Recensione: Nell'angolo più buio, di Elizabeth Haynes
Creato il 23 settembre 2013 da Mik_94
Buon
pomeriggio, amici! Nonostante sia reduce da una lettura terrificante,
ma a dir poco ottima, e nonostante abbia iniziato un libro originale e
tanto tanto dolce per riprendermi da questo thriller coi
fiocchi, oggi è una giornata no. Power Point si è volatilizzato dal
mio computer, Facebook non collabora da un giorno intero e, cosa
peggiore, sono venuto a sapere che i corsi per l'università
inzieranno prima del previsto. Panico totale. I calendari delle
lezioni sono incomprensibili, gli orari si accavallano tra loro
continuamente e ho seriamente bisogno di un tutor o di uno psicologo,
a seconda dei punti di vista.
Ma basta parlare. Piuttosto, vi lascio
con la recensione di questo romanzo, crudele, bello e immensamente
attuale. A presto, da un confuso e affranto Mik che vi abbraccia a distanza.
Vorrei
potermi scrollare di dosso questa sensazione. Non si tratta del
timore che un giorno possa venire a cercarmi. Più che altro, è una
certezza. Non mi chiedo se scoprirà dove vivo, ma quando.
Titolo:
Nell'angolo più buio
Autrice:
Elizabeth Haynes
Editore:
Giano
Numero
di pagine: 445
Prezzo:
€ 12,90
Sinossi:
È un venerdì sera del 2003, a Lancaster. È Halloween e i bar in
città sono pieni come calderoni straripanti. Vestita da sposa di
Satana, con scarpe di seta color ciliegia e un abito di satin rosso
aderente con cui ha già rimediato più di un palpeggiamento nei bar
dove si è rifornita di sidro e vodka, Catherine Bailey entra al
River, l'ennesimo club della serata. Per stare dietro a Kelly, una
tizia incontrata al bancone di un bar eccentricamente vestita come
una strega senza scopa, punta verso il prive. Bloccata da un muro in
abito color carbone, solleva lo sguardo e incrocia due incredibili
occhi azzurri sormontati da capelli corti e biondi. È il colpo di
fulmine per Cathy, l'incontro che pone fine alla sua spensierata
esistenza di ventiquattrenne single attratta dai tipi di una notte
soltanto, di cui non ricordare nulla, nemmeno un dettaglio, perse,
come si è, nei fumi dell'alcol... È un giorno del 2008, a Londra,
quando Catherine Bailey si accinge a uscire da casa. Tira le tende
del salotto e della sala da pranzo lasciando la solita apertura,
passa e ripassa la mano sul telaio delle finestre per verificarne la
chiusura, controlla che la maniglia della porta sia girata sei o,
meglio, dodici volte. Deve essere precisa, perché se trascura una
sola piccola cosa, se sbaglia di un solo centimetro nel sistemare,
per esempio, le tende, occorre ricominciare daccapo.
La recensione
“Voglio
non essere più vittima, di me stessa, o di chiunque altro. Ho
bisogno di diventare più forte, per affrontare le cose brutte che ci
riserva la vita. Ho bisogno di riprendere il controllo.” Storie
di ordinaria violenza domestica riempiono le colonnine grigie dei
quotidiani, i salotti fasulli dei talk show, la cronaca nera, gli
ospedali. Le donne che, in lacrime, parlano delle loro storie da
incubo sembrano apparentemente tutte simili, figlie dello stesso
dolore e madri degli stessi lividi violacei. Gemelle nella morte.
