Magazine Cultura

Recensione: “Magisterium. L’anno di ferro”, di Cassandra Clare e Holly Black

Creato il 16 gennaio 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Questa recensione probabilmente farà storcere il naso agli amanti di Harry Potter che hanno rintracciato una sua brutta scopiazzatura nelle pagine della Black e della Clare, ma, l’ho già detto, il non aver letto quella saga è una mia mancanza ma forse anche qualcosa che mi ha aiutato a leggere Magisterium senza termini di paragone e ha fatto sì che mi piacesse. E pure tanto. Abbiate pietà, vogliate bene lo stesso, amici!
Buona giornata!

downloadTitolo: Magisterium. L’anno di ferro
Titolo originale: The iron trial
Serie: Magisterium #1
Autrice: Holly Black e Cassandra Clare
Traduttrice: Beatrice Masini
Editore: Mondadori
Anno: 2014
Pagine: 319

Quando raggiunge la grotta in cima al ghiacciaio, Alastair capisce subito che il Nemico l’ha preceduto. Sua moglie Sarah è stata uccisa, come gli altri maghi lì rifugiati. Solo il debole vagito di un neonato lo rincuora: suo figlio Callum, seminascosto accanto al cadavere della madre, è ancora vivo. Ma quando Alastair lo prende fra le braccia, le terribili parole incise nel ghiaccio da Sarah prima di morire lo fanno inorridire… Dodici anni dopo, quando Call viene ammesso al Magisterium, la prestigiosa accademia riservata ai ragazzi dotati di talento magico, suo padre è contrario: sin dalla più tenera età ha insegnato al figlio a diffidare della magia. E ora Rufus, il magister più anziano della scuola, lo ha ammesso all’Anno di Ferro, il primo del Magisterium. Call non può sottrarsi al suo destino. La magia scorre, in certe famiglie. Ma sul destino di Call incombe fin dalla nascita l’artiglio del Nemico.

Ho sempre il terrore, quando si tratta di leggere libri a quattro mani, che la cosa pesi sullo stile del testo, facendolo sembrare scritto a occhi chiusi e col cervello spento ma L’anno di ferro ha battuto ogni mio terrore ed è diventato, fin dal suo incipit, il secondo libro letto più bello – perché il primo è senza dubbio L’ordine della croce della De Winter – di questo inizio dell’anno un po’ meh che ancora non mi aveva impressionata granché. Ma, complici due delle mie amate fagioline del club del libro, mi sono buttata a capofitto su questo libro e staccarsene è stata durissima, specialmente quando l’azione si faceva più avvincente e la voglia di scoprire chi è Call, insieme a lui, aumentava.
Primo libro di una saga composta da cinque volumi (uno per ogni anno di accademia), il romanzo ha per protagonista Call, un dodicenne che si appresta a sostenere la prova di ammissione al Magisterium, la scuola di magia per eccellenza dalla quale suo padre l’ha da sempre messo in guardia e nella quale, superata la provo nell’unico modo che non ci si aspetta e che ha segnato immediatamente un punto a favore dell’accoppiata Black-Clare, dovrà trascorrere i futuri cinque anni, imparando a controllare i suoi potere e gli elementi. Scuola di magia che, lasciatemelo dire, è così ben descritta da lasciare incantati per così tante cose che non credo di riuscire a elencarle, a partire dalla maestosità delle sue gallerie – all’apparenza tutte identiche – tappezzate di stalattiti e stalagmiti che giocano costantemente con la luce e le ombre, e dalla presenza di un fiume sotterraneo capace di condurre ovunque a patto di saper comandare l’acqua, fino ad arrivare alla grandiosità della sua biblioteca che sto bramando da quando Call ci è finito per puro caso cercando di tornare in camera. E scuola, ad ogni modo, nella quale Call si ritrova suo malgrado, circondato da altri ragazzini e a stretto contatto con quei Magistri che suo padre ritiene dei dittatori dai quali girare al largo: rimasto solo, il suo scopo è essere espulso e quel che emerge, dai suoi costanti tentativi di infastidire, è il suo lato più ironico, talvolta sarcastico, quel suo essere la vocetta annoiata e irritante che sottolinea l’ovvio e deride ciò che per tutti i suoi compagni è motivo di orgoglio e vanto. Finché non scopre che in accademia potrà imparare a volare, riuscendo quindi a liberarsi del tormento di non poter praticare alcuno sport, essere deriso dagli altri e semplicemente fare quel che più vuole che una gamba debole e malata gli aveva regalato. Ed è lì che l’incanto vero e proprio comincia.

