Recensione: Noi i ragazzi dello Zoo di Berlino di Christiane F.

Creato il 10 luglio 2014 da Coilibriinparadiso @daliciampa

Ho finito di leggere questo libro proprio ieri sera e ho già deciso che, come potete vedere nel menù di fianco, comincerò subito a leggere il seguito “La mia seconda vita”, scritto e pubblicato a distanza di molti anni. Sono sicura che tutti lo conoscano almeno di nome, quindi ho deciso di leggerlo e di recensirlo.

  • Titolo: Noi i ragazzi dello zoo di Berlino (Wir Kindern vom Bahnhof Zoo)

  • Autore: Christiane F., Kai Hermann e Horst Rieck

  • Casa Editrice: Rizzoli
  • Data pubblicazione: 1978
  • Prima edizione italiana: 1981
  • Pagine: 346
  • Genere: Biografia, Cronaca
  • Trama: Christiane F. racconta con il linguaggio crudo e diretto delle interviste registrate al magnetofono la sua storia e quella dei suoi coetanei, sullo sfondo di una Berlino dove i quartieri-dormitorio e le discoteche sono simili a quelli di ogni grande città europea. E’ la storia di una precoce discesa nel mondo della droga e della faticosa risalita, documentata come un servizio giornalistico, sofferta come un diario personale, da cui nasce convinzione che la soluzione del problema della droga è lontana ma possibile.

Opinione personale:

Il libro è nato da un’intervista fatta a Christiane F., adolescente berlinese, da parte dei giornalisti Hermann e Rieck. Più che un’intervista, come questi ultimi hanno affermato, è stato un ascoltarla per due anni, come forse nessuno aveva fatto fino a quel momento. Il racconto si apre con l’infanzia di Christiane, molto disordinata e confusa, con un padre instabile e violento, e una madre troppo insicura. Pagina dopo pagina le vicende forniscono una base, una sorta di motivazione per tutto ciò che accadrà in seguito. Christiane entra nel mondo della droga a soli 12 anni e poco dopo anche in quello dell’eroina. La generazione di cui fa parte sembra senza sogni, senza aspirazioni. Il ritratto dell’epoca, dei suoi “amici”, del “giro” è agghiacciante fin dall’inizio, ma ci sono stati davvero nei momenti nel corso della storia in cui ho dovuto smettere di leggere. Ho avvertito quasi un senso di nausea per l’orrore di una routine meccanica, raccontata come se si trattasse di “Mi alzo, faccio colazione, mi lavo i denti.”, quando invece era “Mi drogo, mi disintossico, vado a battere alla stazione, mi drogo di nuovo”. E lei aveva solo 14 anni… voglio dire, meno di me!
Leggendo si sente sempre di più lo sconforto di trovarsi in una situazione simile, si perde la speranza riga dopo riga, riuscendo anche a prevedere cosa succederà nella pagina successiva e come le cose peggioreranno sicuramente. La mente di Christiane è una mente instabile, che sogna e poi distrugge da sola i suoi sogni rendendosi conto della loro assurdità; che si auto convince di stare bene, che prova una disintossicazione dopo l’altra, fallendo ogni volta in un modo diverso; che resta più turbata di tutti per le morti delle persone del giro, ma che comunque continua a bucarsi anche pensando di essere diversa. Il suo approccio a tutta la vicenda è molto strano, forse troppo diretto e penso che sia perché il libro è stato pubblicato pochissimo tempo dopo gli avvenimenti narrati. Anche per questo motivo voglio leggere “La mia seconda vita”: credo di voler sapere cosa ne pensa lei oggi di tutto ciò che è successo, e della ragazza che è stata (anche se solo dalla sua pagina su Wikipedia si riceve già un’impressione abbastanza demoralizzante). In alcuni punti del racconto tenta un’auto analisi, anche molto profonda, ma il tono è quasi rassegnato come a dire “Tanto prima o poi ci ricadrò”. I rapporti con le persone intorno a lei sono principalmente relazioni tra eroinomani (per esempio con le sue amiche Stella e Babsi); anche in fondo quella con Detlef, il suo ragazzo,che in un altro ambiente sarebbe stata probabilmente un amore sincero, per come si prospettava all’inizio, quando l’eroina non era ancora la parte più importante delle loro vite. La relazione con la madre precipita una ricaduta dopo l’altra. Ci sono spezzoni in cui è lei stessa a raccontare (in altri casi la parola è lasciata ad autorità o persone esperte dell’ambente berlinese) la sua disperazione e il suo incolparsi iniziale, mentre alla fine comincia a capire che forse non c’è più niente da fare. Il finale lascia uno spiraglio di speranza, che comunque nasconde una rassegnazione da brividi. Sono sinceramente contenta di aver letto questo libro, penso che sia uno di quelli che possono aprirti un po’ gli occhi sul mondo, soprattutto oggi che il problema della droga è così diffuso. Leggendo si riesce a vedere le cose da un’altra prospettiva, che poi è anche una delle cose più belle della lettura in generale. Ma non è uno di quei libri che lascia la voglia di rileggerli, almeno non tanto presto
Vorrei fare anche un riferimento al film, che è molto famoso, forse anche più del libro: penso che il regista abbia cercato di focalizzare l’attenzione più sull’ambiente della stazione, e quindi del giro e degli eroinomani lasciando invece poco spazio al mondo interiore di Christiane che è invece la parte più importante del libro, nonché la più complessa.

“Ci versai sopra troppo aceto. Adesso mi dovevo cacciare nella vena questa soluzione acetosa perché altrimenti avrei dovuto buttar via anche l’ero.
Neanche mi sparai dentro la roba che partii. Mi risvegliai solo dopo un’ora buona. La siringa era ancora infilata nel braccio. Avevo dolori alla testa bestiali. Sulle prime non riuscivo ad alzarmi. Pensavo che ero arrivata, che sarei morta. Giacevo sul pavimento e piangevo. Avevo paura. Non volevo morire così sola. Strisciando letteralmente carponi andai al telefono. Ci misi certamente dieci minuti prima di farcela a fare il numero dell’ufficio di mia madre. Ripetei soltanto un paio di volte: “Ti prego, Ti prego mamma, vieni, muoio”.
Quando mia madre arrivò potevo stare in piedi. Feci uno sforzo anche se mi sembrava ancora che la testa mi scoppiasse. Dissi: “Si è trattato di nuovo di un dannato attacco circolatorio”
Mia madre capì benissimo che avevo bucato. Aveva una faccia molto disperata. Mi guardava soltanto con occhi tristi, disperati. Non potevo sopportare questo sguardo. Mi penetrava nella testa che pareva mi scoppiasse.”

Il mio voto:


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