Sono piccole, spaventate, indifese, schive, con le ossa fragili di un
uccellino implume che, troppe volte, è stato sbalzato fuori dal nido
da una forza superiore. La forza degli uomini. Chi assiste alla loro
sofferenza dall'esterno vede tutto in bianco e nero, con i paraocchi
che il suo comodo divano gli garantisce ogni benedetta volta. Gli
spettatori o i lettori si ripetono che non tutti gli uomini sono
potenziali carnefici e che non tutte le donne sono potenziali
vittime, che c'è sempre una scelta. Le spettatrici o le lettrici,
invece, assistono alle confessioni mormorate da quei resti
sanguinanti di donne e, con la loro bella laurea appesa al muro, con
i loro capelli freschi di parrucchiere e con una città civilizzata
ed evoluta che romba fuori dalle finestre, sono sicure che a loro
quello non succederà mai: perché hanno cultura, non vivono nella
desolazione della provincia, hanno rispetto per loro stesse. Farsi
picchiare non è da loro. Si commuovono per quelle donne ferite nel
corpo e nell'anima, firmano petizioni per combattere le scariche di
calci e pugni che hanno ricevuto spaventosamente a lungo tra la
camera da letto e la cucina, ma, come rivela una giornalista inglese
che prima di me ha recensito il grandioso esordio di Elizabeth
Haynes, sono fermamente convinte che quella drammatica sorte non
toccherà anche a loro. Nei panni delle vittime, loro che hanno
studiato e conoscono le leggi a menadito, denuncerebbero
immediatamente le violenze del loro compagno. Non si farebbero
schiacciare. Come sempre accade, più di conferenze e servizi alla
TV, basta un buon romanzo per mettersi dall'altra parte: nei panni di
chi non ha potuto scegliere di essere libero. Di chi non aveva
pianificato che il suo matrimonio sarebbe sfociato nel rosso del
sangue caldo e non delle rose appena colte. Di chi, come la donna in
ombra sulla copertina, con le ginocchia strette e le mani tremanti,
si è reso conto troppo tardi del mostro in incognito che dormiva
dall'altro lato del letto. Nell'angolo più buio racconta la
storia di due donne che, in realtà, sono la stessa persona. O,
almeno, così era un tempo.
Cathy Bailey, la protagonista assoluta
del romanzo, è morta e rinata nell'arco di un paio d'anni soltanto.
Tra la vecchia e la nuova lei, un abisso buio che ha gli occhi di
ghiaccio di Lee Brightman. Vedendola adesso, la noteresti a stento
per strada: capelli cortissimi, vestiti monocromatici, occhi bassi,
fianchi spigolosi. Ha paura dei rumori improvvisi, degli estranei,
degli uomini. I colleghi parlottano tra loro; fanno commenti sessisti
e sospettano che, androgina com'è, sia segretamente lesbica: ecco
spiegato il perché rifiuti ogni avance e qualsiasi invito a cena.
Tre anni prima era un'altra donna. Bella e seducente, sicura di sé e
sfrontata, amava i colori accesi e il sesso occasionale, fare le ore
piccole e andare in giro per night con le sue amiche. Era un sensuale
e fiero animale notturno; poi un amore sbagliato l'ha messa in
gabbia, riducendo le sue ali di seta scarlatta a brandelli. Il suo
personale cacciatore aveva le spalle larghe e i capelli biondi, i
denti perfetti e la pelle olivastra anche nel bel mezzo
dell'inclemente inverno londinese: era un agente di polizia. Cathy ha
dovuto sopportare una serie infinita di torture fisiche e
psicologiche prima di vederlo dietro le sbarre, ma la Giustizia ha
parlato in fretta e ha detto che tre anni di carcere, per Lee,
bastano e avanzano. Presto sarà un uomo libero. E Cathy sa che
tornerà per lei, seguendo la scia della sua paura che cresce.
Elizabeth Haynes firma un'autentica storia del terrore. Un thriller a
tinte fosche che ti inchioda alla sedia, ti rende cieco per la
rabbia, ti fa orrore. Puzza forte di violenza e urina calda - perché
nessun detersivo può combattere certe macchie e nessuna medicina può
cancellare certi traumi – ma non è totalmente senza speranza.
Sprizza forza e voglia di vivere da tagli ancora non rimarginati e, a
piccoli passi, prende le distanze dall'angolo più buio del titolo.