Callum Hunt era una leggenda nella sua cittadina del North Carolina, ma non in senso buono. Celebre per la sua abilità nello smontare i supplenti con battute sarcastiche, era specializzato nell’irritare i direttori, i bidelli e gli inservienti della mensa. Gli psicologi scolastici, che partivano sempre animati dal desiderio di aiutarlo (la madre del povero ragazzo era morta, dopotutto), finivano per sperare che non si presentasse più davanti a loro. Era piuttosto imbarazzante non riuscire ad avere la risposta pronta per mettere al suo posto un dodicenne arrabbiato.
Il perenne cipiglio di Call, la chioma nera arruffata e i sospettosi occhi grigi erano ben noti ai suoi vicini. Amava andare sullo skateboard, anche se gli ci era voluto un po’ per impadronirsi della tecnica; diverse auto recavano ancora i segni dei suoi primi tentativi. Spesso lo si vedeva appostato fuori dalle vetrine del negozio di fumetti, della sala giochi e del negozio di videogame. Perfino il sindaco lo conosceva. Difficile dimenticarsi di lui, dopo che il giorno della Parata del Primo Maggio aveva eluso la sorveglianza del commesso del locale negozio di animali e rapito una talpa senza pelo destinata a finire nella pancia di un boa constrictor. Aveva provato pena per quella creatura cieca e rugosa dall’aria indifesa, e per amor di giustizia aveva liberato anche tutti i topi bianchi destinati a seguirla nel menu serale del serpente.
Non si era aspettato che i topi si precipitassero sotto i piedi della gente che sfilava, ma i topi non sono molto svegli. Non si era aspettato nemmeno che gli spettatori si dessero alla fuga davanti ai topi, ma nemmeno la gente è troppo sveglia, come aveva commentato più tardi il padre di Call. Non era colpa di Call se la parata era stata un disastro, ma tutti – sindaco in testa – si comportavano come se. In più, suo padre l’aveva costretto a restituire la talpa senza pelo. Il padre di Call non approvava il furto.
A suo parere era una cosa spiacevole quasi quanto la magia.

Generalmente, i primi volumi servono a introdurre la vicenda, a presentarla spianando la strada per i romanzi successivi e aiutando chi legge a non perdersi e fissare nella mente dei tasselli fondamentali; e in un certo senso, questo fa L’anno di ferro mettendo le basi per una serie che si annuncia al cardiopalma dalle mille sconvolgenti scoperte e presentandoci un mondo dal quale è impossibile non sentirsi rapiti e affascinati e dei personaggi che hanno già una loro marcata personalità. Ma non solo. Perché, a partire dalla metà esatta, tutto prende una piega inaspettata e l’azione diventa subito più avvincente, a tal punto che diventa impossibile mettere giù il Kobo nonostante siano le due di notte e il giorno successivo il treno delle sei e mezzo ti aspetti. A tal punto che Callum, Tamara e Aaron – insieme a Jasper, Celia, Drew, il Magister Rufus, il lupetto Subbuglio – acquistano più spessore di quello del quale erano dotati e diventano talmente reali da appassionare alle loro vicende. In primis Call, l’anti-eroe che non ti aspetti, dalla battuta sempre pronta e l’orgoglio di ferro, ispira subito simpatia e voglia di scoprire cosa l’essere entrato nel Magisterium significherà per lui, quando lentamente tutti i tasselli sul suo passato cominceranno a tornare al loro posto e lo metteranno di fronte a una scelta dalla quale non potrà tornare indietro. Il trio che forma, inoltre, con Tamara e Aaron è un microcosmo perfetto di aiuto reciproco e sostegno, che non sfiora nella forzatura, in cui ognuno ricopre un ruolo fondamentale e insostituibile: Tamara, col suo provenire da una famiglia di maghi, porta quella conoscenza che agli due manca; Aaron, serioso e incredulo verso le sue potenzialità, è sempre pronto a mettersi in gioco per aiutare gli altri; e l’irriverente Callum ha un’innata predisposizione a cacciarsi nei guai ma è sempre pronto a spronare gli altri e ha quel coraggio che a volta manca agli altri nell’affrontare un mondo che nessuno dei tre fondamentalmente riesce a spiegarsi del tutto. Specialmente con l’ipotesi di dover combattere un’ennesima battaglia contro il Nemico, un mago che ha lasciato che un elemento prendesse il sopravvento sul suo potere e lo dominasse e che, solo dodici anni prima, ha mietuto innumerevoli vittime, tra cui la madre di Call. Nemico per il quale è necessario trovare un equivalente, quel Makar che sa dominare il caos e che dovrà scontrarsi contro il nemico in uno scontro da cui uscirà solamente un vincitore e che deve liberare la Terra dalla sua minaccia costante; ma non lasciatevi andare a pensieri facilmente intuibili, perché quel che è certo è che niente è come sembra in questa storia e il suo bello sta tutto lì.

Il fuoco vuole ardere, ripeté Call tra sé e sé. L’acqua vuole scorrere. L’aria vuol levarsi. La terra vuole avvincere. Il caos vuol divorare. Call vuole vivere.

Scritto da quattro mani che sanno fondersi assieme e dar l’impressione di esser guidate egregiamente da un solo cervello anziché due, L’anno di ferro conferma tutte le aspettative che delle grandi autrici – una più famosa da noi dell’altra – portano con sé e molto di più, riuscendo a essere un’ottima lettura non solo per il pubblico cui si indirizza ma capace di soddisfare anche chi non ha proprio più l’età dei ragazzi protagonisti. Complice uno stile semplice ma che non per questo si accontenta di essere banale, non avrei potuto chiedere di meglio e per questo ve lo consiglio. Dodici anni oppure di più.

Voto: ❤❤❤❤

[Adesso perdonatemi, ma vado a giocare sul sito dedicato al libro nella speranza che mi ammettano al Magisterium e possa allevarmi una creaturina come Subbuglio o Groviglio]


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :