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Recensione: LA SOLITA COMMEDIA. INFERNO. Il balzo in avanti dei soliti idioti

Creato il 19 marzo 2015 da Luigilocatelli

10998307_674572212654808_7088416640071062470_oLa solita commedia. Inferno, regia di Frabrizio Biggio, Francesco Mandelli, Martino Ferro. Con Frabrizio Biggio, Francesco Mandelli, Giordano De Piano, Tea Falco, Gianmarco Tognazzi, Walter Leonardi, Paolo Pierobon, Daniela Virgilio. Al cinema da giovedì 19 marzo.
1960916_674587499319946_615562636412237114_oIl  terzo, e il migliore, dei film della coppia Mandelli & Biggio. Un viaggio demnziale nei tipi e nei mostri umani della nostra Italia contemporanea. Con dentro più idee che in quasi tutte le commedie italiane degli ultimi anni. Per un momento ho sperato che i due ci consegnassero il nostro Storie pazzesche, invece, nonostante i loro moltissimi meriti, non ce la fanno a costruire una narrazione coerente. Resta comunque per loro un gran balzo in avanti. Voto 7
10983561_674585545986808_636219024678264929_oDopo il Boccaccio dei fratelli Taviani, arriva Dante con la sua commedia rivisto dai soliti idioti Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli, e chissà se è solo una coincidenza questo ritorno – e da parte di gente così diversa – al canone italiano, alla consolidata classicità delle letture fatte al liceo. Poco importa che Mandelli & Biggio stravolgano la commedia, pardon la Commedia, poiché, dandoci a intendere di sbeffeggiarla, in realtà la omaggiano devotamente e ne subiscono la fascinazione, riportandone versi su versi e ricalcandone la lingua in nuove terzine demenziali e basse e raffinatamente scurrili che rinfrescano la gran tradizione linguistica di quella goliardia persasi definitivamente nelle università con il Sessantotto. I due ragazzacci che tanto fan disperare le anime belle e i tipini fini della nostra critica dan prova con questo loro terzo film di avere più idee di gran parte delle commedie nostre viste al cinema negli ultimi anni, e di avere più talento, cultura, anche cultura e passione schermiche e cinematografiche. Perché, ed è una notizia, La solita commedia. Inferno ha una regia, un progetto di messinscena, rifugge dalla sciatteria, imbastisce immagini, inquadrature, sequenze per niente corrive e sempre con un’intenzionalità (si pensi alla sequenza finale dell’alba al lunapark), mica come nelle robacce che spesso ci tocca vedere dove si piazza la macchina da presa, si fan muovere e parlare gli attori, ed è tutto. Una commedia-inferno con dentro un umorismo cattivo, feroce, che mostrifica i suoi bersagli umani e ce li abbassa al peggior livello del sordido, del laido, dell’abietto. Sicché davanti agli occhi ci scorre una comédie humaine truce e trucida, un’umanità avida, famelica, abbrutita, il lato rimosso e nascosto, e fecale, escrementezio, sozzo e putrido dell’anodina bellezza di massa dei nostri anni, della trionfante dittatura di corpi plastificatamente perfetti. Il mondo è un girone infernale, ci dicono Mandelli e Biggio, in linea con i grandi atrabiliari della letteratura e del cinema, e ce lo mostrano e dimostrano. Non chiamatela commedia all’italiana, qui non c’è niente dell’ammicco, del piacionismo, dello sgangherato lazzo plebeo di quel genere principe del nostro cinema, siamo piuttosto dalle parti di Terry Gilliam e dei Monty Python tutti, o delle commediacce strepitosamente volgari e acute che ci vengono dall’America da gente come Seth Rogen, Evan Goldberg e Judd Apatow. O di animazioni irriverenti come South Park e I Griffin. Il primo quarto d’ora è strepitoso. Minosse e il suo assistente (una delle tante incarnazioni-mutazioni dei nostri due nel corso del film) fan sempre sempre più fatica a smistare nei gironi giusti i peccatori che arrivano all’ingresso dell’inferno, e quando gli capitano uno di seguito all’altro un hacker e uno stalker gettano disperati la spugna. Ma che peccati son mai questi? dove mandarli visto che non ci sono gironi predisposti per loro? Minosse corre su dal padreterno e lo convince ad indire un’assemblea dei massimi esperti dell’aldilà per trovare una soluzione (irrompe anche un Satana/Biggio in tacchi e leggings, ed è un’invenzione fantastica). Grandissima scena con consesso di santi, compreso