RECENSIONEQuesto libro è un diesel. Mi spiego meglio: è la sua originalità a partire a rilento. A differenza dei polizieschi classici, non c’è bisogno di arrivare alla fine per sapere chi è (uno) degli assassini, o chi sia lo psicopatico di turno. Potrei dire che formula sia, in parte, quella dell’indimenticata serie Colombo, dove prima vediamo commettere un omicidio e da pubblico già sappiamo chi è stato senza aspettare la fine, in barba ai soliti guastafeste che ce la rivelano prima, come scrivo di consueto relativamente ai gialli. Così ho reso omaggio anche al mio idolo Peter Falk. Ed in barba anche agli altri recensori, senz’altro più bravi di me, non ho la benché minima intenzione di rivelarvi alcun indizio del perché un romanzo poliziesco tra tanti altri diventi un ottimo ed originale romanzo: mi è infatti capitato di leggere altre recensioni di Momento Zero e immodestamente, non le avrei gestite così, rivelando i nomi di personaggi famosi che l’autore ha citato nella vicenda, ad esempio.
La bellezza e la peculiarità di questo libro non deriva dalla presenza di delitti, poliziotti più o meno sani di mente e criminalità organizzata. Questi sono gli elementi con i quali inizia, ma non saranno certo questi a tenervi incollati alle pagine, ansiosi di sapere come prosegue la storia.L’inizio ve lo dico: un tipo “disturbato” (senza aggiungere altro) uccide tre figli di papà, tre fighetti; molto provocatoriamente parlando, visti gli stereotipi che rappresentano, dalla macchina al vestire e allo “sballo”, e da come si esprimono, non ci si meraviglia che gli capiti una cosa del genere. Poi ci sono le indagini, il commissariato Tuscolano, il sospetto di regolamento di conti, le “famiglie” mafiose, la morte di un uomo testimone del processo (già lo avete letto nella trama).
Quello che nella trama nel ribattino della copertina non c’è (meno male, sennò si renderebbe un pessimo servizio all’autore ed all’editoria in genere), sono le origini dell’organizzazione segreta (anche questo è nella trama). Non si evince dalla trama l’abile gioco dell’autore nel trasformare vicende di criminalità purtroppo all’ordine del giorno, in un thriller direi “esoterico”: storia di una sorta di setta (e spero che l’allitterazione aumenti la suspance), storia di colpi di scena dove i forti diventano deboli – più di quanto succeda abitualmente nei gialli e nei polizieschi – storia di gerarchie familiari e di identità rinnovate.
Dallo squallore di particolari truculenti (dita mozzate, sangue, droga, violenza) Di Persio prende il via per creare un racconto degno di una spy story di alta qualità. Anche il registro si adegua perfettamente ad ogni personaggio: i fighetti strafatti, prima di essere assassinati parlano da spacconi, Alex è un criminale, ma anche una sorta di parvenu: si circonda di oggetti costosi e veste abiti firmati perché ha origini terra-terra. Non è abbastanza furbo e farà una brutta fine, schiavo dei suoi istinti rimasti terra-terra, appunto. Il linguaggio del “Gran Maestro” per così dire, dell’organizzazione è ancora diverso per tono e registro. Non ci si aspetta che da una pagina di cronaca e da un commissariato di periferia lo scenario si trasformi in uno internazionale, e i delitti ed i criminali - non sembri cinico - passano in secondo piano: storia di potere settario, di iniziazioni e, vedrete, anche di alchimia….
Per citare un elemento che troverete nel romanzo, il romanzo stesso è una mise en abîme di un poliziesco… Leggendolo scoprirete a quali delle parole della frase in francese mi riferisco, e perché: vi consiglio di farlo.
L'AUTORELuca Di Persio vive a Roma, dove è nato nel 1975. Questo è il suo primo romanzo.