Recensione "La magia dei petali sparsi" di Amy Greene

Creato il 01 settembre 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
PETALI SPARSI COME FOSSERO PAGINE. PAGINE LEGGERE COME FOGLIE. IN BALIA DI UN VENTO SELVAGGIO E FATALE.
Una ragnatela di vite perfettamente legate le une alle altre. Un mondo trasparente e dall’equilibrio intatto, simile al cuore impenetrabile di un diamante che, se erroneamente frantumato, si presenta in tutta la sua primitiva e commovente bellezza. Un coro di voci e di storie che si ripercorrono, slacciando i misteri e le domande lasciate in sospeso, in un alternarsi di sentimenti contrastanti eppure simili, nella loro cruda autenticità. 
Ha così inizio l’emozionante tuffo tra le pagine di La magia dei petali sparsi, esordio letterario di Amy Greene, già oggetto di un enorme apprezzamento da parte del pubblico e della critica. In una sfera familiare dallo sfondo magico e femminile, prendono vita antichi racconti, rituali stregati e una corda di dinastie che cercano di vincere una maledizione lanciata sulle donne imparentate e appartenenti a questa sorta di clan che vive in una forma disgiunta: sa integrarsi con il resto della società, ma preferisce mantenere da essa il giusto distacco per impedire a chiunque di lineare la loro armonia, cuore di leggende e antiche credenze. 

È la voce di Byrdie Lamb ad alzare il sipario su Chickweed Holler, luogo in cui abitava nei tempi lieti della sua infanzia, e che aveva visto scorrere le vite di sua madre, della nonna e delle zie. Donne alle quali in molti si rivolgevano, per risolvere i loro problemi di diversa natura.  Perché la dinastia di Bardye è sempre stata baciata dal “tocco”, il quale poteva nascere nel prescelto e assumere svariate forme, come ad esempio l’incredibile dono di poter mandare il proprio spirito fuori dal corpo. 

“Non si può mai dire chi sarà la persona ad averlo”. 
Afferma la stessa Byrdie, perché streghe o no, le donne della sua stirpe erano sempre state speciali e di questo, lei andava fiera. Tra le storie che Byrdie racconta, il cerchio si stringe negli eventi più importanti della sua vita, e di quella della sua unica nipote, Myra Lamb, vera protagonista di questo romanzo toccante e altamente poetico nella sua seppur nudità di emozioni. Dall’incontro con il suo amato Macon, alla viscerale protezione che sempre nutrirà nei confronti di Myra, alla quale donerà senza alcun rimpianto ogni sua energia, fino allo stremo delle proprie forze. 
“Macon era la mia casa e per quello che mi riguardava, qualsiasi matrimonio avessimo in seguito celebrato sarebbe stato soltanto una formalità. Gli giurai fedeltà laggiù sotto quegli alberi, in piedi sopra quel fiore di sanguinaria. Mentre guardavo la sua linfa rossa, fui sopraffatta da qualcosa che sembrava quasi lo Spirito Santo. Vidi tutte le generazioni che sarebbero scaturite da Macon e me. Vidi il nostro sangue mescolarsi, risplendente lassù in quella luce cupa”.
Parole di alto pathos che turbinano in una sequenza di sensazioni quasi palpabili, in una simbiosi tra il loro profondo e sincero amore e quello per la terra, per quella stessa montagna, Bloodroot Mountain, che assisterà alla nuova vita di Byrdie e Macon, dalla quale nasceranno e moriranno velocemente i loro semi in carne ed ossa.


