RECENSIONEQuando ci si trova di fronte alla descrizione di sentimenti ed emozioni regressivi – nel senso buono del termine – non è facile eludere la banalità ed il sentimentalismo smielato. Nataša Dragnić ci è riuscita in pieno, ed è ancora più difficile descrivere cosa si prova nel leggere un libro così delicato, che riporta quasi maieuticamente alla memoria sensazioni che tutti noi abbiamo provato, da piccolissimi, soprattutto i primi giorni di scuola. Il distacco dalla mamma e dalla famiglia, la nascita di un fratellino o di una sorellina, la sensazione strana e nuova del primo innamoramento, una sensazione sopraffacente. Tutto come succede a Luka, il protagonista: il padre lo portava sempre a pescare su una barchetta, con sé i suoi preziosi colori e tanti indovinelli ai quali lui sapeva sempre rispondere. Poi la scuola materna, la nascita della sorellina Ana, i genitori che si allontanano, lui si rifugia in quello che ama più fare: colorare e disegnare. Un bel giorno ecco che arriva a scuola Dora, Dorice come la chiama affettuosamente sua madre ed è talmente forte l’emozione che dopo averla fissata fino a farsi lacrimare gli occhi sviene. E’ difficile spiegarsi cosa succede a cinque anni quando si stanno facendo i primi passi fuori casa e quando l’affetto prende forme diverse da quelle ristrette della famiglia. Sono quegli sconvolgimenti che normalmente sfociano in un arrivare a casa e rimanere in silenzio, conservare il segreto per sé oppure andare dritti dalla mamma e dirle che ci si è fidanzati, unilateralmente si sa (l’altro/a non sa niente di essere fidanzato con te!). Se si è maschietti e particolarmente coraggiosi, si chiede alla mamma se può regalarci un suo anello – un fidanzamento senza anello… Vogliamo scherzare? – se si è femminucce si dice, come Dora, che il bambino di cui si è innamorate “è il nostro principe azzurro”, lo “amiamo”, e dopo essere andate in giro per giorni e giorni incuranti di avere la faccia sporca di gelato, guarda caso cominciamo a scegliere un vestitino piuttosto che un altro… Dora, nello specifico, cresce man mano insieme a Luka, il suo principe. Ed il mare, che amano tanto, fà da sfondo alla loro crescita ed alla loro separazione: lei a Parigi, diventa una attrice affermata, lui, dopo la morte della madre, accetta il consiglio di una insegnante che lo spinge a coltivare il suo talento e diventare un pittore. Non una volta si ritrovano, e si separano, ma tante: quando lui la raggiunge a Parigi (si sono incontrati per caso ad una mostra) e non riesce a distaccarsene e quando lei ciclicamente torna in Croazia: lui ha fatto un matrimonio sbagliato, lei ha la sua vita ma non riescono a dimenticarsi, sono un tutt’uno da quel primo giorno d’asilo. Fino all’epilogo, all’ennesima volta che si ricongiungono, dopo sedici anni dall’ultima. Sarà quella definitiva? L’autrice ha formulato un vero e proprio incantesimo: ha evocato ricordi tra i più belli e condivisi da tutto il genere umano; quelli che riviviamo attraverso foto che ci ritraggono con il grembiule ed il fiocco, seduti ai banchi di scuola (parlo di chi, come me, è nato negli anni sessanta, da dove inizia la storia di questo libro). Ricordi che si riaffacciano quando sono i figli ed i nipoti a riproporceli ciclicamente.
Difficili, ripeto, da catturare con le parole in un libro. Piccoli flashback e ripetizione di frasi e parole: Luka che ripete, alla fine di alcuni capitoli “Filiamocela di qui”, ma poi sembra non averne mai il coraggio. La loro non è una volgare storia di adulterio: hanno perso più volte un treno, come si dice in gergo, che per loro sembra comunque continuare a ripassare (cosa che normalmente non succede). Ed ogni volta che lui la rivede è come la prima: una sensazione di vertigine, a volte sviene di nuovo, ma ci viene il dubbio che lo faccia per sentirsi nuovamente ripetere “che è il suo principe”. Nataša Dragnić non è andata a cercare ambientazioni che le fossero sconosciute: ha scelto la sua terra, bellissima e travagliata (negli anni novanta il protagonista parteciperà anche alla guerra che ha dilaniato il suo Paese). Per dipingere le emozioni del passato è stata un’ottima scelta, questa della location, poiché ha permesso forse di interiorizzare maggiormente un “patrimonio” così personale ed intimo, ma al contempo altamente condiviso da riuscire a toccare qualsiasi lettore. Che bello leggere questo libro! Ecco, l’ho scritto proprio come in preda ad un atteggiamento regressivo, ma spero mi perdoniate perché, anche se non faccio nomi, grazie a questo libro, mi sono ricordata di quello che credevo fosse il mio principe azzurro. Se la vostra era una principessa, fà lo stesso: immaginatevi di nuovo con la valigetta dei colori in mano, in cerca di un anellino, magari anche finto, trovato nelle patatine o nelle noccioline (come su Colazione da Tiffany), da regalarle. Quello che conta è l’emozione forte ed incancellabile che “il regale incontro” ha portato con sé.BOOKTRAILER