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Recensione "La sposa vermiglia" di Tea Ranno

Creato il 07 aprile 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Recensione "La sposa vermiglia" di Tea Ranno

Pubblicato da romina
Titolo: La Sposa Vermiglia 
Autore: Tea Ranno 
Editore: Mondadori
Pagine: 365 
Prezzo: 18 euro 
Trama: Sicilia, 1926. Vincenzina Sparviero è la figlia attraente ma fragile di una famiglia di nobili siciliani, una ragazza, si dice in paese, troppo cagionevole per diventare madre. Ma della sua presunta sterilità al vecchio don Ottavio Licata non sembra importare granché, e così il matrimonio d’interesse fra la “palombella” mansueta e obbediente e il ricco sessantenne, fascista e mafioso, è combinato. Un pomeriggio di primavera, però, quando il fidanzamento è stato ormai annunciato, improvvisamente Vincenzina incontra l’amore negli occhi ambrati di Filippo Gonzales. Da quel momento la ragazza si difende dal futuro che incombe imbastendo nella fantasia le immagini di una gioia impossibile: seduta alla finestra della sua stanza a ricamare e sognare, attende il passaggio della sagoma amata con il passo lento, le mani in tasca, uno sguardo fuggevole verso di lei. Nella china lenta e inesorabile che conduce, sul filo della tragedia, al matrimonio annunciato, assaporiamo la storia struggente di un amore probabilmente impossibile.
RECENSIONE  Strana sposa quella che attraversa la chiesa, pensandosi in un abito vermiglio, mentre con occhi spaesati si guarda intorno per vedere se lui è lì. Se è venuto. Lui è il bellissimo Filippo Gonzales, occhi scuri che incantano, un che di malinconico e sfuggente che brilla nello sguardo. Ad attenderla all’altare, invece, Ottavio Licata – di quarant’anni più vecchio –, unghie gialle e labbra molli, di quelle che ti lasciano una scia vischiosa quando ti baciano.
Siamo negli anni Venti, in un piccolo paese siciliano dove l’aria sa di mare e gli animi si accendono alle promesse di una bandiera che si fa pugno. È una tragedia del vivere quella che coinvolge la giovane e bellissima Vicenzina Sparviero, promessa a quel vecchio da cui solo il sogno sembra in grado di preservarla. L’incontro con Filippo, lontano amico di infanzia, gli sguardi che si incrociano in parole non pronunciate, e riecheggiano mille volte nella mente, scivolano lungo le pagine accarezzando il lettore con lo stile inconfondibile della Ranno, ricco di contrasti, a volte poetico, a volte duro e secco come mannaia. Perfetto per tratteggiare la commedia di una triste umanità, colpevole con la sua ipocrisia, con le regole non dette ma che valgono più delle leggi in un mondo dove i confini sono tracciati di netto. Il dentro e il fuori, la casa e la piazza, il maschile e il femminile, il sogno che diventa desiderio proibito, frustato, una realtà da cui non si può fuggire. 
In questo piccolo universo – orchestrato e selvaggio – soltanto un valore riesce a riappacificare dicotomie e a unire gli opposti: l’arrivismo, la sete di denaro. È questo il vincolo, il nodo che lega Vincenzina – donna di raffinata nobiltà – al gretto parvenu, quel don Ottavio che non conosce decenza, del quale tutti in paese sanno le sordide visite ai bordelli. Quel don Ottavio che tutti chiamano Pazzo, ma di cui cercano i favori. E la lista dei servi è lunga, a partire dal padre di Vincenza, al cui volere lei dovrà sottomettersi. E allora il sogno, il perdersi in un angolo del cuore e dell’anima che si colora degli affetti più proibiti: una casa nascosta nel bosco, le labbra di un amante che forse non si potrà mai avere.

Il miracolo è la sorpresa dell’inaspettato, ci avverte la Ranno. E per un attimo, l’istante che racchiude il battito malizioso di ciglia della cugina Gioconda – ribelle consigliera – possiamo quasi sperare che qualcosa cambi, che il triste finale sia scongiurato. E lo crede anche Vincenzina quando proprio lei, fatta di niente, di fumo e di luce, d’inconsistenza trova il coraggio di ribellarsi. 
Ma possono le femmine bordare un uomo e dichiararsi? Dirgli: “Io non ti voglio perdere, non posso fare a meno di te”? Possono dimenticare l’educazione che ho ricevuto, i precetti di Santa Madre Chiesa, l’ubbidienza al padre e alla madre e abbandonarsi sfrontatamente ai pasticci del cuore?
Il sogno si fa soffio e poi carezza che lentamente stringe la pelle in nodi e catene che diventano ferro, che salvano dalla realtà per allontanarti da essa al punto da non riconoscerla più, da confondere i sensi fino a una zona d’ombra di mai più ritorno. Fino alla follia.
“Che l’amore questo è…una pazzia, un’ubriachezza, un camminare senza poggiare i piedi per terra.
Scorre accanto alle vicende della protagonista l’avventura americana del fratello, abbozzata in alcuni ricordi e nell’incontro con il suo più caro amico. Altre speranze, altri sogni spezzati in un miraggio di libertà e intraprendenza in quel Nuovo Mondo che sa essere a sua volta spietato e beffardo quanto i capricci del destino.

Chi ha amato La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini non potrà che leggere d’un fiato questo romanzo. La scrittura della Ranno è intensa e coinvolgente, imbevuta della musicalità dialettale di Vincenzina e Gioconda, dell’aspra parlata di don Licata – uomo che si è fatto da sé – tronfio d’arroganza e del suo sapersi superiore a qualsiasi legge. I piani si mescolano. Sogno e passato, la cruda realtà politica dell’epoca e l’incanto di una giovinezza che fra poco verrà spezzata. Vincenzina si perde nell’illusione, nel creare per sé un mondo fatto di nuvole, inconsistente come aria, ma che ha il potere di portarla via dalla casa in cui è rinchiusa, dalla gretta lussuria di un uomo che non amerà mai. Sono due universi paralleli: le carezze della mente, che crea immagini e scenari nei quali ritrovare se stessi; la realtà piccola e soffocante del paese, delle matrone che chiacchierano, degli uomini che invidiano, in gelosie e ricatti che ingabbiano le persone.

Quella di Vincenzina è una storia vera, in cui il dato storico e quello biografico si fanno cronaca, attraverso la sapiente e sensibile ricostruzione della scrittrice. È un ritrovarsi anche autobiografico, il ritorno a un mondo che forse non si è mai abbandonato. Un’indagine coraggiosa e importante nei fatti, quelli di una Melilli che si fa emblema di una condizione femminile e umana che travalica confini geografici ed epoche.

L’autrice

Tea Ranno è nata a Melilli, in Sicilia. Dal 1995 vive a Roma. Si occupa di diritto e letteratura. Ha pubblicato per e/o i romanzi Cenere (2006, finalista ai premi Calvino e Berto, vincitore al premio Chianti) e In una lingua che non si può dire (2007).

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