Trama: "Sono convocata. Giovedì alle dieci in punto." Una giovane donna senza nome, in una città rumena, un appuntamento obbligato e temuto con i servizi segreti del regime di Nicolae Ceausescu. Durante il tragitto in tram per presentarsi all'interrogatorio, immagini e figure della vita attraversano la mente della protagonista: l'infanzia in una cittadina di provincia e il desiderio semierotico da lei provato per il padre, il primo matrimonio con un uomo che "non era capace di picchiarmi e perciò si disprezzava", i racconti strazianti del nonno sulla deportazione. E poi la giovane amica Lilli, uccisa da una sentinella alla frontiera con l'Ungheria mentre tentava di fuggire dal paese; e Paul, le sue giornate e le sue notti trascorse fin troppo spesso nell'alcol, ma anche i momenti di felicità vissuti insieme a lui, come bagliori fuggevolmente accesi. Tutto si affaccia alla memoria e si intreccia al presente, agli interrogatori e alle vessazioni, all'angoscia quotidiana e agli stratagemmi con cui il pensiero cerca tenacemente di non soccombere. Con questo importante romanzo Herta Müller ci offre un'esplorazione toccante e magistrale su come la dittatura arrivi a impadronirsi di ogni fibra dell'umano.
RECENSIONE La protagonista sa di essere convocata. Non sa perché. E' una delle numerose convocazioni in un squallido, grigio ufficio della burocrazia oppressiva del regime di Ceaucescu per sottostare a un ennesimo interrogatorio da parte di Albu, un funzionario di mezza età, grigio e anonimo come la stanza che occupa. Ma il viaggio di questa donna senza nome, dall'età - si intuisce - tra trenta e i quaranta, disoccupata e svuotata da una vita arida, si trasforma in un percorso anarchico tra sogni, riflessioni e ricordi, alla ricerca di una via di fuga perfetta da una realtà opprimente.
Il percorso sul tram si frantuma così in mille rivoli di pensiero che si intersecano con un presente difficile da decifrare, su cui grava l'ombra opprimente della dittatura. C'è il sospetto dipinto sui volti dei passeggeri, la stanchezza e il timore: visi che parlano din vite vissute al margine, in silenzio, a testa bassa. Ma dentro la protagonista, il passato risuona. Parla di sorrisi di un'amica, Lilli, uccisa perché tentava di fuggire dalla Romania con il suo amante, un ufficiale dell'esercito. Pensa ai riti che compie per esorcizzare la paura, come quello della noce, alla camicia che indossa (la camicia che cresce, la chiama lei. Forse perché, si intuisce, è la protagonista che si consuma e deperisce), il bottone che tortura tra le dita durante gli interrogatori fatti di silenzi peanti e sguardi immobili. Il viaggio sul tram è costituito da fughe in avanti, immagini, riordi, supposizioni, riflessioni... tentativi disperati di aggrapparsi con tenacia alla propria identità, alla vita che non può essere controlloata dal regime. Di questa donna sappiamo che ha avuto un marito che la picchiava, con cui ha avuto una relazione complicata, giocata su sensi di colpa e sul bisogno di trovare quel rispetto di sè che il regime ha cancellato.
In questo romanzo della Muller - Premio Nobel 2010 - la scrittura densa e frammentata reca ancora in se, in maniera forte e dolorosa, gli echi di una dittatura che ha annichilito l'anima di centinaia di migliaia di rumeni, che ha strappato loro il diritto alla speranza. Un romanzo non facile, questo. E' ostico, problematico, talvolta di difficile lettura. Periodi spezzati, frasi secche e feroci, aggettivazione ridotta al minimo. Alla fine della narrazione, il lettore è consumato da un senso di vuoto e di oppressione che inducono alla riflessione, cosa non facile visto che, per nostra fortuna, è lontana negli anni l'esperienza del totalitarismo fascista. Perchè la ricerca della felicità diviene il compito più gravoso e immane che un essere umano possa affrontare, quando un regime totalitario cerca di investigare non solo nella tua vita, ma anche e sopratutto nella tua anima.
Il romanzo non narra una vera e propria storia. E' un quadro sfuggente e drammatico che focalizza l'attenzione su ciò che un regime può fare, su come si possa devastare la vita di un'intera nazione attraverso il controllo, i sospetti, l'uso sistematico della tortura, del sospetto, dell'umiliazione. Priva di un lavoro, incapace di agire in modo eclatante, la protagonista si rassegna a vivere fuggendo in se stessa. Fantasia e ricordi si trasformano in una fune cui aggrapparsi in una via di fuga perfetta che le consenste di sopravvivere anche agli estenuanti incontri con Albu o di superare l'abbrutimento e stenti che condivide con Paul, il compagno.
Una deunincia lucida e disperata di un furto di un'identità, tracciata con mano sicura attraverso una scrittura nervosa, che a tratti appare scoordinata e complessa ma che in realtà è abilmente costruita, che a tratti ricorda Joyce e le sue digressioni a metà tra l'onirico e il ricordo. Un romanzo duro, che lascia addosso una grande amarezza, che induce a riflessioni sulla nostra libertà e sull'uso che ne facciamo, sulla capacità di resistenza degli esseri umani. Perché, nonostante tutto, la durezza di questo romanzo è temperata dal disperato bisogno di amore e di normalità che ha la protagonista, che non smette mai di lottare fino alla fine per proteggere la sua idendtità da chi vuol renderla solo un nome. Un romanzo desolante e intensissimo.