Quella che segue è, purtroppo, una recensione che ancora a una volta riconferma la mia idea sulle autopubblicazioni. Resto della mia opinione: meglio tenere per tutta la vita un capolavoro nel cassetto che ostinarsi a tutti i costi a pubblicare qualcosa, a prescindere dalla qualità dello scritto.
TITOLO: MareneveAUTORE: Gianluca Ranieri BandiniCASA EDITRICE: SelfpublishingANNO DI PUBBLICAZIONE: 2013 TRAMA"Mareneve è una giovane tessitrice destinata improvvisamente a divenire principessa, ma anche molto di più. È una ragazza che, dopo aver trovato il principe azzurro, scopre come le favole possano divenire una prigione dorata.
Attori principali della sua vita saranno Ethan, l’incantevole principe che dietro il suo fascino rivelerà un carattere ben più complesso e oscuro, e Dean, giovane fabbro che potrebbe rammaricarsi per tutta la vita di non averle confessato il proprio amore.
Nella storia s’incontreranno la follia dell’ego, lo squallore della viltà e l’illusione dei sogni, ma anche le risposte e le occasioni per sapersi liberare dalla propria oppressione. Tuttavia, nella vita, servono le giuste dosi di coraggio e fortuna.
Chi fra loro riuscirà a compiere le scelte giuste?
Perché se è meraviglioso credere nei sogni, lo è altrettanto sapersi liberare dai propri incubi"
L'inizio mi aveva fatto ben sperare: uno stile quasi poetico, che introduceva con poche e abili parole il contesto nel quale si sarebbe svolta la vicenda, usando immagini che mi hanno sinceramente colpita.Peccato però che questa impressione sia svanita già dalle seconde righe del primo capitolo: ho capito di trovarmi di fronte un romanzo molto vicino ad una fiaba per bambini, con uno stile fin troppo semplice e incolore, personaggi scontati e piatti, una vicenda che per la sua ingenuità dava davvero l'impressione che l'intera storia fosse stata pensata e scritta per un pubblico di bambini.Manca una solida trama, mancano le descrizioni sia dei personaggi che degli ambienti: tutto viene tratteggiato in appena poche parole, peraltro assai banali, e tutto quello che succede nella prima metà del libro scorre liscio come l'olio, anche se è tutto incentrato sull'amore (?) di un principe per la bella Mareneve, una semplice popolana. Insomma, anche il tema centrale è piuttosto trito e ritrito. Come si può facilmente immaginare, il principe azzurro si rivela, completamente di punto in bianco, più un principe nero, irascibile e suscettibile, ma ancora incredibilmente privo di spessore, proprio come se fosse uscito da una fiaba classica.In generale i personaggi non mi hanno lasciata soddisfatta: per esempio la madre di Mareneve prima è tutta gongolante che il principe si sia preso una cotta per la sua primogenita e difende Mareneve dalle accuse del padre, poi, ancora una voltsa di punto in bianco, non vuole più rivolgere la parola alla figlia quando questa annuncia il suo matrimonio. Un comportamente decisamente un po' strano.E anche Dean, altro giovane personaggio che ha una cotta per Mareneve: non è affatto l'eroe che salva la regina, è un ragazzo gracile - ma che nonostante è un bravissimo fabbro, come se lavorare in una fucina non richiedesse muscoli da palestra -timido e impacciato, che ha il solo merito di venirsi a trovare nel posto giusto al momento giusto.
Tutto lo svolgimento della vicenda, peraltro assai breve e lineare, dà l'idea di un qualcosa di davvero troppo semplicistico, e la fine non fa eccezione. Tutti condannati a morte, tutti che si salvano per qualche evento fortunato. Per esempio, facendo un piccolo spoiler...
....Dean alla fine viene condannato a morte dal principe per aver aiutato Mareneve a fuggire. In punto d'esecuzione, un bel terremoto dà uno scossone a tutto, e lui riesce a scappare senza che nessuno tenti di fermarlo, o dia segno di essersi accorto della sua fuga. Per i miei gusti, dà troppo l'idea di qualcosa che non sta in piedi.Se mi dicessero che è effettivamente un racconto per bambini, giustifichere lo stile e la semplicità/ingenuità, ma come spiegare le scene intime ( velate sicuramente, ma che comunque danno un'idea abbastanza precisa di quello che succede?).Infine, lo stile: semplice anche questo, ma con l'intromissione di qualche vocabolo caduto ormai in disuso come "codesto" e altri, che appaiono del tutto fuori luogo visto il livello generale del lessico delle frasi.Insomma, non riesco a togliermi dalla testa l'idea che, tranne rare eccezioni, dal selfpublishing non possano uscire capolvori. Credete quello che volete, ma io personalmente ritengo che dopo aver finito quelli che ho già comprato, e a meno che gli autori non mi chiedano esplicitamente una recensione, o trovo un'autopubblicazione che davvero mi ispiri, oppure credo che accantonerò definitivamente questa branca dell'editoria.