La protagonista si è ammalata della terribile malattia dei ricordi e
guarire in un solo giorno non è possibile, se non si vive in un film
horror con un consolatorio lieto fine. Il film di Cathy non ha ancora
avuto fine del tutto: il portone spalancato, un'ombra in un vicolo,
un vecchio bottone ritrovato nelle tasche dei jeans o i cassetti
della cucina messi a soqquadro potrebbero farla piombare, da un
momento all'altro, nel temuto sequel che, al solo pensiero, la fa tremare
come una foglia. Nella seconda parte del film che non vorrebbe
vedere. Tenere le cose sotto controllo l'aiuta, anche se ai suoi
traumi si è aggiunto un maniacale disturbo ossessivo-compulsivo che
l'ha resa schiava ancora: non di un uomo, questa volta, ma di sé
stessa. Controllare per sei volte che le porte e le finestre siano
perfettamente chiuse è bene. Prendere il tè alla stessa ora e non
uscire di casa nei giorni dispari è tranquillizzante. Evitare gli
spazi chiusi, la folla e gli abiti rossi è necessario per respirare.
Ancora più disturbante che leggere degli stupri a cui venne
sottoposta, dei tagli che le furono inflitti, della sua prigionia forzata
presso il suo stesso appartamento, più inquietante ancora, è vedere
il modo in cui un solo essere umano può ridurne un altro, diventando
il suo Dio e rendendolo vittima delle sue stesse fobie. La
descrizione minusiosa e reiterata delle ossessioni delle protagonista
è da infarto ed è molto complicato stare al passo con i suoi
pensieri.
Non è una narratrice affidabile e, come nei migliori noir,
fino alla fine, si ha un dubbio strisciante, ma del tutto umano. Si
ci chiede a che punto si ci possa fidare di una ragazza tanto
disturbata nel profondo. I cuori spesso vacillano, vedendola
camminare tra le strade di un'Inghilterra piovosa e indifferente, in
cui tutti i volti maschili – per un attimo – sono quello di Lee. In un mare di facce tutte uguali, in una stanza degli specchi in cui
il nostro nemico ci fissa da ogni lato lasciato al buio, come sapere
dove finisce l'incubo e inizia la verità? Come sapere se lui è lì
insieme a noi, o si tratta soltanto di un flashback particolarmente
vivido e violento? Di chi fidarsi? Elizabeth Haynes scrive il diario
di una persona spogliata della sua dignità di donna, della sua
vitalità di essere umano. Lo fa splendidamente, in una maniera
lucida e secca che non lascia mai fuori il sentimento. Uno spiraglio
piccino è lasciato per l'amicizia, per il lavoro ed i colleghi, per
la scoperta di un nuovo amore che abita giusto al piano di sopra. Un
amore giusto, sano; un amore vero, incarnato nella persona del
gentilissimo Stuart - uno dei personaggi più affettuosi e
disponibili di cui io abbia memoria, nella mia carriera di lettore, e di persona. Profondamente affascinate e malato è il personaggio di
Lee, figura che, a prima vista, farebbe innamorare qualsiasi donna. Quasi l'Ufficiale Gentiluomo di
Richard Gere, ma con la doppia e insospettabile vita del Christian
Bale di American Psyco
Un uomo crudele e sadico senza un perché, come ce ne sono tantissimi
anche tra noi, che ricorda in maniera impressionante, nelle fattezze
e negli atteggiamente, il noto Christian Grey e il prototipo di uomo
ideale che tanti insulsi romanzi stanno spacciando, in maniera
errata, per verità. L'autrice, con voce forte e chiara, urla a tutte
le donne che no, quello non è amore: anche se dopo il primo pugno
sferrato si chiede umilmente scusa. A differenziare questo romanzo
dai vari Via dall'incubo e
Attrazione Fatale c'è il fatto
che il nero dell'inchiostro si mescoli in maniera omogenea e naturale
con il nero della cronaca odierna. Non è un thriller fine a sé
stesso, con colpi di scena annunciati e immagini da film
hollywoodiano. E' ripetitivo, lento, faticoso, estenuante,
spaventoso. Un romanzo scritto sul filo del rasoio, con un esemplare
struttura ad anello e i nervi ben saldi di un'autrice dal sangue
freddo. Paradossalmente, bello e orribile. Uno di quelli che apri con
i brividi e chiudi con i brividi; però acuiti, raddoppiati... triplicati.
Il
mio voto: ★★★★
½
Il
mio consiglio musicale: Skin – Tear Down These Houses
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