Prima delle migliaia di recensioni in arretrato che spero di riuscire a buttar giù nei prossimi giorni prima di cancellare totalmente il ricordo dei libri, oggi vi parlo di un libro che ha scelto il Kobo per me. Avevo cliccato su un altro, ma evidentemente aveva deciso che era arrivato il momento questo e non è stata propriamente una buona idea, la sua.
di Lidia Di Simone
EDITORE: Mondadori
ANNO: 2015
PAGINE: 333
Amanda, detta Maddie, non ha ancora trent’anni e ha un corpo da atleta. Lo era davvero, fino a pochi anni fa, quando un SUV l’ha investita, una sera, mentre si allenava, mettendo fine alla sua carriera. Maddie era l’astro nascente delle Olimpiadi di Londra, dove secondo tutti i pronostici sarebbe arrivata sul podio più alto: purtroppo, invece di correre gli 800 come una gazzella, ha dovuto prendere in mano la sua vita e giocare una nuova mano con le carte che il destino le ha riservato. Si è laureata in architettura e adesso sta per iniziare una nuova carriera – anche se per ora solo come stagista – in un prestigioso studio londinese. Qui Maddie incontra due persone che cambieranno il suo destino: la cinese Eli Ching, che commissiona agli architetti inglesi un nuovo quartiere da costruire a Shanghai, e il superboss dello studio, archistar acclamata, scozzese burbero almeno quanto affascinante: il suo nome è Alistair Wolf, Mr Wolf… Maddie ancora non sa quante sorprese le riserva la sorte, quali emozioni possano palpitare dietro le pareti di cristallo dello studio Wolf, quanto il lavoro e i sentimenti somiglino alla corsa: devi allenarti, e crederci davvero, per arrivare alla meta. Dalla timidezza nascosta sotto i suoi jeans da brava ragazza a un tailleur di Gucci mozzafiato, dall’incredibile incontro al buio al 68° piano di un grattacielo in costruzione, alla Cina, Maddie entra in un turbine di emozioni difficili da controllare. Solo allontanarsi può chiarirle le idee. E sarà a Milano che Maddie approda, nella città dove fervono i lavori per l’imminente Expo 2015, alla ricerca delle proprie radici italiane e di un nuovo equilibrio. Ma con Mr Wolf è sempre come stare su una trave sospesa nel vuoto, e senza nemmeno il casco da cantiere… Le emozioni fortissime di un’attrazione pericolosa si uniscono alla fiaba di una ragazza coraggiosa, che non si arrende anche quando tutto sembra perduto.
· Recensione ·
Perdonami, Amanda, mi hai sconvolto la vita, non ero preparato a tutto ciò. Hai cambiato le carte in tavola, le hai tramutate in una partita vincente. E ora che ti ho confessato quanto sei importante per il mio lavoro forse ti ho messo in mano un’arma formidabile. Lo sai che puoi chiedermi quello che vuoi?
Mi sento in un certo qual senso ingannata da questa copertina e dal suo titolo. Credevo di trovarmi di fronte a un chick-lit ambientato in una Milano che cambia per far posto ai cantieri dell’Expo, eppure quel che ci si trova di fronte è un romance qualsiasi e dell’esposizione universale soltanto due accenni qua e là ma poca roba, che non giustifica in nessun modo il sottotitolo. Che fosse solo uno specchietto per le allodole allora mi pare l’unica spiegazione. Ma tralasciando questo, troviamo un romanzo che aveva delle buone potenzialità, certamente non innovative, ma che sfruttate a dovere avrebbero potuto dar vita a un romanzo migliore, dal mio punto di vista. La sensazione è invece che ci si perda in un bicchiere d’acqua, si scelga le soluzioni narrative più semplici e meno convincenti, finendo per rendere la storia un intercalare di fatti che ripetono lo stesso schema fino allo sfinimento e i personaggi mere macchiette che hanno poco o alcuno spessore. A cominciare da Amanda, neolaureata col passato da atleta mancata per via di un incidente che ha stroncato sul nascere la sua promettente ascesa sportiva e di colpo catapultata nel gotha dell’architettura, in uno degli studi più esclusivi non solo di Londra ma dell’intero pianeta, improvvisamente stagista dai compiti innumerevoli e fondamentali, forse anche fin troppo vista l’assenza di esperienza e il suo recente arrivo nell’ufficio. E oggetto delle subitanee attenzioni del capo – che ha un nome che è tutto un programma: Alistair Wolf -, dapprima così misterioso e schivo da risultare interessante per poi diventare addirittura noioso nel momento in cui ripete senza sosta lo stesso ritornello del “sono io, non sei tu” o del “vorrei ma non posso, è per il tuo bene”, non appena si ritrovano sempre più assieme e attratti l’uno dall’altra.