La voce dell’oramai anziana Byrdie sarà affiancata da quella di Doug, il ragazzo segnato dal ricordo di Myra, condannato ad amarla fino alla fine dei suoi giorni, mai ricambiato e sentitosi sempre “maledetto” a causa di questo sentimento da lui vissuto con una tale profondità d’animo e di sensazioni, d’averlo reso l’unica ragione della sua vita. Un cumulo di terra e rabbia, è proprio a questo che si ridurrà l’esistenza di Doug, frustrato dall’incapacità di esprimere alla ragazza dai capelli d’ebano e dagli occhi di cielo, l’intero universo di emozioni che il solo starle accanto gli procurava. Amore e odio nello stesso volto, come l’arco e la freccia che, divisi, divengono privi di alcun valore, vuoti di significato. La rivalità con il fratello Mark e il senso d’inadeguatezza che ciò gli causerà, spingeranno il suo modo di essere a divenire sempre più incompreso e solitario, chiuso in un vortice che troverà spazio solo dentro il suo cuore, non riuscendo mai ad abbracciare l’oggetto dei suoi più nobili desideri. Giunto al traguardo di ogni sua speranza, quando Myra farà la sua scelta e deciderà di amare l’uomo che segnerà la sua fine, sarà proprio Doug a pronunciare le parole che, in sintesi, racchiudono l’anima dell’intero romanzo
“Alcune creature sono destinate a essere lasciate sole. Non possiamo aggrapparci a loro, anche se le amiamo più d’ogni altra cosa”. 
Un destino scolpito in una drastica fatalità o la scelta di una vita strappata al seno di questo mondo e vissuta nei meandri di uno spirito selvaggio e legato alle percezioni?  L’intera parte centrale del libro evocherà le incredibili vicende che coinvolgeranno le vite di Laura e Johnny, figli gemelli di Myra Lamb. Il loro sarà un travaglio di anni trascinati e rincorsi in una serie di perdite, dolori e delusioni, in contrasto con la forza di rivalsa che animerà i loro giovani animi, sì graffiati per sempre dai ricordi, ma vincitori contro gli eventi che avrebbero altrimenti soffocato in una gola di fango anche il loro destino. 

Attraverso le loro voci si conoscerà il lato più oscuro e in un primo momento incomprensibile della madre, Myra: giovane donna dal fascino inquietante, fragile ma selvaggio, permeato da una similitudine con la natura che quasi la fa immaginare come una creatura appartenente alla terra e a quelle acque buie, che le profumano la pelle di alghe e la adornano dei pesci che luccicano alla luce del sole. Il legame che unisce Laura e Johnny sarà profondo e tormentato, costretto a dover subire una discesa improvvisa e lacerante, prima di ritrovare quella salita faticosa e premiante che meriteranno, seppure a distanza di anni pugnalati dal distacco e da un inappropriato senso di tradimento. 

“Vedere le sue dita intrecciate a quelle di qualcun altro, che non era il suo gemello, non il suo sangue, fu troppo. Se li avessi raggiunti avrei potuto ucciderlo. Anche se le mie mani di nove anni non erano in grado di farlo, il mio cuore invece lo era”. 
In queste poche righe, Johnny riversa la sua più ardente gelosia nei confronti di Laura, a lui sempre legata dalla paura di una madre a tratti presente, e da un amore fraterno che sfiderà poi il tempo  e le sconfitte. Infine , incredibile a dirsi, sarà proprio lei, Myra, ad ottenere quella riunione di cui i gemelli avevano bisogno, per riprendere in mano il destino che stava loro voltando le spalle. Il desiderio di rivederla, di ricongiungersi finalmente con colei che li aveva fatti separare, seppure senza volerlo, riesce ad abbattere ogni barriera, riallacciando quel nodo di sangue che da sempre gridava nelle loro vene, e riconsegnando ad entrambi i sentimenti perduti. 
“Sapevo che Laura aveva ragione. Era giunto il momento. Eravamo entrambi pronti. Sembrò spaventata. Poi sorrise e non riuscii a trattenermi dal sorriderle a mia volta. Mi avvicinai per appoggiare la mia fronte contro il vetro. Chiusi gli occhi e finsi che eravamo ancora su una roccia del dirupo, la mia lingua che pungeva per l’asprezza delle bacche che mi aveva offerto”. 
Ma è quando la parola passa a Myra, che il lettore si ritrova a dover scoprire una serie di pagine marchiate da descrizioni crude, nude nella loro bellezza selvaggia, profumate di erba e alberi, di acqua di lago e terra, e sangue e dolore, gioia, terrore, malinconia e sopravvivenza. In una battaglia tra il vivere e l’amare, perché per Myra non c’era posto per entrambi, nonostante credesse il contrario. Certo, la giovane ragazza di montagna, assetata di vita, non avrebbe mai creduto che il suo amore per John Odom, o magari chissà, forse anche quel piccolo cuore di pollo ingoiato nella speranza di conquistarlo, le sarebbero costati un prezzo da pagare per lei troppo alto. Ma nulla le avrebbe comunque impedito di amare il suo stesso carnefice, colui che tenterà in ogni modo di uccidere lo spirito ribelle della donna che sì amerà a sua volta, ma in un modo tutto suo, insano e pieno di buchi neri, dentro i quali Myra sarà costretta a perdersi, ad annientarsi.

