Ciao
a tutti. La settimana, per me, ha inizio oggi! Dopo un lungo weekend
che si è protratto fino a mertedì sera, si ritorna – in treno –
all'università. Il mio lunedì è arrivato due giorni dopo, ma il
trauma è lo stesso. Vi parlo, oggi, di un romanzo che mi ha
sorpreso, dall'inizio alla fine. Mi è piaciuto moltissimo. Forse
perché è da tempo che non leggevo un libro per ragazzi scritto come
si deve. Forse perché Yancey è parecchio bravo e riesce a far
scintille con la più semplice delle storie. Ringraziando Anna e
Giovanni – per il romanzo e il kit! Qui la foto – vi auguro una
splendida giornata, anche se questa mattina mi ha dato il buongiorno
la pioggia. Dovrò dire addio ai pomeriggi in canottiera, sul
balcone...
“La
crudeltà non è un tratto della personalità. La crudeltà è
un'abitudine.”
“Non
ci sono ma.
Semmai e.
Sono umano e
non lo sono. Sono entrambe le cose
e nessuna. Sono
l'Altro e
sono te.”
Titolo:
La quinta onda
Autore:
Rick Yancey
Editore:
Mondadori “Chrysalide”
Numero
di pagine: 520
Prezzo:
€ 17,00
Sinossi:
Di
notte, Cassie non può più guardare il cielo stellato con gli stessi
occhi di prima; ora sa che "loro" arrivano da lì, da
quegli astri luminosi e distanti, e arrivano per distruggere il suo
mondo. Cassie è tra gli ultimi superstiti, sola, in fuga da "loro",
esseri mandati sulla Terra per sterminare la specie umana: l'unica
speranza che le resta è ritrovare Sammy, il fratellino che le è
stato strappato dalle braccia. Quando il misterioso Evan Walker si
offre di aiutarla, Cassie capisce che deve prendere una decisione:
fidarsi o rinunciare alla sua missione, arrendersi o continuare a
lottare.
La recensione
“E'
un gesto senza speranza. Stupido. Suicida. Ma l'amore è un'arma
contro cui non hanno difesa. Sanno come pensate, ma non sanno cosa
provate.” Ci devo pensare su. Oppure no. Devo scrivere di
getto. Oppure no. Una mente aliena mediterebbe a lungo,
probabilmente, prima di fare un altro passo. Mediterebbe, stop.
Ma l'umanità sta nell'impulsività. Nel sentire tutto più
amplificato. Nelle lotte intellettuali tra o
ed o. Sbarello, dunque sono. Cartesio diceva o non diceva una
cosa del genere? Mah. Nel dubbio, io sbarello. Con un teschio
spolpato nella mano, le paranoie di Amleto e quello che vi pare: fate
voi. Ho finito La quinta onda e
mi è piaciuto senza riserve. Lo confesso senza riserve. Gli alieni
hanno invaso il cielo all'improvviso. Luci verdi vomito, catastrofi,
umanità decimata. Solita roba. I mariti hanno sepolto le mogli
accanto ai roseti un tempo in fiore, le figlie hanno chiuso gli occhi
ai padri. Gli adulti hanno abbandonato i più piccoli. Gli indifesi
si sono nascosti come ratti – scattanti, invisibili, schifati
lebbrosi. La quinta onda parla
di brutte cose, e ha inizio in medias res, con il peggio che è
appena iniziato. Parte così, dal nulla, ma non disorienta. E' il
romanzo in sé ad avermi disorientato, piuttosto. Mi ha colto che più
impreparato non si può. Confesso che, se fosse stato per me, non
l'avrei comprato. Invece si era fatta avanti la Mondadori con una
sorpresa: avevano un romanzo d'avventura per me. A
sorpresa. Con un odio naturale
per i romanzi d'avventura e un amore, sempre naturale, per le
sorprese, ho atteso che mi arrivasse, in realtà non attendendolo
nemmeno un po'. Era sbucato da un voluminoso pacchetto insieme a
barrette di cioccolato, bussola, cerotti, pinzette, una tracolla
nera. Troppo carina l'idea di abbinare uno sci-fi con un kit di
sopravvivenza! Che quello sci-fi non avesse mai attirato
particolarmente la mia attenzione, invece, in quel momento, mi era
importato a stento. Mi fidavo. Mi concentravo sulla sorpresa, come un
bebè di vent'anni che si sente felice e coccolatatissimo.
