Recensione. NOI 4, ritratto (riuscito a metà) di una famiglia italiana

Creato il 20 marzo 2014 da Luigilocatelli

Noi 4, un film di Francesco Bruni. Con Fabrizio Gifuni, Ksenia Rappoport, Lucrezia Guidone, Francesco Bracci Testasecca, Milena Vukotic, Raffaella Lebbroni, Gianluca Gobbi, Li Zhu Ye.
A Roma, 24 ore di una famiglia, o ex famiglia, medioborghese. Padre e madre separati, figlia ventenne e figlio tredicenne. Nel giorno dell’esame di terza medio del piccolo i quattro si ritrovano, si rilasciano, si fan del male e si fan del bene. Francesco Bruni (Scialla!) orchestra bene le mosse dei suoi personaggi e nella prima parte sembra di vedere il Boyhood di Linklater in versione italica. Poi tutto si spampana, l’antipatia di certi personaggi prevale, e il finale è il solito all’italiana. Voto 6+.
24 ore nella vita di quattro persone, che son poi una famiglia, padre, madre, figlia, figlio. Nomi: Ettore, Lara, Emma, Giacomo. Francesco Bruni, sceneggiatore di molti Virzì (compreso l’ultimo Il materiale umano), messosi in proprio come regista con Scialla! che fu un buon successo un due anni e mezzo fa, anche stavolta si mantiene nell’ambito della commedia, ma accentua i mezzi toni, le malinconie e i crepuscolarismi, il cronachismo familiare e il realismo quotidiano, e abbassa le paraculaggini e le strizzate d’occhio da film vernacolare, in un tentativo non del tutto riuscito ma interessante parecchio di consegnarci un ritratto in interni e esterni di una medioborghesia non così visitata e raccontata dal nostro cinema a vocazione plebeo-popolar-populista. Una giornata a Roma poco particolare e assai normale e media in cui i quattro si incontrano, si allontanano, si incrociano, si respingono, si ritrovano, si fan del bene e si fan del male in un insieme narrativo abilmente orchestrato. Dialoghi che – rarità in un film italiano – non fanno accapponare la pelle per quanto son falsi e goffi, e suonano finalmente credibili in bocca a chi li pronuncia, e scusate se è poco. Il mestiere di Bruni non lo si discute, confrontare prego con altre produzioni oggi in circolo (dico Allacciate le cinture) e notare le differenze. I passaggi rapidi e sicuri dal micro al macro, dai singoli personaggi e dalle loro inter-relazioni al contesto, alla cornice ambientale, sono di uno che sa scrivere e sa dirigere e tenere in pugno i fili della trama, altroché.
Tornano certe tracce di Scialla!, quella del confronto aspro tra le generazioni, tra i figli e chi li ha messi al mondo. Quella dei padri pasticcioni, confusi, codardi, inadeguati. Ettore e Lara si sono amati e si son separati dopo aver messo al mondo i loro due figli, Emma, oggi 23 anni, Giacomo, 13. Ettore è un artista ovviamente inconcludente, fancazzista e indolente che si è sempre fatto mantenere (e ancora adesso, da separato) dalla moglie Lara, russa, ingegnere, volitiva, determinata, responsabile dei cantieri della nuova metropolitana di Roma. Emma, la figlia, però lo adora quel genitore vanesio e bamboccione, Emma che vuol far l’attrice ed è coinvolta nell’occupazione di un teatro che se non è il Valle molto gli somiglia, e innamorata di un regista francese che ha l’età di papà, anni 46. Tanto per tirare in ballo Edipo, anzi Elettra. Giacomo, il piccolino, è il più assennato, maturo e riflessivo del gruppo. Pudicamente, adolescenzialmente innamorato di una compagna di scuola di famiglia cinese (con ristorante in Piazza Vittorio, dove se no?). Il giorno raccontato è quello dell’esame di terza media di Giacomo, con mamma impegnata sui cantieri ma costantemente e ansiosamente attaccata al telefono col pargolo, il padre che dovrebbe esserci ma pasticcione com’è è sempre in ritardo e con la testa da un’altra parte, la sorella in crisi per via del francese che se n’è tornato a Parigi mollandola lì. Nei momenti migliori par di vedere una versione italiana e romana del Boyhood di Richard Linklater vincitore di un Orso d’argento il mese scorso alla Berlinale (senza naturalmente la genialata di Linklater di seguire i suoi attori protagonisti per la bellezza di dieci anni mostrandocene il mutare fisico man mano che la narrazione avanza). Lo sguardo lanciato sul micro-mondo di una famiglia, il seguire le sue molecole ora associate ora dissociate tra loro, è assai somigliante, le figure dei due padri sono affini (entrambi piacioni e inconcludenti). Peccato che poi Noi 4 si spampani, perda compattezza e brillantezza. Incominciano a disturbare i caratteri così estremi, parodistici, caricaturali. La madre è troppo ansiosa e isterica, il padre troppo iresponsabile e autoriferito, cominciamo a non sopportarli più, e il film lo stesso. Il bozzettismo, malattia congenita di tanto cinema italiano, il ridurre la complessità dei tipi umani al cliché, alla lunga pesa e impiomba un film che pure era partito benissimo. I guai stan soprattutto nella parte finale, dove puntualmente, come nove film italiani su dieci, tutto si aggiusta, si cheta, si accomoda, si arrangia, dove i conflitti scompaiono e sbuca un’armonia finta e improbabile, in una coazione all’happy ending cui molti dei nostri autori non riescono a sottrarsi. Vero che in un’era di narcisismo di massa come questa, e di rimozione non dico del sacrificio e del dolore, ma di ogni minima delusione, al pubblico devi dare la solita nuovola rosa in cui stordirsi, ma più fermezza, più coraggio non gusterebbero. Bravi tutti, con una menzione per il ragazzino Francesco Bracci Testasecca, una rivelazione. In una cameo (è l’operaio dei cantieri in fila alla mensa) compare anche Filippo Scicchitano, il protagonista di Scialla!, l’attore-talismano di Francesco Bruni.


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