Recensione "Le sorelle Brelan" di François Vallejo

Creato il 13 settembre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Simona Postiglione "Tre, erano tre e condividevano tre abitudini: intendersi con uno sguardo, tacere nello stesso istante e parlare tutte insieme. Divise, si sentivano perse, diventavano deboli. Se osavano prendere la parola, le sorelle Brelan lo facevano insieme. Senza più sentirsi, parlavano tre volte più forte, non avevano paura di nulla.” Cari lettori di Diario, dovrei presentare Le sorelle Brelan di François Vallejo, pubblicato da Del Vecchio Editore la scorsa primavera, ma (quasi non credo a quello che scrivo) faccio fatica a mettere insieme le parole giuste. Davanti agli occhi ho diverse immagini e sono preda di un’emozione intensa. Fin qui tutto bene direte, peccato che le immagini non riguardino le sorelle di questo romanzo, piuttosto due fratelli: nella fattispecie, il mio e la sottoscritta. Già perché io ho un fratello, e voi? Quanti hanno condiviso, più o meno amorevolmente, una parte della vita sotto lo stesso tetto? Quanti, invece, non si sono compresi e sostenuti? Quanti hanno coltivato legami speciali, insostituibili, con sorelle e fratelli, una volta separatisi? Infine, quanti si tollerano appena e hanno abolito o non vedono l’ora di farlo le fatidiche riunioni di famiglia (Pasqua, Natale, Capodanno e compleanni vari)? Ognuno avrà di certo la sua storia da raccontare, quella di François Vallejo ha risvegliato in me i teneri ricordi dell’infanzia, catapultandomi indietro nel tempo.  Detto ciò, è il caso di presentare Judith, Marthe e Sabine: buona lettura!
Titolo: Le sorelle Brelan   Autore: François Vallejo

Editore: Del Vecchio Editore Collana: Narrativa  Pagine: 272 pp. Prezzo: 14,50 Euro Genere: Narrativa straniera Tradotto da: Cristina Vezzaro Trama: Judith, Marthe e Sabine, le sorelle Brelan, sono inseparabili. Poco dopo la Seconda Guerra Mondiale,  ancora adolescenti, rimangono orfane in seguito alla morte accidentale del padre, e sembrano destinate a essere affidate agli zii. Ma le tre sorelle, stessi occhi grigi, stessa volontà di rimanere insieme, riescono a rimandare le date delle udienze fino al giorno della maggiore età di Marthe, alla quale le due sorelle minori sono affidate. La vita da sole è piena di avversità: le scarse finanze, gli amori sofferti e spesso fallimentari non riusciranno tuttavia a dividerle se non per periodi brevi e senza mai recidere davvero il profondo legame che le unisce. 
RECENSIONE
Tre, come una trinità, come un’unica entità. Stessa abitudine d’intendersi con uno sguardo, tacere nello stesso istante e parlare tutte insieme. Se divise  provano lo stesso senso di smarrimento e di debolezza. Per quanto sia rilevante, poiché fulcro della storia, questa relazione di dipendenza mi ha lasciato uno strano senso d’inquietudine. Quello che François Vallejo ci presenta è senz’altro un legame d’amore molto forte, ma di difficile comprensione, soprattutto di fronte all’indole beffarda di Judith la più piccola delle sorelle che la porta a prese di posizione estreme.  
Marthe, Sabine e Judith sono tre donne caratterialmente molto diverse ma mantengono intatto negli anni un legame che, alla fine, le riporterà a loro stesse; cresciute e cambiate, sempre come a un’unità, senza che nessuna di loro abbia saputo trovare al di fuori una realizzazione sentimentale stabile. I rapporti con gli uomini che ciascuna intesse nell’arco della vita  si rivelano complessi e, dal mio punto di vista, la figura del padre rappresenta un termine di paragone invalicabile che condiziona in parte la loro capacità di lasciarsi andare. L’amore e la stima per lui, dopo aver già perso la madre, le porta a concentrare la loro attenzione sull’unico obiettivo di restare insieme; nonostante le difficoltà pratiche, senza avere mezzi economici sufficienti. La morte improvvisa dell’unico punto di riferimento fa sì che si stringano ancora di più l’una all’altra, perché è inaccettabile anche il solo pensiero di essere separate e di perdersi. Con determinazione si oppongono alle autorità e umiliano in pubblico i parenti che avrebbero voluto prenderle in affidamento.

È Marthe che con la maggiore età assume la guida degli affari, sceglie consapevolmente di garantire le spese di una casa grande e decide cosa è bene per le sue sorelle, salvo rendersi conto subito dopo che la scelta potrebbe rivelarsi azzardata: non si diventa più responsabili il giorno del proprio compleanno, né si è in grado di far vivere una famiglia. Marthe ha paura e dubita delle sue capacità, ma l’incoraggiamento delle sorelle la sprona e scopre di avere risorse inaspettate.