Non so come dire, ma poco rimane addosso dei sentimenti che i protagonisti provano. Mi aspetto coinvolgimento dalle vicende narrative ma qui l’empatia non scatta quasi mai. Amanda è una donna di cui capire le motivazioni e il modo di pensare è davvero difficile, perché spesso risulta scontata nelle reazioni, addirittura sciocca talvolta nel non comprendere come e perché stiano succedendo determinate cose, sempre l’ultima a coglierle. Si riscatta momentaneamente sul finale, dimostrando una forza d’animo notevole che fino ad allora non si era palesata ed è probabilmente quella la parte migliore dell’intero romanzo. Lo stesso si può dire di Alistair, incomprensibile per buona parte – seppur si intuisca quasi subito che nasconda qualcosa – e dagli sbalzi d’umore che lo fanno passare da amorevole a burbero, soltanto nel finale riesce a esser compreso appieno e mostrarsi come un personaggio più approfondito. Ormai è un po’ tardi, ma devo dire che il suo cambiamento è apprezzabile e aiuta a rileggere in modo differente i numerosi comportamenti inspiegabili precedenti.
A far da contorno tanti personaggi secondari, forse troppi, che vengono sfruttati solamente in momenti chiave per poi sparire nel baratro e riemergere al bisogno, una Londra diversa da quella turistica e certamente molto più interessante visto quanto poco si conosca solitamente e una Milano che, invece, rimane solamente una città qualsiasi, anziché il centro della ricerca delle radici di un passato come preannuncia la trama. Ma soprattutto la passione per l’architettura, che è sicuramente la cosa che più ho apprezzato, dalla progettazione alla realizzazione, dimostrata dai dialoghi più belli e profondi tra Amanda e Wolf e dalle lunghe descrizioni di cantieri dismessi o in attività. Affascinante, davvero, e ben chiara fin dalle prime righe. Così come di non poco conto ci sono di certo il linguaggio e lo stile dell’autrice, che, seppur ripeta troppo spesso le stesse parole e avrebbe avuto bisogno di una nuova dose di sinonimi, risulta aver speso una discreta attenzione ricercato per non renderlo mai banale.
Guardo affascinata le strade della City, un cantiere a cielo aperto dove stanno sorgendo nuovi grattacieli. Contro il buio della sera fanno bella mostra alcune gemme dell’architettura contemporanea. Superiamo il Gherkin di Norman Foster: sembra una stilografica di vetro e acciaio, da anni svetta in tutte le cartoline che immortalano lo skyline di Londra. Poco oltre intravedo le luci del palazzo dei Lloyd’s firmato da Richard Rogers. Oltrepassiamo la borsa e giriamo attorno al capolavoro di Wren, la cattedrale di St Paul, un miracolo di progettazione, un pezzo della città moderna risolta dalle ceneri dopo il grande incendio del 1666. A pochi metri c’è il Millennium Bridge, davanti a noi vecchi edifici di Fleet Street, che per più di un secolo hanno ospitato i quotidiani inglese. Precediamo lungo lo Strand e pieghiamo a sinistra, attraversando il Tamigi. Le luci della Londra notturna sono belle da mozzare il fiato. La doppia corsia dell’Hungerford Bridge, il profilo familiare del London Eye, la ruota panoramica, la gente a passeggio per Southbank, i colori del lunapark, il cemento del Queen Elizabeth Hall, il grattacielo di ITV, la Oxo Tower, tutto attorno a noi è vita, movimento, frenesia. E architettura. Bella, brutta, discutibile o apprezzabile, ma pur sempre prodotto dell’intelletto umano, di genialità, di talenti visionari come l’uomo al quale mi sto stringendo.
2/5
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