Recensione: La schiuma dei giorni, di Boris Vian
Creato il 14 settembre 2013 da Mik_94
Ti
ho già detto che ti amo tanto, sia all'ingrosso che al dettaglio?
Titolo: La
schiuma dei giorni
Autore:
Boris Vian
Editore:
Marcos Y Marcos
Numero
di pagine: 268
Prezzo:
€ 14,50
Sinossi:
Colin è un giovane parigino ricco e annoiato. Passa il tempo
dedicandosi a ricette inverosimili, strimpellando bizzarri strumenti
di sua invenzione, bighellonando con Chick - il suo migliore amico -
un ingegnere spiantato e sperperone che ha uno strano pallino:
collezionare le opere di Jean-Sol Partre. Poi, nella vita del
signorino entra, in modo esplosivo, l'amore. L'incontro con la bella
Chloé è un colpo di fulmine: decidono di sposarsi nel giro di pochi
giorni. Al ritorno dal viaggio di nozze, Chloè si ammala. Nei suoi
polmoni si annida un male terribile, fatica a respirare. Mentre il
tempo va sempre più veloce, e l'appartamento dove vivono,
inizialmente di dimensioni faraoniche, si fa sempre più stretto...
La recensione
Boris
Vian era un tipetto bizzarro. Scriveva prima per sé stesso e poi per
gli altri, amava inventare parole nuove e nuovi mondi, era un poeta,
un trombettista bambino, un sognatore. Un artista con la a
maiuscola. Visse nell'ombra, sostenuto da pochissimi lettori, e morì
nell'ombra. In una sala cinematografica che proiettava il film tratto
dall'unico dei suoi lavori che amava di meno, pubblicato per
scommessa e scritto con animo pieno di disprezzo. Da solo, denigrato.
Lui non se ne sarebbe fatto niente di questa mia recensione, e La
schiuma dei giorni non dovrebbe
nemmeno averne una. E' questo che penso. Vian, con quel suo stile dolce,
pungente e innovativo, ha il temperamento di un bambino pizzicato dal
germe dell'iperattività quand'era ancora in fasce. Non sta mai
fermo, non sta mai zitto, ti sommerge di disegni irrealistici e di
parole coniate presso un asilo frequentato da geni incompresi; ci
pone domande stranissime di cui non conosciamo la risposta, ma che
lui – che se la ride sotto i baffi come un furfante –, al contrario nostro, conosce
benissimo.
Ti
sta mettendo alla prova, in realtà. All'inizio di ogni romanzo che si rispetti c'è
scritto questo: Quello che leggerete è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale. Ma
per questa storia il discorso non regge. Tutto è vero. Tutto doveva
essere vero, per quell'uomo
affamato e folle di nome Boris. La Schiuma dei giorni
straripa di immagini, eccede in
tutto, ma sui sentimenti è vago e trattenuto. E' un mondo senza
bianchi e neri, senza sfumature. Tutto è a colori accecanti. Una
filastrocca per bambini sulla morte, la dipendenza e la malattia, in
cui animali parlanti, topolini suicidi, librai luciferini e ninfe con
ninfee aggrappate ai polmoni ci lasciano con un messaggio
incredibilmente tragico. E' un romanzo post-moderno, una beffarda
presa in giro dell'esistenzialismo di Sartre, un quadro di Chagall
per i non vedenti. Tutto è smielato, dolciastro, un pericolo per i
nostri denti e per il nostro diabete. Ma poi, d'un tratto, tutto
cambia, senza che si abbia bisogno di dentrifrici ammazza-carie e di
massicce dosi di insulina. I colori cedono il posto al buio, le
nuvole rosa diventano solo cumune zucchero filato, i fiumi d'argento
si rivelano solo strade piene di riufiuti; la vita, senza Chloé, è
una lunga e inutile fila per entrare in un Luna Park che non ci
diverte più come un tempo. Non ti leghi ai personaggi, ma apprezzi
quello che c'è dietro e quello che c'è dentro. La via di fuga dagli
orrori del dopoguerra aveva, infatti, questa forma tutta nuova per Vian. Con le
sue divagazioni nei campi della scienza, della fisica, della
filosofia, del jazz e della gastronomia, La schiuma dei
giorni è un romanzo da leggere,
ma non da consigliare spassionatamente. Non so a chi piacerebbe o
meno. Non so nemmeno se è piaciuto a me, a dirla tutta. Mai ho letto
e mai leggerò qualcosa di altrettanto curioso. Di troppo unico nel
suo genere. La fine della lettura richiede una disintossicazione e
una rapida assimilazione. Solo Gondry avrebbe potuto
portarlo al cinema, solo il regista di Eternal Sunshine of
the Spotless Mind avrebbe potuto
portare sul grande schermo il paese delle meraviglie (e degli
orrori...) che spesso ho avuto difficoltà, nel corso della lettura,
ad immaginare.