Ho finito
Allegiant, della Roth,
e sul comodino c'era quest'altro. Mi ci sono attaccato. Letto,
occhiali, segnalibro: via. Carino, me lo aspettavo carino. La mattina
successiva sarebbe sicuramente stato una valida compagnia in treno.
Invece mi è bastato il prologo: breve, cupo, inquietante. Questo
Rick Yancey – doveroso ammetterlo – è molto più che un autore
da libri carini. E' bravissimo. Ha una maestria che ti confonde e che
rende del tutto impossibile mettere a fuoco il suo sesso. Questo non
sembra un complimento, vero? Colpa mia. Questo signore qui è un
camaleonte. Ha sei anni, sedici, duecento. E' uomo e donna. Ti
racconta, all'inizio, la storia di Cassie, un'adolescente che – in
una tenda, nel bosco – culla teneramente un orsetto di peluche e un
fucile. Te lo racconta lei. Della prima onda, e della seconda, e
della terza, e della quarta. Di sua madre che ha iniziato a vomitare
sangue, di suo padre che è stato sparato a sangue freddo, di un
fratellino che ha scelto di seguire i soldati sul pulmino giallo
della scuola. Ma i punti di vista cambiano senza prima avvisare.
Senza nessuno che ti indichi, con un nome scritto a stampatello sotto
il numero del capitolo, di chi sia la voce che senti. L'autore parla
come l'ospite e parla come l'invasore, come il cacciatore e la preda.
In prima persona e in terza. Con una narrazione solidissima, spiega
il dramma di chi fugge e il dramma di chi è prigioniero di un
esercito, di un'arma. Sembra che, accanto a lui, al computer, ci sia
un'altra persona, nella peggiore delle ipotesi. Il suo romanzo è
scritto a quattro, a sei mani. C'è una lieve malizia nella voce di
Cassie, rabbia e vigore in quella di Ben, innocenza a tutti i costi
in quella di Sammy. Ha una strana saggezza, Yancey. Stranissima.
Illustra le strategie di una guerra di logoramento in cui gli Altri
sono parte di noi e in cui scegliere chi faccia più schifo – tra
chi è umano e chi non lo è – non è così elementare. Ci racconta
di “uno squalo che sognava di essere umano” e di una ragazza che
aveva la presuntuosa certezza di essere l'unica persona sulla faccia
del creato. Pretesa egoistica, la sua. Yancey fa ricorso alla prima
persona in due casi: Cassie, come Cassiopea, e Ben, come Benjamin.
Immaginate che il romanzo non abbia una copertina: un volumone scuro
senza titolo e senza un autore... Autore o autrice? Davanti ai
pensieri bruschi, buffi, svenevolmente romantici dell'esilarante
Cassie pensereste a una donna. A una voce che trema di fragilità,
sospetto, passione. E' donna, per forza. E magari ha anche sedici
anni e scrive fan-fiction di Twilight:
le gambe di gelatina quando si tratta di parlare con i ragazzi, la
tendenza a dar vita a parallelismi sdolcinatamente poetici tra gli
occhi del lui di turno e le stelle del cielo, il desiderio di un
amore che fa sognare e dire bleah.