un padre Pio dalla mano guantata e bucata, una simil madre Teresa, una Madonna e un Gesù seduto alla destra del padre che mastica gomma e sta attaccato allo smartphone con aria scazzata. Finché si addiviene alla decisione di rimandare giù in terra Dante Alighieri a fare una conta e un censimento dei nuovi peccati, in modo da procedere poi alla realizzazione di adeguati gironi e malebolge. Bene, questa prima parte funziona alla grande (poche volte s’è riso tanto ultimamente, e senza doversi vergognare), e lascia intravedere un grandissimo film che purtroppo solo in parte si realizzerà. Quel che segue, la missione di Dante qui nel nostro mondo dove si trova subito come suo Virgilio un recalcitrante precario di un supermercato, è un viaggio nel nostro qui e ora, il più turpe, il più sgraziato e disgraziato, tra folle di dananti che non sanno di esserlo, mossi dai peggio impulsi. Un’allarmante immersione nella demenza italiana contemporanea, raccontata e rappresenata in chiave di surrealtà e di grottesco. Con deformazioni fisiche che, lombrosionamente, rimandano a tare morali e antropologiche irrimediabili. I nuovi gironi son cose come l’assalto a cappuccino e brioche la mattina fendendo l’orda, un ingorgo in centro città, un condominio, un supermercato affollato e via così attraverso altri luoghi della nostra feroce convivenza quotidiana. Mandelli e Biggio lanciano molte frecce, e se qualcuna va dispersa chissà dove, molte arrivano dritte al bersaglio. La lunga sequenza dei malati compulsivi di smartphone equiparati ai tossici da ero e crack, con quegli antri luridi in cui posson sfogare la loro dipendenza. I due poliziotti violenti che interrogano e minacciano la macchinetta del caffè che si rifiuta di dare il resto (per me il pezzo migliore del film). La coppia degli impediti del wifi. Il clandestino comitato della bruttezza che impegna i suoi accoliti a distruggere il bello e disseminare l’orrendo. E si potrebbe continuare parecchio con l’elenco delle molte cose inquiatantemente divertenti, e qualche volta geniali, che i due allineano in corso d’opera. Non tutto è allo stesso livello, ovvio, le cadute e le parti senza nerbo non mancano. Ma, ripeto, c’è dentro più roba qui che in tanto cinema italiano che se la tira e si autocelebra. Il problema vero di La solita commedia. Inferno sta altrove. Vedendo il folgorante inizio alle porte dell’inferno e quell’assemblea in paradiso ho pensato che sarebbe potuto diventare il nostro Storie pazzesche, il gran film argentino arrivato in finale di Oscar e uscito anche da noi con buon successo. O I mostri di questa Italia d’oggi. Invece macché, Biggio e Mandelli non ce la fanno a costruire blocchi narrativi coerenti e di una certa complessità, allineano molti momenti felicissimi e azzeccati ma come irrelati tra loro, non connessi in un insieme e in un discorso. Non basta l’idea-cornice del viaggio tra i peccati e i peccatori di oggi, o meglio, l’idea è ottima, solo che non le si dà corso. Purtroppo la varia e avariata umanità che ci vien mostrata c’entra poco o niente con le nuove colpe e i nuovi peccati. Biggio e Mandelli li battezzano, i loro tipi umani-bersaglio, di volta in volta come Tiratori di pacchi, Molestatori di chi ha fretta, Incapaci del wifi, Tecnoincontinenti, Incapaci letali e via così. Ma vi pare che questi siano peccati o vizi? Sono distonie rispetto al medio vivere, sono inabilità, se volete, ma peccati no. L’impressione è che i due autori-attori abbiano inanellato casualmente, anarchicamente una serie si skeccettoni senza seguire un’idea forte e abbandondandosi all’impulso del momento ( e magari pescando qua e là dal loro repertorio televisivo) e che poi, a posteriori, abbiano appiccato sopra una qualunque etichetta pseusopeccaminosa per farli rientrare nella cornice narrativa stabilita in partenza. Ma l’operazione non riesce, nessuno riuscirà mai a convincermi che la categoria “Tiratori di pacchi” merigti l’inferno. Insomma, Biggio e Mandelli finiscono col peccare di autoindulgenza, non riuscendo a frenare la propria vena comica e non costruendo una narrazione coerente. È questo il vero limite di La solita commedia. Inferno, non la sua scurrilità o la sua presunta blasfemia.


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