Recensione: La lunga notte dell’iguana

Da Ayameazuma

Titolo: La lunga notte dell’iguana
Autore: Bruni Riccardo
Editore: Effequ
Data di Pubblicazione: 2004
Pagine: 159
Prezzo: 9,00 euro
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Quarta: Nel 2034 il potere è in mano a una dittatura che controlla tutto attraverso il Network, con i suoi talk show ai quali il “pubblico sovrano” è obbligato a partecipare. Sotto l’onnipresente sorriso del Presidente, Roma è governata da clan mafiosi in guerra fra loro per il controllo dell’agglomerato (la città del “secolo scorso” e gli ampliamenti avvenuti dopo le Grandi migrazioni). In questo scenario si muove Fargo, un investigatore privato in cura al Dipartimento recupero pessimisti, assoldato da un boss per risolvere un inquietante caso di persone scomparse.

La lunga notte dell’iguana è un racconto lungo che può vantare un incipit tremendo, una trama facilona e un’ambientazione che da sola mette una pezza a tutti i disastri.

Il protagonista Fargo, investigatore privato sulle tracce di un hacker scomparso, si muove in una Roma che ricorda molto alcuni romanzi di Gibson, anche se di digitale o ipertecnologico c’è ben poco: d’altronde siamo nel 2034, non è che la scienza abbia avuto molto tempo per fare passi avanti. Questa Roma è una megalopoli malamente cresciuta (ben 3 raccordi anulari) e schifosamente sovraffollata, talmente irriconoscibile che con un paio di modifiche l’autore avrebbe potuto spacciarla per Udine o Poggibonsi. Chi conosce bene l’attuale Urbe può gustarsi al meglio questa nuova versione, agli altri rimane comunque un’ambientazione futuristico-nostrana che non è affatto male.

L’autore propone uno scenario misto tra cyberpunk, sordido noir e 1984, e il pastrocchio che ne viene fuori è godibilissimo nonostante i modelli vengano un po’ ridicolizzati.

In questo 2034 le innovazioni si riducono ai soliti occhialetti multiuso, unica cosa che Fargo utilizza di fantascientifico oltre alle serrature con tessera magnetica. Per il resto fanno una comparsa frettolosa alcune cianfrusaglie: telecamere con chip, ologrammi di Marlon Brando, computer che contengono intere IA. Per spiegare il trattamento che l’autore riserva a queste modernità l’esempio perfetto sono le pistole elettroniche: citate solo in un paio di righi, non si capisce assolutamente come funzionino o come siano fatte, si sa solo che sono affette da crash uguali a quelli di windows XP; Fargo invece è armato di due ferrivecchi dei giorni nostri e l’unica altra arma chiaramente mostrata è una spranga di ferro, modello immutato dai tempi del Cluedo; alcuni dei disgraziati che periranno in questa storia vengono addirittura fatti a pezzi e non è dato sapere con cosa siano stati macellati.

Il racconto offre inoltre trovate balzane che invece di suggerire innovazione fanno dubitare delle facoltà mentali dei futuri romani, tipo i ricchi che per mantenersi giovani si fanno i trapianti e per di più preferiscono organi naturali a quelli sintetici: pare strano che qualcuno aitante e in salute decida di ridursi durata e qualità della vita con un bel trapianto eterologo, ma si sa che i ricchi dei romanzi sono bislacchi e con tendenze autodistruttive. Altra chicca sono i bagni rilassanti a suon di liquido amniotico, con tutta la buona volontà non riesco a immaginare che per qualcuno sia piacevole ingurgitare la propria urina.

Oltre a queste cosucce ci fa capire di trovarci nel futuro la classica dittatura che opera tramite lobotomia televisiva di massa, dove comanda un Grande Fratello schizofrenico che oscilla tra la repressione più assoluta e il lassimo spinto: può succedere che per una protesta al supermercato arrivino nel giro di pochi secondi le truppe speciali e allo stesso tempo basti confessare che il mondo ti sembra migliore per essere giudicati meno sovversivi. Grande Fratello sì, ma siamo in Italia.

Al di là di questi siparietti moderni, la struttura e l’atmosfera del racconto sono quelle tipiche dei noir all’americana, con l’investigatore privato dal cuore d’oro ma che sa sciogliere come burro chiunque lo intralci. Ogni tanto si calca un po’ troppo la mano sulla bontà, comunque ci si affeziona al personaggio.

Non mancano i combattimenti, per lo più scazzottate; i momenti di maggior pathos si raggiungono nelle lotte con le pantegane giganti, a conti fatti i nemici più pericolosi incontrati da Fargo, mentre lo scontro finale è di una tristezza allucinante.

Nonostante gli svariati difetti La lunga notte dell’iguana non è un brutto libro, ha il fascino di quei filmacci polizieschi anni ’80 dalle trame sconclusionate e i personaggi di cartone, con uno stile adatto che non fa sentire troppo la mancanza di esperienza. La prosa non sempre è fluida, l’autore abusa di virgole e ogni tanto si lascia andare a espressioni infelici, però con la creazione di ambientazioni se la cava molto bene. Per appassionati del genere un salto in questa Roma coi ruderi trasformati in discoteche dovrebbe essere un piacevole snack, e fa piacere che ogni tanto ci si ricordi che l’accostamento tra ambientazione italiana e fantascienza non stona necessariamente: oltre alla locazione romana, niente Anthony, Bob, Kevin o nomi che vorrebbero essere esotici.

Sull’intrigo stendiamo un velo caritatevole: una soluzione banale e alla luce del sole, organizzazioni criminali incapaci di nascondere la più piccola delle prove e che lasciano testimoni chiave in bella mostra. Evidentemente in questo 2034 non si salverà proprio nessuna dalla lobotomia.

Recensione a cura di Xarxes The Alo


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