Siamo sorelle, ha detto Judith. E non si può rinunciare ad essere sorelle.         
Tuttavia, scegliere consapevolmente non significa trovare la strada spianata davanti a sé e il peso delle responsabilità può soffocare lo spirito di un individuo, fino a farlo ammalare insieme al corpo. Marthe si augura di essere scaricata della sua responsabilità e trova nel ricovero in sanatorio per la tubercolosi che la colpisce una via di fuga, sfogando in un incontro di poche ore il senso di libertà che gli manca e dando sollievo alla solitudine che la opprime. La storia di Marthe è simile a quella di molti altri che sono cresciuti in fretta, dovendo assumersi responsabilità che non gli appartenevano; rinunciando a vivere pienamente i propri anni e i loro sogni.  
Sabine, dal canto suo raggiunta la maggiore età dopo Marthe subentra al posto della sorella nei lunghi mesi di degenza: sua è la responsabilità di sostenere le spese della casa e di badare alla sorella più piccola che persevera nel suo atteggiamento sopra le righe. Con grande determinazione, ma anche grazie all’intervento della nonna Madeline, ottiene il posto che era di Marthe nello studio di architettura di Monsieur Cicéro e diviene presto indispensabile. Il lavoro, il successo, il denaro e il riconoscimento sociale che ne viene, divengono la calamita che muove ogni sua scelta. Markus Schlegel, potente uomo d’affari tedesco, rappresenta il mezzo più veloce e sicuro per raggiungere il suo scopo e sceglie di dividere la sua vita con lui in una terra che non è la sua. Il loro legame passa attraverso la costruzione e la distruzione del muro di Berlino, nella seconda metà del Novecento, mentre l’Europa ricostruisce lentamente il suo futuro dopo la desolazione che la Seconda Guerra Mondiale ha lasciato. 
La storia di Sabine rispecchia quella di quanti hanno anteposto la gioia effimera che viene dal possedere ai sentimenti. Il prezzo da pagare può essere molto alto, soprattutto per chi non può contare sulla longevità di un legame di sorellanza che resiste, nonostante la lontananza e i silenzi.
Nostra sorella Sabine è per la competizione tra gli individui, vuole guadagnare molto denaro, dirigere impiegati sottomessi. Crede talmente nel capitalismo che ha sposato un ricco imprenditore tedesco. Curiosamente, assomiglia molto a Judith. Ed io assomiglio a molto a Sabine e a Judith. È per via dei nostri occhi grigi.
Già, perché le sorelle Brelan pur così legate e in qualche modo dipendenti dall’approvazione l’una dell’altra rappresentano i diversi volti di donna e le loro contraddizioni. 

Judith, per esempio? Che dire di lei? Sagace, idealista, caparbia fino allo sfinimento tanto da rifiutarsi di frequentare la scuola approfondisce le sue conoscenze da autodidatta, appoggia cause ideologiche controcorrente e si innamora di un criminale.
Si spingeva troppo in là, erano anni che la lasciavano spingersi troppo in là, l’età non cambiava niente, e la scusavano, la aiutavano, l’amavano. Per quale ricompensa? Mi perdonerai, mi aiuterai  e mi amerai per sempre, è questa la tua ricompensa. Avrebbe reso folli le sorelle, tutti coloro che avesse avvicinato, era quella la disgrazia.
Più che all’amore fraterno, questo passo mi ha fatto pensare al legame d’amore per eccellenza; quello che, salvo eccezioni del caso, è destinato a non esaurirsi mai, nemmeno di fronte alla disgrazia di essere di cattivo esempio dinanzi al mondo intero: l’amore di una madre per il figlio.
La storia di Judith è vicina a quella di molti altri che nascono con l’indole difficile di chi non si accontenta e non si sazia mai delle esperienze della vita, o che privati dell’affetto e del sostegno cui tutti avrebbero diritto, si disperano alla continua ricerca di un punto di riferimento che manca.

Lo stile di François Vallejo è certamente raffinato e poetico; l’ho trovato affascinante e ironico ma, mi duole dirlo, non ho amato particolarmente i dialoghi nascosti di cui si è servito per raccontare questa storia. Non che non ci siano ma sono riportati indirettamente e questa scelta appesantisce a tratti la lettura, privando parzialmente il lettore della sua capacità d’immedesimazione. 
L’AUTORE                 François Vallejo è nato a Le Mans nel 1960. Nel suo nome la fusione delle sue origini, francesi e spagnole. Da una ventina d’anni vive in Normandia, scrive e insegna letteratura. Ha pubblicato numerosi romanzi, tutti per Viviane Hamy, tradotti in diverse lingue europee e asiatiche. Ricordiamo Madame Angeloso, PREMIO FRANCE TÉLÉVISIONS per il miglior romanzo nel 2001, tradotto in Italia da Sellerio nel 2005 e Ouest, finalista al PREMIO GONCOURT e pubblicato in Italia da Sellerio con il titolo Il barone e il guardiacaccia.

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