Recensione: Out Of My Mind - Ho 11 anni e non ho mai parlato, di Sharon M. Draper

Creato il 16 marzo 2014 da Mik_94
Buongiorno a tutti, amici. Come state? Qui tutto bene. In questo weekend di solitudine, lontano da casa, credo che coglierò l'opportunità per recuperare qualche episodio della cara, vecchia Veronica Mars: ieri ho visto il film – e ve ne parlerò al più presto – e mi è proprio piaciuto. Carinissimo! Oggi, comunque, vi parlo della mia ultima lettura. Un romanzo indubbiamente interessante, un tema importante, ma su cui – tuttavia – ho avuto qualcosina da ridire. Augurandovi buona domenica e ringraziando la gentilissima casa editrice, vi abbraccio. M. I pensieri necessitano di parole. Le parole necessitano di una voce. Io amo il profumo dei capelli di mamma appena lavati. Io amo la sensazione della barba di papà prima di rasarsi. Ma io non sono mai stata capace di raccontare tutto questo ai miei genitori.
Titolo: Out of my mind – Ho 11 anni e non ho mai parlato Autrice: Sharon M. Draper Editore: Edizioni Anordest Numero di pagine: 240 Prezzo: € 13,90 Sinossi: Melody non è come gli altri bambini. Non può camminare, né parlare, ma ha una formidabile memoria fotografica; si ricorda ogni minimo dettaglio di tutto ciò che vive. È più intelligente della maggior parte degli adulti che provano a curarla e più intelligente dei suoi compagni di scuola. La maggior parte del tempo, però, Melody si sente come un uccellino in gabbia; è in grado di osservare il mondo intorno, ma non riesce ad interagire con esso. Sono tante le parole e i sentimenti che si accumulano e restano intrappolati dentro di lei. Ma Melody si rifiuta di essere definita cerebralmente paralizzata. Ed è determinata a farlo sapere a tutti... in qualche modo. L'autrice conosce bene l'argomento in quanto anche sua figlia Wendy è paralizzata cerebralmente. E anche se Melody non è Wendy, la veridicità della storia è lampante. Raccontato dalla voce di Melody, questo romanzo commovente da subito fa risaltare la sua intelligenza e la sua determinazione a superare quegli ostacoli che paiono insormontabili.                                                   La recensione La normalità non esiste.” Noi viviamo di parole. Adesso, immaginate se non le avessimo. Non potremmo dire alla persona che ci piace quanto sia bello il suo sorriso, non potremmo dire ai nostri genitori quanto profondamente li amiamo, non potremmo vivere nel mondo. Semplicemente, moriremmo dentro. Le parole sono vita, in fondo. Melody ha undici anni e non ha mai parlato. Conosce milioni e milioni di vocaboli e lemmi, gioca a memorizzare a tempo record i numeri verdi delle pubblicità, sa a memoria i versi delle sue poesie preferite, ama la musica e le emozioni uniche che le note trasmettono. Eppure niente, le sue labbra rimangono mute. E' prigioniera della malattia, mentre il mondo le esplode dentro. Boati, scosse sismiche, eruzioni emotive che all'esterno non arrivano. Nascono dentro, riecheggiano dentro. Melody ha un nome che è musica, ma il destino ha una grottesca ironia. Lei è l'opposto della musica. Lei è un film muto, pellicola consumata. Un soprammobile pieno di difetti di fabbrica. I suoi pensieri, tuttavia, dicono altro. Perché lei pensa e, in questo romanzo, sono i suoi pensieri a parlare in sua vece. Il lettore non può che immaginare una bambina come tante, perfino più sveglia della media – i vestiti abbinati alle scarpe, lo zaino delle Barbie, il primo cellulare, la danza ritmica, il primissimo fidanzatino. La sua voce lieve, buffa, onesta abbozza i tratti tondeggianti di una bimba felice. E' un peccato avere undici anni ed essere tristi: la vita è lunga, infatti, e per il dolore e il rimpianto c'è sempre tempo. Invece no. La verità è un'altra. Melody è una di quelle persone che sono nate all'improvviso, mentre Dio non guardava. Venuta al mondo senza la benedizione dell'Altissimo. Non è solo autistica, come inizialmente immaginavo, ma è paraplegica. Una di quelle bambine scomposte, dalle ossa