Recensione: Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate
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Uscita nelle sale: 17 Dicembre 2014
Regia: Peter Jackson
Cast: Martin Freeman, Ian McKellen, Elijah Wood, Evangeline Lilly, Billy Connolly, Cate Blanchett, Hugo Weaving, Christopher Lee, Benedict Cumb
Produzione: Usa
Genere: Fantascienza, Avventura
Durata: 144 min.
Terzo e ultimo capitolo della trilogia tratta dall’omonimo romanzo di J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate inizia con un ritmo senza fronzoli e senza spiegazioni, dando per scontato che si conosca alla perfezione il film precedente, La Desolazione di Smaug. Bilbo Baggins e i nani di Thorin Scudodiquercia, partiti dalla Contea in compagnia dello stregone Gandalf il Grigio, sono giunti alla Montagna Solitaria, sorvegliata dal drago Smaug, per recuperare il tesoro dei nani che un tempo apparteneva al regno di Erebor.
Smaug, però, in seguito all’ingresso di Bilbo nella sua tana, si è risvegliato, e mentre il giovane hobbit ha rubato l’arkengemma, il drago ha scatenato la propria furia sul villaggio di Pontelagolungo. Grazie alla mira
Gandalf e Bilbo fungono da intermediari per evitare che si annichiliscano a vicenda, mentre Thorin, vittima della malattia del drago, è diventato avaro ed egoista e brama l’arkengemma più di ogni altra cosa. Supportato dall’Anello del Potere, che dona l’invisibilità, Bilbo riesce a fare da paciere tra il re degli Elfi e Thorin, che intanto è stato raggiunto da altri nani. Si prepara un’altra epica battaglia per la Terra di Mezzo. A vincere non sarà il più forte ma il più saggio.
La guerra era già stata al centro del secondo e del terzo film del Signore degli Anelli, Le due Torri e Il ritorno del Re, che però, essendo delle grandi novità, avevano avuto maggiore efficacia. Ne Lo Hobbit, fin dal primo film, si è avuta la sgradevole sensazione del già visto, di qualcosa che tendeva ad arrancare perché non c’erano idee abbastanza originali per ricavare tre film di oltre due ore l’uno da un romanzo di medie dimensioni.
D’altronde nemmeno Bilbo lo riconosce. Proprio Bilbo, rispetto a Frodo del Signore degli Anelli, è un personaggio meno combattuto e che ha una sola grande dote: la furbizia. Perché è con la furbizia che si salva dalla tana di Gollum ed è con la furbizia che sfugge alle grinfie del drago Smaug, ma è anche un personaggio che non raggiunge la stessa poderosa forza epica del suo predecessore, in realtà suo nipote.
Se la nuova trilogia di Star Wars, uscita a oltre un decennio di distanza dalla prima, poteva contare su una grafica computerizzata avanzata tale da far apparire troppo datati i primi tre film e dava, al contempo, qualche elemento di grande novità al soggetto, ne Lo Hobbit il materiale narrativo è troppo vasto e chi non ha letto i romanzi di Tolkien, già complessi di per sé, si troverà in notevole difficoltà per capire tutti gli elementi sottintesi. In questo caso sono trascorsi solo dieci anni dal Signore degli Anelli, e a parte l’uso del 3D di innovativo non c’è poi molto.
Voto:
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