Nel cuore dell’intera storia da lei narrata, si riesce a respirare e a disegnare con la mente ogni angolo di Bloodroot Mountain, portando il lettore ad amare quei luoghi tanto aspri, eppure custodi di una bellezza gelida e accogliente. Un posto forse incantato, così come la vita delle donne che hanno preceduto Myra, nella sua famiglia. Stregato in un eterno splendore di pensieri lasciati in letargo. Il dolore dell’anima prevarrà su quello fisico, per Myra Lamb. Donna dal cuore simile al fiore di sanguinaria, e dalla mente pellegrina, per sempre legata all’affetto dei figli, della nonna Byrdie Lamb, e alla terra della loro casa: 

“Uno di questi giorni, ovunque voi siate, vi volterete e guarderete verso la montagna, vecchia e selvaggia e più grande di voi. La guarderete in questo modo e saprete che è ancora viva, sia che io sia ancora qui oppure no. [...] Ma tornerai. Proprio come me, tornerai sempre a casa”.
È infine la voce di John Odom, vinta e soffocata dai rimpianti e dal rimorso, che dice addio all’opera di Amy Greene. In un breve congedo di perché e toccanti rivelazioni, l’uomo oramai rimasto deturpato nell’aspetto e nell’animo, si lascia trascinare dalla corrente del pentimento, seguito subito da un momento d’inaspettata redenzione. Una riappacificazione della realtà, con il mondo che aveva brutalmente ospitato le vite descritte con grande maestria dalla penna della Greene:

“…fummo tutti insieme, per un istante, come una vera famiglia. Mi domando se hanno sentito la stessa cosa in quei lunghi minuti, quando il mio sangue scorreva nelle loro vene e attraversava il loro cuore”.
Lo stile di Amy Greene è privo di alcun tipo di frivolezza letteraria, eppure riesce a sfiorare alcune delle corde più remote della coscienza umana, attraverso uno scorrere incalzante e mai monotono di emozioni e fatti, in un perfetto equilibrio tra riflessioni e descrizioni. Dall’ambientazione rappresentata con un ferreo realismo, ai sentimenti autentici e messi a nudo, incanalati persino tra i vari personaggi di contorno che mai giungeranno a caso, ma che troveranno sempre un preciso posto e un perché nel corso del romanzo. È bello poter concedere al cuore di Myra Lamb le sembianze di un fiore di sanguinaria, emblema della sua storia, e di quella dell’intera dinastia a cui appartiene. I petali saranno sempre sparsi un po’ ovunque, pezzetti di lei che se ne vanno via, chissà dove, chissà perché; ma la radice resterà per sempre lì, conficcata in quella terra intrisa di magia e ricordi, pronta a lasciar scorrere la sua linfa in ampi fiotti. Pronta a sanguinare in un’instancabile corsa verso la libertà. L'AUTRICE: 
Amy Greene è nata e cresciuta ai piedi delle Smoky Mountains, dove vive con il marito e due figli. Il suo romanzo d'esordio La magia dei petali sparsi è stato pubblicato da Alfred A. Knopf a gennaio 2010. 

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