Recensione "La Stella nel Pugno" di Robert Sharenow

Creato il 02 marzo 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Francesca Rossi Una grande storia di umiliazione, riscatto e amore ambientata a Berlino negli anni Trenta
Cari lettori, oggi vi parlo di un romanzo che mi ha colpito profondamente, come mi accade poche volte, devo essere sincera. Non mi vergogno di dire (perché mai dovrei?) che la lettura di questa storia mi ha commosso fino alle lacrime, facendomi riflettere sul valore della pace e sull’inquietante follia umana che tutto travolge in un soffio. La Stella nel Pugno è uno stupendo romanzo di formazione, una dirompente lezione di vita sul razzismo, la violenza, la coscienza ed il coraggio
Titolo: La Stella nel Pugno Autore: Robert Sharenow Casa Editrice: Piemme Freeway Traduzione: Paolo Antonio Livorati Pagine: 398 pp. Prezzo: 16,50 Data di pubblicazione: 24 gennaio 2012 Trama: Karl Stern, quattordicenne di Berlino, non ha mai pensato a se stesso come a un ebreo. Ma ai nazisti non importa che non abbia mai messo piede in una sinagoga o la sua famiglia non sia praticante. Demoralizzato dalle continue aggressioni subite a causa di un’eredità che non riconosce come sua, il ragazzo cerca di dimostrare ai coetanei quanto vale. Inizia a frequentare una palestra dove nessuno sa chi è. Karl si rivela una vera promessa della boxe. E quando ha l’occasione di essere allenato da Max Schmeling, campione mondiale di boxe ed eroe nazionale della Germania nazista, pensa sia l’occasione giusta per il suo riscatto agli occhi dei suoi compagni ariani. Presto però la violenza del regime esplode e il ragazzo si troverà diviso tra il suo sogno di successo nella boxe e il dovere di proteggere la sua famiglia: non sa se il suo allenatore, che conosce il suo segreto, lo tradirà.
RECENSIONE