Michel Gondry non ci fa la parafrasi di questa cruenta
poesiola infantile, di questo girotondo ballato sulle rotaie di una
stazione ferroviara perfettamente funzionante. Tuttavia, dà alla
storia spazio e tempo. Scompone le forme in oggetti concreti, in
tripudi di pacchiani effetti speciali, in sgarrupate casette di lego,
in flessibili modellini di pongo. Dà il mal di mare: il trucco è
stare al gioco, dall'inizio alla fine. Il libro è "disperato e
orribilmente felice". Lo chiudi, vai a letto, lo sogni e lo continui
l'indomani mattina. Lo leggi a piccole dosi, pian piano. Il film,
invece, non puoi che guardarlo consecutivamente, in due ore di
assurdità senza pause. E' identico in tutto e per tutto, ma,
contrariamente al romanzo, stufa in fretta. Più che triste, mi ha
lasciato psicologicamente e fisicamente stanco. I cadaveri ignorati
come rifiuti, fosse comuni alla pista di pattinaggio, una nuvoletta
meccanica noleggiata al primo appuntamento, piatti animati, tavole
coi pattini a rotelle, anguille ghiotte di dentifricio all'ananas,
topi antropomorfi come gli omini di Willy Wonka, pianoforti le cui
note corrispondono a un liquore di marca o alle spezie di un cocktail
alcolico. Il cielo tagliato in due come una mela – da un lato la
pioggia, dall'altro il sole -, le corse in una macchina di cartone,
la scena da sogno del matrimonio di Chloé e Colin: con i pederasti
d'onore, con un coro di voci bianche che canta i loro nomi, con un
bellissimo bacio sottomarino.
Splendido
il graduale passaggio al bianco e nero, che omaggia The
Artist e Tempi
moderni, mentre la casa dei
protagonisti implode su sé stessa e li stritola lentamente. Colin,
allergico alla fatica e economicamente e sentimentalmente generoso, ha
il volto dell'affascinante Roman Duris (Il truffacuori,
Tutti pazzi per Rose) che, da
rampollo fannullone, si cimenterà con i lavori più sottopagati e
strani: annunciatore di disgrazie future, riparatore di sedie
rigorosamente irriparabili, “covatore” di munizioni in un campo
di artiglieria pesante. Chick, lo stralunato e fragile Chick, che ama
più i libri che la sua Alise, è Gad Elmaleh (Una top
model nel mio letto). Omar Sy
(Quasi amici)
interpreta, invece, il cuoco e il personale angelo custode di Colin,
mentre Chloé non poteva che essere l'adorabile e dolce Audrey Tatou
(Il favoloso mondo di Amelie).
Il film è molto simile al romanzo, però qualche
nota qui e qualche nota lì mi sono risultate discordanti, perfino in
quel caos stonatissimo già così. Mi ha lasciato un senso di
pesantezza e disorganicità. Lo sconsiglio, quindi, almeno
parzialmente, a coloro che non hanno letto il romanzo: correrebbero
il rischio di lasciare la sala di corsa, con le gambe lunghe, molli e
snodate di un ballerino di Sbircia-Sbircia; non
riuscirebbero a tollerarne tutti gli eccessi, probabilmente.
Nemmeno io, con il ricordo delle
parole di Vian ancora fresco come vernice color puffo, ho potuto
farlo. La schiuma dei giorni – il
romanzo e, nelle linee generali, anche il film – è una piscina di
palline colorate con uno strato di siringhe infette nascotte sotto la
superficie. Un dolce ricorto di sbuffi di panna “nuvolosi”, con
una lametta letale nell'impasto... Ed è tante altre cose un po' così: dolci e
truci. Burlesco, cinico, crudele, tenero, fiabesco. Disgustosamente
variopinto, assurdamente creativo, follemente romantico. Per tenere a
mente che tutti i migliori, forse, sono fuori
di testa.
Il
mio voto: ★★★
Il film: ★★
Il
mio consiglio musicale: Glen
Hansard & Marketa Irglova – Falling Slowly
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