Cassie si odia, l'amore si odia. Di certo non si odia Evan Walker:
mani grandi e morbide come nuvole, alito che sa di cioccolato, una
casa e un cuore vuoti. Ben si è svegliato, invece, con il desiderio
di non svegliarsi. Lontano. Pensieri molto emo, una vitalità da
zombie. I soldati “cattivi” gli hanno messo un'arma in mano e gli
hanno insegnato a sparare. Per proteggere e servire. Al collo, ha un
ciondolo a forma di cuore e condivide la stanza con bambini soldato
che hanno soprannomi di cibi da asporto, manicaretti, cartoni
animati. La sua stanza è una camerata e il suo nuovo nome è Zombie:
decisamente calzante. Allora giureresti che a scrivere sia un uomo:
atletico, con le spalle larghe e nozioni basilari di football e
guerriglia. Io ho amato i protagonisti. Ho creduto a loro e ho
creduto in loro.
E, ogni volta che il POV cambiava, avevo un nuovo
protagonista preferito. Così, a capitoli alterni. Parlando di loro,
gesticolerei senza sosta. Lo so. Riempirei una pagina di cuori per
esprimere la delicata dolcezza di una storia d'amore che –
sdolcinata, da romanzo e tutto quello che volete... – ha una
bellezza a cui non ho saputo resistere. Adotterei – peggio di
Angelina e Brad – quello scricciolo tenerissimo di nome Sammy e,
come Ben, non dormirei sonni tranquilli senza prima avergli fatto
dire le preghiere della buonanotte. Quel Rick Yancey, alla fine, era
un uomo con una sensibilità infinita e un talento lampante. Era
sceso in campo per mostrare ai comuni mortali come scrivere un degno
romanzo young adult e per condividere con il mondo – e Veronica
Roth, in primis – l'uso a regola d'arte dei punti di vista
alternati. Era tornato da me per farmi ricordare una storia –
seppellita chissà dove – che, da bambino, mi aveva fatto
impazzire. Io Rick Yancey già lo conoscevo, infatti. Mi aveva fatto
ridere a crepapelle con Le straordinarie avventure di
Alfred Kropp, quando ero basso e
grassottello e avevo bisogno di anti-eroi bassi e grassottelli
proprio come il sottoscritto. Mi ha divertito ancora: l'ho
riconosciuto, forse, per via del sorriso. In una piccola storia
crudele, sanguinosa e assassina, lui sa strappartene a centinaia,
come tappi sulle granate. Poche idee, passaggi ipnotici, voci
numerose ma perfettamente distinguibili. Risate per schegge
conficcate nel sedere, giunoniche guerriere che non sorridono perché
magari hanno qualche dente di meno, pensieri - formulati dalla
giovane Cassie - che fanno invidia ai romanzi rosa più imbarazzanti.
La quinta onda è un
kolossal che racconta quello che già sai. Un blockbuster ad alto
budget dallo script non a prova di bomba. Anziché mostrare i segni
dell'apocalisse e il cielo in fiamme, però, zoomma nelle case, sotto
i tetti, sotto le lenzuola e le lamiere delle macchine. E' di
un'intensità che non ti aspetti, è di una potenza che fa rumore.
Molto introduttivo, poco introduttivo. Non succede granché. Allora è
statico? Non per me. Mai. Ho visto i cieli muoversi, pesato corpi di
bimbi senza più l'anima, sentito le ossa dei protagonisti allungarsi
e crescere in 500 pagine. Sono spuntati dal nulla, come fragole su un
cespuglio innaffiato da piogge acide. Come adolescenti in guerra.
Bambini abbandonati nel bosco. “Forse non abbiamo occhi?
Mani, membra, corpo, sensi, affetti, passioni? Se ci pungete, forse
non sanguiniamo? E se ci fate un torto, non ci vendicheremo?
Shakespeare. Il mercante di Venezia. A parlare è un membro di una
razza disprezzata e oppressa. Come la nostra. Quella umana.”
Il
mio voto: ★★★★½
Il
mio consiglio musicale: 30 Seconds to Mars – This is War