[Recensione] La maschera di Belleville di Flavia Maria Macca

Creato il 16 marzo 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: La maschera di Belleville
Autore: Flavia Maria Macca
Editore: Ciesse edizioni
ISBN: 9788866600527
Anno: 2012
Format: libro in brossura, disponibile anche in eBook
Numero pagine: 320
Prezzo libro: € 18,00
Genere: Thriller
Voto:

Trama: Michelle Perrin, una studentessa universitaria di ventiquattro anni, sta correndo nel quartiere di Belleville a Parigi, cercando di sfuggire a un misterioso uomo mascherato che la sta inseguendo. Purtroppo, l’uomo la raggiunge e la rapisce. Cosa c’è dietro al rapimento di Michelle? Quale torbida storia? Il commissario Claude Roche e i due ispettori Alex Renard e Henry Rupert, si troveranno a dover districare un’imbrogliata matassa che li porterà a indagare all’interno di una grande industria farmaceutica di Parigi, la Paris Pharma e a fare i conti con una serie di omicidi seriali. Un romanzo che descrive i pericolosi percorsi e le deviazioni della mente umana, ai quali si intrecciano i sentimenti più veri: l’amore e l’amicizia.

Recensione: Devo dire che nel corso della lettura sono affiorate subito diverse perplessità, tanto che a un certo punto avevo pensato di abbandonare il romanzo. Succede.

La prima parte è piuttosto lenta, ma non è questo ad avermi impensierito. La lentezza, in alcuni momenti del thriller, può  essere l’occasione per la costruzione dell’ambiente, per lo scrupoloso tratteggio dei personaggi che vi si muovono. Se ben congegnato e dosato, dall’andante può (e deve) scaturire l’attesa, volta ad accrescere la tensione iniziale fino all’esplosione degli eventi. Così non è stato.

Il primo terzo del romanzo ha un andamento fragile, incerto. Si tenta di descrivere il gioco dei nervi di chi brancola nel buio, in una situazione che via via è destinata a rivelarsi fuori controllo. La tensione è sacrificata da dialoghi non privi di una certa ridondanza. Insomma: per un buon terzo del romanzo la storia non decolla, è mancata soprattutto una ricerca espressiva e lessicale che avrebbe potuto riempire un’andatura faticosa, quasi esasperante per ciò che rimane inespresso.

Le descrizioni (dei luoghi e dei personaggi) sono scarne e i dialoghi non bastano: il lettore doveva, con la propria immaginazione, mettere molto di suo.

I personaggi li identifichiamo all’inizio solo attraverso i nomi e il loro ruolo. Assomigliano a manichini, fantasmi o maschere (ecco la parola giusta). L’introspezione è appena abbozzata se non addirittura assente. C’è Ariane (la madre), Michelle (la figlia rapita), Claude, Alex, Henry, la misteriosa Roxanne, compagna di Alex. Vi sono i carcerieri di Michelle. Non dico che l’autrice dovesse svelare tutto di questi questi ultimi, ci mancherebbe altro. Doveva per lo più riuscire a darcene un’impronta più definita, tali da poterli individuare. Per molte pagine li distinguiamo solo perché uno è violento e sadico, l’altro gentile e premuroso.

Credo d’aver capito il tentativo che ha fatto l’autrice: intendeva – come è giusto che avvenga in un thriller – lasciar parlare i personaggi. Sono loro a dirci cosa succede man mano, anche se a volte informano troppo senza aggiungere nulla a ciò che il lettore ha  compreso. Da qui emerge la ridondanza che appesantisce la narrazione senza sciogliere i nodi degli eventi.

Per molte pagine il racconto si è mantenuto in superficie, senza entrare in profondità.  Sono parecchie le occasioni mancate, anche per l’abbondanza di temi succosi. Non sembra nemmeno di trovarsi nel XX arrondissement, di Parigi non si respira niente, nemmeno l’atmosfera letteraria ricreata da Simenon (che sarebbe stato opportuno leggere o rileggere). Dall’accostamento della bella Michelle e il sadico carceriere non trapela nessuno della fitta rete di significati che sta dietro a un consumato archetipo.

Nella seconda parte del romanzo tuttavia le cose migliorano notevolmente. La trama, prima sonnolenta, si articola in modo incalzante, anche se tarda a svilupparsi. Il romanzo prende ritmo e respiro, gli eventi si snodano, il tutto acquista velocità e maggior mordente. A un tratto si segue una pista promettente, il bandolo si scioglie grazie ai serrati interrogatori. I personaggi stessi assumono maggior consistenza e spessore, divengono meno sfuggenti e più definiti, sembrano uscire dall’ombra che li avvolgeva. La Maschera di Belleville, lo squilibrato autore di una serie di omicidi oltre che del rapimento acquista la sua fisionomia solo nell’ultimo terzo del romanzo, ma almeno su tutto il resto via via si è fatta luce. Sul rapporto problematico tra Alex e Roxanne cade un velo. Altri tuttavia rimangono sullo sfondo: i genitori di Michelle (se non nel finale), la segretaria Isabelle, una presenza evanescente, tanto efficiente quanto insignificante.

Ciò non basta a salvare la situazione. Il romanzo non è mal congegnato, il talento nella scrittura c’è e si vede. La struttura portante è presente, ma bisogna comprendere che essa, da sola, non basta a reggere il tutto. Occorre aggiungere un’anima viva e pulsante in grado di alimentare suggestioni, oserei dire quasi una colonna sonora. Ingredienti che non dovrebbero mai mancare in un thriller.


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