Berlino 1936. Quando salire sul ring significa lottare per la propria vita

Leggiamo romanzi e saggi sull’Olocausto, vediamo documentari in tv, magari andiamo a visitare ciò che rimane degli abominevoli campi di concentramento e di sterminio. Eppure, forse, non abbiamo che una vaga idea di quei giorni - relativamente - lontani in cui essere ebreo, o zingaro oppure omosessuale era un marchio infamante, un’onta da lavare via con la morte. Non a caso nei campi di concentramento esistevano i forni crematori: i nazisti, nella loro follia razziale, speravano di purificare se stessi, la Germania ed il mondo attraverso il fuoco e la cenere. Volevano cancellare una macchia che credevano di vedere sugli altri, sui “diversi”, ma che non era altro che il marcio dei loro cuori. La tendenza superomistica, la voglia di riscatto dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale, la fedeltà cieca ad un ideale di razza incontaminata e superiore li hanno fatti affondare in un abisso di odio ed intolleranza talmente profondo che ancora oggi molti di coloro che parteciparono a quello scempio, o hanno in famiglia qualche parente che lo ha fatto, non riescono a chiudere del tutto i conti con la loro coscienza. 
Prima della guerra, prima della scoperta dell’orrore dei campi di concentramento, c’è stata l’ascesa e la concretizzazione del nazismo. Una potenza che molti non sono stati in grado, o non hanno voluto, fermare in tempo. Alcuni hanno girato la faccia dall’altra parte, altri non hanno saputo come intervenire. È in questo tra il 1934 ed il 1938 - la fase “acuta” del nazionalsocialismo - che prende corpo e si sviluppa La Stella nel Pugno Karl Stern è un ragazzo ebreo che si considera, prima di tutto, un cittadino tedesco. La sua religione riguarda più l’origine della sua famiglia, del suo background culturale, che non un vero sentimento radicato nel cuore. Si potrebbe dire che nell’ebraismo di Karl e i suoi genitori scorre una vena di laicità che li porta a sentirsi, giustamente, persone tra tante. La morsa attorno agli ebrei, però, comincia a stringersi proprio in quegli anni e la famiglia Stern - prima benestante grazie al commercio dell’arte - si ritrova da un giorno all’altro umiliata, vilipesa, calpestata insieme alle altre migliaia di ebrei tedeschi. L’unica valvola di sfogo di Karl è la boxe. Questo sport lo forma come uomo, è il suo rito d’iniziazione alla vita, gli insegna che esiste l’onore, le regole, il coraggio e la codardia. Il ring è, insomma, una metafora della vita. Karl è aggredito verbalmente e fisicamente dal mondo circostante, che vede lui e quelli come lui, come una sorta di corpo estraneo da espellere. In un primo momento il ragazzo è disorientato da tutta questa violenza, poi - grazie alle lezioni del pugile amico di famiglia Max Schmeling - impara a difendersi e a contare su se stesso. Diventa un uomo, anzi un “vero uomo”, ma non perché i suoi muscoli crescono e lo rendono forte, non perché impara a ridare le botte che riceve; ma perché impara ad incassare i colpi, per quanto male facciano e a rialzarsi prima che sia tardi con coraggio e dignità. Combatte lealmente sul ring e fuori, non altrettanto i vigliacchi che lo circondano, capaci di picchiare e uccidere solo se sono in branco, mentre presi da soli valgono poco più di niente. Il pugile Max Schmeling è l’uomo che “inizia” Karl alla boxe e alla vita. Il suo comportamento - nel corso della storia - è ambiguo a tratti, però questa ambiguità è più che comprensibile, vista la mancanza di libertà che ha caratterizzato quel momento storico. Schmeling è l’eroe della patria che combatte contro avversari di razze meticce e deve dimostrare la superiorità ariana. Finché vince è osannato; quando perde il governo, nelle persone di Hitler e del ministro della propaganda Goebbels, lo abbandonano. In fondo anche Max è vittima di quel sistema malato, ma lui ha la “fortuna” di non essere ebreo, al contrario di Karl e dunque le sue umiliazioni sono, al confronto, molto più circoscritte. Le vigliaccate di cui Karl e la sua famiglia sono vittime raggiungono l’apice in due capitoli: Il campionato Juniores di Boxe del 1937 e Vetri rotti Nel primo Karl ha l’opportunità, dopo anni di allenamenti, di misurarsi in un vero campionato. La sua forza e la sua tecnica sono visibili a tutti, anche e soprattutto al suo avversario, uno dei suoi nemici e persecutori “storici”, che non può fare a meno di ammirare quell’abilità fuori dal comune. Ma un ebreo non può vincere, umiliando e sconfiggendo un vero ariano. E se l’avversario non può essere fermato lealmente, esistono sempre la codardia e la delazione. Un ebreo, in fondo, non può partecipare ad un torneo di pugilato. Se lo fa, deve essere punito. Questo capitolo è uno dei momenti più “alti” dell’inciviltà nazista e della capacità umana di commettere porcherie di portata stratosferica. Nell’altro capitolo, Vetri Rotti, si analizza la famosissima Notte dei Cristalli, avvenuta tra il 9 e il 10 novembre 1938. Fu una notte di violenze, di devastazione, di morte, di sangue e di puro vandalismo. Uno scempio ai danni degli ebrei di cui l’umanità non va certo fiera. Oltre al danno, poi, ci fu la beffa: gli ebrei, infatti, vennero accusati di aver fomentato la rivolta e i “sani istinti” di ribellione dei cittadini ariani e dunque di dover addirittura pagare i danni. Karl e la sua famiglia si ritrovano nel mezzo di quella notte assassina che segna per loro il momento della tragedia totale che può segnare l’inizio della fine o il principio di una lenta risalita. Entrambi i capitoli sono una sorta di “spartiacque” della storia, che cambiano e formano Karl e l’ uomo che sarà in futuro. Nel corso del romanzo il protagonista incontra tanti personaggi, tedeschi “puri” o “ebrei in incognito”, che lo aiutano e tentano di proteggerlo a modo loro. Una menzione speciale va al personaggio della “Contessa” di cui non voglio anticiparvi nulla per non rovinarvi la sorpresa, ma solo dire che si distingue per un coraggio e una dolcezza molto rari da trovare. Mai come in questo caso le apparenze ingannano e la diversità è davvero un arricchimento. Karl incontra anche l’amore: una bella ragazzina di nome Greta, ariana. Qualcuno dice che l’amore vince su tutto. Io posso dire, dopo questa lettura, che anche in ambito sentimentale il protagonista è stato leale e coerente fino in fondo, onorando ancora una volta la legge del pugilato secondo la quale non sono concessi colpi bassi. Questa onestà di fondo del giovane Stern è encomiabile: la vita gli ha riservato troppi colpi al di sotto della cintola, ma lui non li ha mai restituiti e ha combattuto secondo le regole. Quanti lo fanno o lo hanno fatto in passato? Ha visto il suo mondo crollare, ha assistito impotente allo strazio di una parte dell’umanità, ma non è stato abbrutito. Non gli hanno tolto l’anima e i sogni. 
Il romanzo è accompagnato da bellissimi disegni: il protagonista, infatti, oltre alla boxe ha la passione per i fumetti ed il disegno, che sono la sua seconda valvola di sfogo. Crea storie per la dolce sorellina Hildi, caratterialmente meno determinata (ma anche più giovane) di lui. La passione per i fumetti poggia le basi sull’attività su cui la famiglia di Karl vive: l’arte. L’autore ha saputo intrecciare molto bene il discorso sull’arte degenerata con la storia della famiglia Stern. È intenso il passaggio in cui il padre di Karl parla dei veri pittori demonizzati dal regime, come Picasso:

«Picasso ha la magia negli occhi. Vede il mondo in maniera diversissima da noi, ma riesce lo stesso a farci capire quello che vede. E’ cosi che fanno tutti i grandi artisti … Dentro c’è sensualità, bellezza … umorismo e mistero … Non mi stupisce che i selvaggi al governo abbiano bandito questo tipo d’arte. Troppe idee, troppa bellezza».

Il padre di Karl è uno dei personaggi più belli: un vero esempio di dignità e di coraggio per Karl, che impara a scoprirlo a poco a poco, sorprendendosi di non avere mai saputo guardare davvero negli occhi di suo padre, di conoscerlo al di là del ruolo genitoriale. Le figure di riferimento del protagonista sono proprio Max Schmeling e suo padre. E’ tra questi due grandi uomini che Karl dovrà trovare se stesso e la propria, unica personalità. La vicenda di Hildi e Karl prende il via da un episodio realmente accaduto: Max Schmeling salvò davvero due ragazzi ebrei durante la Notte dei Cristalli. Ma tutto il resto, ci dice l’autore, è fantasiaIl romanzo è ottimo e la documentazione storica molto approfondita. Lo stile, poi, è molto chiaro e diretto. Chi vi scrive è anche appassionata di boxe e ha apprezzato moltissimo il realismo dei combattimenti, la storia dei pugili ebrei e l’uso appropriato del linguaggio pugilistico. Sharenow ha scritto qualcosa di indimenticabile. Non dimenticheremo questo libro come non dobbiamo dimenticare gli orrori del nazismo.
Un estratto dal libro

La parola "combatti" mi ferì le orecchie tanto quanto la parola "ebreo". Prima di allora non avevo mai fatto abotte e avevo sempre evitato ogni conflitto per paura di farmi male.Rimasi a terra e zitto, nella speranza che avermi sputato in faccia, avermi tirato giù pantaloni e mutande eavermi visto pisciarmi addosso bastasse per soddisfare quei tre.– Tirati su e combatti da uomo – abbaiò Gertz.Mi rialzai a fatica e mi risistemai i pantaloni con tutta la dignità che riuscii a mettere insieme.– Sentite, non mi va di fare a botte... – balbettai.– Certo che no – ghignò Gertz. – Gli ebrei sono tutti dei vigliacchi

L'AUTORE: Robert Sharenow è uno scrittore e produttore televisivo. Il suo primo romanzo, My Mother the Cheerleader, ha ricevuto numerosi premi: ALA Best Book for Young Adults, School Library Journal Best Book of the Year e il New York Public Library Book for the Teen Age. Vive a New York con la moglie, due figlie e il loro cane Lucy.


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