrato a me, a caratterizzarlo davvero bene, e si tratta sicuramente di un notevole punto a favore.

A dirla tutta, a mio parere da questo punto di vista l’autore si è impegnato anche troppo, nel senso che la prima parte introduttiva risulta, nel complesso, fin troppo lunga e particolareggiata. Del resto quella di procedere piuttosto lento è una caratteristica più o meno di tutto il romanzo, e fin qui niente da dire: il fatto che l’autore ami uno stile assai descrittivo e che si conceda parecchie “pause di riflessioni” può ovviamente piacere o non piacere, ma non è possibile (né sarebbe giusto) imputarlo come un difetto.

Il problema è che, soprattutto nella prima parte, la tranquillità che si prende il narratore nel mandare avanti la storia spesso si trasforma in noia, e naturalmente questo non risulta un bene per il coinvolgimento da parte del lettore. Da metà in poi, per fortuna, la vicenda si fa più movimentata e intrigante, perciò il senso di lentezza scompare quasi del tutto… tuttavia rimane che l’addestramento di Kody risulti comunque molto, molto lungo, fin troppo rilassato e a tratti persino ripetitivo. Se fossi stata l’editor, non avrei esitato a snellire di un bel po’ questa prima parte.
Sia chiaro, in ogni caso, che non si tratta di una sequenza inutile: nel suo corso, infatti, Koddrey impara un sacco di cose che serviranno in un secondo momento a far progredire la trama. Una qualche stagliuzzata qua e là, tuttavia, ritengo che avrebbe alleggerito il tutto rendendolo più snello e scorrevole, e senza per questo danneggiarlo per nulla.

Ad ogni modo, poco fa parlavo di editor. Ebbene, ad oggi non possiedo la certezza matematica che La leggenda del drago d’argento sia stato editato, ma ciò non toglie che dal punto di vista stilistico il romanzo sia pressoché impeccabile: scritto bene e con tutte le parole al posto giusto, riesce a descrivere ogni cosa con estrema naturalezza, senza però cadere mai nelle trappole degli infodump o del raccontato (e anche nel caso lo avesse fatto, è riuscito a non farmi accorgere di nulla).
Il complesso disegno che ne risulta, e che comprende sia i personaggi sia l’ambientazione, appare tessuto alla perfezione. Anche la trama, per quanto possa apparire scontata, si adatta benissimo a tutto il resto, tanto che non è difficile dimenticarsi per parecchie pagine delle idee già viste che sono state inserite.

Insomma, credo di poter dire senza ombra di dubbio che La leggenda del drago d’argento ci ha fornito una prova: la prova che non occorre saper ideare chissà quale trama per scrivere un buon fantasy. Quello che avete appena scoperto insieme a me di sicuro non è il romanzo più originale della storia, eppure ha un pregio indubbio: l’autore sa scrivere. E no, coi tempi che corrono è una caratteristica tutt’altro che scontata.
Non sarebbe stato male fare maggiore attenzione al bilanciamento delle varie sequenze della storia, in modo da evitare di scrivere pagine su pagine di certo molto curate, ma che alla lunga rischiano di annoiare il lettore. Però è senz’altro un inizio non da poco, per un esordiente. Anzi, sono certa che nei prossimi libri (acc! C’è da perderci la bussola tra tutte queste saghe!) saprà fare ancora di meglio.

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In sintesi…

Nonostante la trama classica, nessun
clamoroso cliché o senso di banalità. Pochissime idee nuove, aria di già
sentito.

Personaggi ben caratterizzati, sviluppo
e crescita descritti nei dettagli. Prima parte piuttosto lenta e a tratti
noiosa.

Scritto molto bene, accurato e preciso;
descrizioni dettagliate ma non pesanti.

Curato altrettanto bene, nessun difetto
evidente (SdT, infodump…)

Libro notevole pur rimanendo basato
su idee più che mai classiche.

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Una frase significativa…

La zona si illuminò leggermente e, dopo qualche secondo, del corpo non rimaneva più niente. Restò solo della cenere che un sospiro benevolo di vento spazzò via in un piccolo vortice. Nella zona restava solo l’individuo con il fardello di metallo. Il silenzio fu interrotto dai suoi passi. Camminò per alcuni minuti in direzione del torrente. Uscì dal bosco e quando arrivò sulla riva buttò in acqua il fagotto che calò a picco. L’individuo notò che il vento era aumentato di intensità. Sorrise e si coprì interamente con il mantello. Dopo aver lanciato un’ultima occhiata intorno e alla casa che si intravedeva in lontananza in mezzo agli alberi, si girò e scomparve nel retrobosco.

Koddrey si svegliò di soprassalto.
Sentì di aver avuto un incubo. Guardò verso la finestra con le tendine chiuse che facevano trasparire qualche raggio di luce lunare. Aveva percepito qualcosa o era stato veramente un incubo?
Rimase per un po’ all’erta, ma alla fine decise per la seconda ipotesi e, vinto dalla stanchezza della giornata, ritornò a dormire. Stavolta dormì senza sogni.


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