[Recensione] Non dobbiamo perderci d’animo di Massimo Cortese

Creato il 04 ottobre 2011 da Queenseptienna @queenseptienna

Proseguendo l’avventura letteraria iniziata con “Candidato al consiglio d’istituto”, in questa raccolta l’autore si racconta: ne esce fuori un’opera che passa in rassegna l’Italia di ieri e quella di oggi. Il motivo conduttore è la speranza, che non deve mai mancare, neppure nei momenti più difficili.

La riscoperta di un paese che sentiamo ormai lontano anni luce, l’amor dipatria e i tempi dimenticati della miseria nera si intrecciano con autobiografia e fantasia in una raccolta di racconti che fa riflettere e tornare al passato. Specchio non solo dell’Italia dalle fotografie in bianco e nero ma anche delle sfaccettature più eterogenee dell’essere umano, Non perdiamoci d’animo, secondo volume della Triogia della Speranza scritta da Massimo Cortese, è un’antologia di racconti pescati dalla memoria dell’autore e da quella della propria madre, figura ancestrale, popolare, severa ma compassionevole. Ci sono anche, però, brevi momenti in cui l’autore scrive, anzi immagina, vite, episodi, dialoghi. Il primo e l’ultimo sono, in particolare, i racconti più lunghi e quelli che forse sono mirati a colpire maggiormente il lettore. Con un occhio al passato nel primo, ed uno al presente nell’ultimo, Cortese palesa la condizione dell’Italia, paese dove i maggiorenti spadroneggiano alle spalle di invisibili minorenti (tanto invisibili da non avere nemmeno una parola per essere definiti, e così se la inventa l’autore), dove un terremoto cancella una tradizione decennale come il Carnevale dei Ragazzi e dove la burocrazia impedisce il coronamento di anni di studio e sacrificio.

Cortese non dimentica i riferimenti alle proprie esperienze personali, anche quelle apparentemente più insignificanti (per esempio il decimo racconto, Dal barbiere, che sa ancora di richiamo al passato) e si muove all’interno del libro, tra un racconto e l’altro, in modo quanto meno originale.

I dubbi che mi hanno portato ad assegnare tre stelle riguardano principalmente la forma con cui Cortese scrive i racconti: non manca certo l’ironia, ma alcuni (Cimabue e Giotto è uno di questi) appaiono così eccessivamente ingenui da suscitarmi dapprima un sorriso, e poi da farmi riflettere sulle intenzioni nascoste dell’autore –ho persino supposto un intento parodistico-. I racconti più riusciti sono infatti quelli che l’autore sente perché vissuti sulla propria pelle, piuttosto che quelli di fantasia, talvolta buonisti (La figliolanza), talvolta anche simpatici (Letture proibite) ma che non rendono allo stesso modo di, per esempio, Prima del debutto.

Lo stile non è per niente pretenzioso, anzi, estremamente semplice e colloquiale, e qui sta la mancanza o forse la forza (?) del volume, che risulta perciò scorrevole anche grazie al numero esiguo di pagine (solo 71). L’impegno letterario si riduce quindi, se non ad una ricercatezza dello stile, ad una fotografia realistica e cruda, un po’ come quella che compare in copertina. Ma ancora una volta l’impegno letterario di Cortese non è altrettanto forte quanto quello sociale, e quanto il messaggio che l’autore vuole trasmettere. A differenza di Candidato a consiglio d’Istituto, però, questa è una raccolta di racconti e non adotta (almeno, non ufficialmente) lo stile diaristico, di conseguenza deve essere valutato come un’opera letteraria. Per questo motivo, non riuscendo il libro ad equiparare valore artistico ed intento sociale, mi vedo costretta ad assegnare tre stelle.


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