Recensione: Le tre notti dell'abbondanza, di Paola Cereda

Creato il 06 settembre 2015 da Mik_94
Tutti hanno paura, Rocco.  Altrimenti non esisterebbe il coraggio.
Titolo: Le tre notti dell'abbondanza
Autrice: Paola Cereda
Editore: Piemme Numero di pagine: 307 Prezzo: € 17,50 Sinossi: Fosco è un paese arroccato su uno scoglio a picco sul mare. Per arrivare alla spiaggia, bisogna avventurarsi lungo una scala di legno e pietra che nessuno si è mai preso la briga di aggiustare. Perché il mare è maledetto e gli abitanti non lo possono avvicinare. La Calabria di Fosco è una terra aspra dove il tempo scorre lento, dove tutti corrispondono ai propri ruoli e ai propri cognomi e, fin dalla nascita, hanno il loro posto nel mondo. Le regole, dettate dalla malavita locale, sono legge per coloro che lì nascono. Per tutti, ma non per Irene. Irene ha quindici anni e un quaderno arancione sul quale disegna il quotidiano, così come se lo immagina. La notte, sui tetti di Fosco, si incontra con Rocco, il figlio di uno sparato, in uno spazio di complicità e tenerezza che permette di fantasticare un altro mondo possibile. Durante l’annuale pellegrinaggio alla Madonna delicata, Irene e Rocco ascoltano una conversazione tra masculi che cambia per sempre il corso delle loro vite. Le successive tre notti dell’abbondanza segnano un prima e un poi senza ritorno. E se è vero che le donne di Fosco nutrono il sistema e spingono i figli a vendicare, c’è chi prova a cambiare, nella convinzione che la vita si accetta ma non si subisce. Irene farà la sua scelta. La vita, per lei, è una pennellata di colore su un muro bianco.                                                    La recensione Se c'è una cosa bella quando si fa settembre e, alla prima pioggia, è già autunno, è l'arrivo in libreria dei romanzi più attesi. Le giornate si accorciano, in cielo ci sono nuvole in largo anticipo, il vento soffia via le foglie secche, ma dove le porta?, e aumenta la voglia di mettersi comodi con un buon libro sulle ginocchia. Nei post di anteprime, tra titoli importati dall'estero e autori stranieri, avevo inserito il nome di un'autrice italiana conosciuta l'anno scorso, di cui, tra la scoperta possedesse una penna personale e delicata e, nel privato, una simpatia innata, avevo consigliato ai più la sua fiaba sui generis di immacolate concezioni, piatti miracolosi, romantici domatori. Questo, nonostante Se chiedi al vento di restare, per mia stessa definizione, facesse parte dei pochi romanzi che non so e probabilmente mai saprò. Inquadrare, dico, ma quello è il bello. Sfuggivano le etichette, all'epoca, così come sfuggono adesso, davanti a racconti senza tempo che non sono quello che sembrano e, fino all'ultima pagina, ti lasciano nell'attesa che un'altra metamorfosi – la definitiva, chissà - te ne mostri un'altra faccia ancora. Dopo un'agrodolce parabola da decifrare, con scenari eterei e abbondante salsa Agata a parte, la brianzola Paola Cereda – perché di lei si parla – ti prende e ti porta a vivere Le tre notti dell'abbondanza, nel suo secondo romanzo targato Piemme e nella prima lettura che quando il postino ha suonato – con i pacchetti pesanti delle case editrici in mano e un definitivo addio alle sue ferie estive – ho deciso di intraprendere. C'era una volta un'isola che non c'è in cui si camminava tutti scalzi e le notizie del Continente tardavano ad arrivare. Adesso ci sono Fosco – paesello calabrese che fosco lo è di nome e di fatto – e un'Italia che con la punta del suo immenso stivale è ormai esperta nello sferrare calci alle speranze. Lì, nonostante l'oro incandescente del sole, si vive di tristissimi caffè neri e violenza barbara; lì, nonostane l'azzurro ovunque, è proibito inseguire le onde. Per arrivare sulla sabbia, una scala che non porta al mare. Il paese è stato tagliato via dalla spiaggia. Ancora una volta qualcosa che c'è ma non c'è, le mille contraddizioni degli uomini, la vita come in una bolla di sapone. Ma sono gli anni di piombo e di Madonna – quella Delicata e quella sfrontata di Like a Virgin - e il romanzo di Paola Cereda parlerà, alla fine, di amori universali e 'ndrangheta. Dove tutti hanno un ruolo stabilito e un cognome a definirne il rango, sono più i morti che i vivi – e non ci si domanda, a un funerale, com'è spirato il defunto, bensì chi l'ha ammazzato? - e le decisioni spettano a Totonnu, un signorotto locale che vorrebbe espandere i suoi traffici sporchi e fare un salto (nel vuoto) di qualità.  Protagonista è Irene, la nipote del boss, che condivide i primi turbamenti adolescenziali con le sorelle minori e – sul tetto della pizzeria di famiglia – confida tutto a Rocco e Lino. Il primo, orfano di un traditore e suo grande amore; il secondo, fragile figlio unico di Totonnu che – vergogna grande – gioca a indossare abiti femminili e si domanda dove possa portarlo, un giorno, la voglia di diventare una celebrità. All'inizio sembra muoversi, quasi, nei pressi di un romanzo di formazione di Ammaniti o Valentina D'Urbano – le gioie e i dolori dei ragazzi di periferia, gli amori impossibili destinati a non realizzarsi, la voglia di scappare lontanissimo – ma poi Le tre notti dell'abbondanza, che pure non so e probabilmente mai saprò, ma quello è il bello, si rivelerà ruotare attorno a un unico evento destinato a diluirsi nel tempo. Cosa è successo nei giorni successivi all'uccisione del maiale, pratica malauguratamente anticipata – nell'estate in cui tutto cambiò – dal capodanno alla bella stagione? La risoluzione del mistero del paese in cui il mondo ruota al contrario, in un romanzo che ha gli stessi colori del taccuino su cui Irene appunta fantasie e timori. Ma all'asilo, anni prima, tutti i pastelli rosa erano stati sequestati – come i fusi in La bella addormentata, giacché sin da bambino Angiolino mostrava interesse per quel che, stando al padre, era cosa di donna – e così lei disegna persone verdi e soli variopinti. Mondi arcobaleno in cui tutti sono protagonisti allo stesso modo – i migliori amici, i genitori malavitosi, le sorelle scostanti – e il male più profondo può portare al bene al bene più sincero. Qualcosa di simile fa Paola, dunque, con uno splendido uso del dialetto e toni vagamente favolistici, per una storia meno surreale, più terrena, ma non per questo sprovvista della sua tipica magia. Si passa dalla matita all'acquerello. Dai fogli di carta ai muri di cemento. 
Perché la fantasia deve liberarsi. Il colore trionfare. 
Una città vuota, teatro di una strage, può essere terreno fertile per un sogno? A parlare di anime nere perciò, la gentilezza di un animo candido. Il disegno di un sorriso rasserenato, finalmente, sull'ultima pagina di un quaderno arancione. Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: Sergio Endrigo – Canzone per te 

La festa appena cominciata è già finita. Il cielo non è più con noi. Il nostro amore era l'invidia di chi è solo.

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