Buon giorno lettori e buon inizio settimana! Nuova recensione per voi, di uno degli ultimi libri che ho letto nel 2015, sto parlando di
"La nostra ultima canzone" di S.K.Falls uscito da noi grazie a
Piemme (che ringrazio). Ammetto di aver giudicato il libro un po' troppo presto, l'impatto non è stato dei migliori. Entrare in empatia con la protagonista è molto difficile per via della sua
"malattia", ma ve ne parlo meglio nella recensione!
Titolo: La nostra ultima canzone
Autore: S.K.Falls
Editore: Piemme
Prezzo: 17,50
Pagine: 348
Data uscita: 17 Ottobre 2015
Il più grande desiderio di Saylor è ammalarsi, solo così, pensa, chi le è accanto la noterà e le vorrà bene. Ha la Sindrome di Munchhausen, infatti, e ogni scusa è buona per entrare in contatto con germi e malattie. Così, quando il suo psichiatra le consiglia di andare a fare volontariato per i gruppi di auto-aiuto, accetta con grande entusiasmo: per ammalarsi non c'è niente di meglio che passare del tempo in ospedale. Lì Saylor conosce un gruppo di ragazzi, malati terminali, e inizia a frequentarli Tutto si basa su un equivoco, loro pensano che anche Saylor sia molto malata, ma lei non ha alcuna intenzione di fargli cambiare idea, perché per la prima volta si sente a suo agio con dei ragazzi della sua età. Tra di loro c'è Drew, un ragazzo bellissimo, un musicista, di cui a poco a poco Saylor si innamora. A separarli c'è quella tremenda bugia, Saylor non ha davvero la sclerosi multipla, ma a unirli c'è una forza potentissima, che li spinge a credere di conoscersi da sempre.
"Tanto per essere chiari: non stavo cercando di ammazzarmi. Noi affetti dalla sindrome di Münchausen siamo patiti delle malattie, ma non tanto della morte. Quella la lasciamo ai depressi." - Da La nostra ultima canzone, S.K.FallsPer cercare di capire la protagonista Saylor bisogna partire da qui, questa parolona che io personalmente non conoscevo, questo disturbo che è difficile capire e apprezzare:
Sindrome di Münchausen. Cos'è? Cosa fa? All'inizio ci troviamo sgomenti davanti ad una protagonista che sin da piccola si fa del male, non del male comune. Non del piccolo male. No, siamo di fronte ad una bambina che per attirare l'attenzione ingoia un ago, si taglia, brama l'ospedale. Brama dunque il dolore? La vista del sangue? La pena e la sensazione che provoca? No. Dietro a tutto questo c'è di più: una famiglia con un padre perennemente assente, una madre che non vuole guardare in faccia il problema. Saylor attira così l'attenzione, vorrebbe essere malata, è affascinata soprattutto dalle malattie terminali o quelle inspiegabili. Invidia i bambini che possono trascorrere la maggior tempo del loro tempo in ospedale, cullati da infermiere e parenti. Malattia. Certo.
Come entrare in empatia con una protagonista così? Ammetto che all'inizio è stato difficile. Molto difficile. Leggere tutto il dolore che si provoca Saylor, cose impensabili e orripilanti da accettare, eppure
eccomi qui ad aver apprezzato la lettura di "La nostra ultima canzone" a dispetto di ogni partenza bruta e aspettativa.Ci avviciniamo lentamente, di soppiatto. Un po' con la bocca aperta, a volte cercando di chiudere gli occhi. Quanto deve essere brutto trovare nel dolore fisico l'unica via d'uscita? Eppure a volte la vita riserva altre sorprese, proprio quando stai per arrivare in fondo. Saylor incontra Drew nel gruppo di sostegno per malati terminati in cui non dovrebbe essere, ma che per equivoco la porta a frequentare continuamente. Drew a differenza sua però malato lo è veramente: di
atassia di Friedreich. Potrebbe non muoversi più.Mentire oltre che ferirsi, Saylor si innamorerà immancabilmente di Drew, ma la verità che gli tace è grande, troppo grande. Si ritroverà così a dover far fronte ai suoi problemi e decidere cosa vale la pena fare.
La nostra ultima canzone è un libro che da un grande impatto al lettore, ma non è per tutti. Consigliato a lettori forti, coraggiosi. A lettori che non hanno paura di giudicare.
4/5
Cosa ne pensate? Vi incuriosisce? Ammetto di aver storto un po' il naso leggendo la trama e guardando la copertina. Ma per questa volta...meno male non mi sono fermata ai pregiudizi!