Recensione: "Luton"

Creato il 04 aprile 2015 da Giuseppe Armellini
Questo film fa parte de La Promessa 3/15
spoiler dopo la linea divisoria
Non c'è niente di più chiaramente percepibile di una buona regia, di una personalità dietro la macchina da presa.
Prendi le prime 3 sequenze di Luton.
Una donna corre in un tapis roulant, nient'altro. Dietro c'è qualcosa di sfuocato, a metà tra un riflesso e una presenza indefinibile.
Dei ragazzi escono da scuola, nient'altro. Ma essendo appena la seconda scena non sappiamo su chi porre l'attenzione. Solo quando piano piano tutti se ne andranno sarà rivelato chi sia il nostro protagonista.
Un grasso e abbastanza viscido tabaccaio dà il resto di un pacchetto di sigarette ad una ragazza, nient'altro. L'inquadratura è ferma, come quasi sempre sarà durante il resto del film.
Tre scene banalissime raccontate in modo non banale.
E in 10 minuti scarsi ho riconosciuto subito il mio adorato cinema greco.
In realtà Luton è un pò diverso da Dogtooth, Alpis ed Attenberg, da quei film cioè dove l'effetto straniante e quasi surreale era così potente e marcato, quasi saramaghiano, (soprattutto nei due Lanthimos) da rendere la realtà che vedevamo, se possibile, ancora più disturbante (attenzione, molto volte il disturbante deriva dal non riconoscimento di situazioni, codici e comportamenti che noi riteniamo "normali").
Siamo più dalle parti di Miss Violence, ossia di quei film fortemente ancorati alla realtà, anche se il terribile (in senso contenutistico, non qualitativo) film di Avranas era senz'altro più minaccioso, potente e devastante rispetto a questo.
Insomma, è evidente che ci troviamo nella stessa corrente cinematografica (fatta di silenzi, inquadrature ferme, senso di minaccia, essenzialità, rapporto perverso con il sesso, cartolina di una società -e con lei la famiglia-completamente disgregata e tanto altro ancora) ma, se vogliamo, con un film dai contenuti più classici.
Non lo è però la narrazione, forse vero punto di forza del film, per cui soltanto dopo più di mezz'ora riusciamo a capire chi siano realmente i nostri protagonisti anche se, non non riusciamo a percepire assolutamente che legame, se c'è, ci sia tra uno e l'altro.
Makis, un grasso tabaccaio dalla vita completamente spenta. Il brutto negozio, quasi spoglio, un matrimonio senza più scintille (magnifica la scena di sesso frugale in cucina come regalo di compleanno), la banalità della vita (il lavoro, la famiglia, la scappatella al mare con creme solari e pesche da mangiare).
Mary, una bellissima donna probabilmente ninfomane o comunque ossessionata dal sesso. In ogni scena dove compare la componente sessuale (o sensuale) è fortissima. Del resto la sen(s)sualità è tema, in filigrana o no, predominante in tutta la nuova ondata greca, se ne era già parlato.
E poi Jimmy (recupero il suo nome dal cast, ma non mi pare di averlo mai sentito esser chiamato così nel film), un bellissimo ragazzo (identico a Pattinson) di buona e ricchissima famiglia, ma assolutamente privo di personalità e abituato ad incassare in silenzio qualsiasi cosa. E non solo fatti evidenti (come i compagni di scuola che lo scherniscono) ma anche vicende molto più piccole come ad esempio, è una mia lettura, il fastidiosissimo risucchio della minestra che fa la nonna al pranzo. Quella scena è formidabile (c'è anche la madre) perchè testimonia la rabbia repressa che il ragazzo in silenzio sta accumulando (lo percepisci che quel risucchio lo disturba a bestia).
E la sequenza del corso di tennis è emblematica in questo, la metafora di tutto, lui fermo e inerme con quelle palle che gli vanno addosso.
La prima mezz'ora, con questo montaggio alternato e queste scene completamente slegate una all'altra, mi era piaciuta moltissimo ma poi Luton sembrava non decollare mai e, sinceramente, stava quasi a venirmi a noia, un esercizio di stile sulla banalità del vivere, sulla "repressione", su tre esistenze di uomini che in realtà, di nascosto, sono diversi da quello che appaiono (non è un caso che questo sia un film pieno di luoghi chiusi, bagni, camerini, stanze).
Poi i 3 montaggi cominciano ad incrociarsi (la prima volta, credo, con quell'sms mandato a scuola) per arrivare al finale che fa tornare (o diventare) questo un grandissimo film, ancora una volta.
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E Luton mostra così quello che era.
Riguardo gli altri film ho sempre sentito qua e là che in qualche modo potevano essere letti come metafora della situazione politico-economica-sociale della Grecia attuale. Certamente, ma forse alcune volte forzando un pò.
Credo invece che Luton sia davvero il film manifesto in questo senso.
Una società morta, spenta, disgregata, dove le persone stanno accumulando sempre più tensione e rabbia, dove non sembra esserci un filo si speranza o una possibilità di salvezza, dove, a quel punto, la violenza rischia di essere l'unico sfogo possibile.
E' forse anche questo il senso della locandina, con quell'uovo pieno, denso,che poi inizia inevitabilmente a rompersi, aprirsi.
E così in quel montaggio alternato notturno, montaggio alternato che non è simultaneo no, ma prende tante e tante notti, capiamo quale sia il legame tra quei 3 personaggi.
E l'effetto, sia visivo che narrativo, è fortissimo.
Quello che fa ancora più impressione non è tanto la gratuità del tutto, ma vedere come indiscriminatamente tutti possano essere delle vittime. Anzi, vedendo i barboni, la vecchietta e il trans, sembra quasi che le vittime si trovino più negli ultimi, nei diseredati, che magari in quella società ricca che il popolino vorrebbe combattere. Ma del resto di quella società fa parte lo stesso Jimmy. Non c'è identità quindi, non c'è nè negli assalitori nè nelle vittime qualcosa di definito, non c'è lotta sociale, non ci sono messaggi. C'è soltanto una rabbia da sfogare, quella di un popolo ormai privo di vita o di motivi per viverla. Come il tapis roulant iniziale, per quanto puoi correre tornerai sempre indietro.
E il titolo, Luton (curioso che con Attenberg - Attenbrough - ci siano già due titoli di film greci che rimandano all'Inghilterra) diventa allora quel luogo lontano dove, forse, salvare la propria vita, diventa il simbolo di qualcosa di lontanissimo sia spazialmente che sostanzialmente da quella realtà (un ricco college privato).
C'è un aeroporto finale.
E Jimmy che come ultima immagine e suono della Grecia che sta lasciando ha quella di un neonato in lacrime.
Come poteva essere diversamente.

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