fragili, accartocciate sulla loro sedia a rotelle come gamberetti. Un filo di bava sulla bocca, lo sguardo vuoto, l'incapacità di mangiare senza sporcarsi e di usare il bagno da soli, senza accompagnatori. Lei sa che chi la guarda pensa a un guscio vuoto. Lì dentro, in quel corpo strano, non c'è nessuno. Toc, toc... Melody è in casa, ma non può andare alla porta e lasciare che qualcuno entri nel suo universo. Mamma e papà sono due ordinari supereroi e hanno creato, nonostante la paura di un altro sbaglio genetico, un'altra figlia, Penny, che è piccola, profumata, colorata e perfetta. Le hanno comprato un computer che parla e perfino un'amica vera, che da semplice baby-sitter è diventata il personale guru della porta accanto della nostra protagonista. Ma in questa storia ci sono adulti affettuosi e adulti inensibili, persone buone e persone cattive. Le maestre e i dottori guardano Melody con occhio clinico. La scuola è un zoo e lei è l'esemplare più strano che ci sia: in gabbia da quando è nata, si è nutrita di parole e si è resa conto di non avere i mezzi necessari per condividerle.  Vive l'età in cui i bambini sono cattivi, come pappagalli indiscreti e scimmie curiose. Non hanno peli sulla lingua, sono egoisti e, ingenuamente, ripetono tutto quello che sentono. Non hanno opinioni loro, ma vanno formando le loro coscienze di futuri adulti. Out of my mind è una storia che si sviluppa tra tenerezza e crudeltà. Un'idea interessante, per un intreccio elementare, ma tutt'altro che stucchevole ed edulcorato. Coraggioso, drammatico, ma – a volte – non abbastanza. Ha incredibili picchi di sincerità, pagine che trapelano commozione, ma – in alcuni momenti – ho trovato il piglio di Sharon M. Draper un po' statico. Scarico. Mi aspettavo che questo romanzo sapesse scuotermi nel profondo, invece è così breve, così scorrevole, così veloce che i tremolii sono solo superficiali e i solchi non sono destinati a rimanere aperti poi tanto a lungo. Mi aspettavo che mi artigliasse lo stomaco forte. Sensazioni, necessità, queste, che sono state, purtroppo, deluse. La Draper, che ha un figlio nelle condizioni della piccola Melody, ci va cauta: ha la scrittura cristallina delle autrici di romanzi per bambini di una volta e sembra essere legata a un certo tipo di narrativa. Mette tanto di personale, probabilmente, nelle descrizioni delle giornate della protagonista – tra scuola, studio, famiglia - ; personalità, però, che manca nella più intima essenza di Out of my mind. Un romanzo che ha tanta anima, ma poca sostanza, secondo me. E mi struggo al pensiero di quanto indimenticabile potesse, invece, essere. Bastavano pochi accorgimenti nel plot; bastava uno stile incisivo, accattivante, sperimentale. Non una cosetta da nulla, e lo so. Ma quanto sarebbe stato bello se al posto dei pensieri semplici semplici della Draper ci fosse stato un meraviglioso caos di sensazioni, pulsioni, frasi, parole? Melody non parla. Melody è arrabbiata. Melody urla, piange, fa facce strane quando vorrebbe comunicare a chi le è accanto qualcosa di importante. In Out of my mind – che dovrebbe avere la sua voce – non c'è quel naturale scompiglio, quel fare battagliero di eroina confusa e costretta a forza alla cattività. Il tutto è molto sobrio, molto... "americano". I quiz a premi, le gare di spelling le battaglie tra piccoli geni e i laboratori pomeridiani ricordano vecchi film - Il mio piccolo genio, Una parola per un sogno, Il quiz dell'amore. A un certo punto, inevitabilmente, si è creata una scissione tra com'era il romanzo e tra come avrei voluto, invece, che fosse stato. Educativo e a modo, comunque, fa riflettere su come reagiamo davanti alla malattia. Quando incontriamo una persona con degli handicap fisici, le cediamo il nostro posto a sedere o evitiamo il loro sguardo, come si fa con gli animali morti lungo l'autostrada? Che possiamo offrire loro: pietà o indifferenza? Out of my mind invita ad offrire amicizia. Semplicemente. Ad accontenarci di quello che abbiamo, anche se ci sembra poco. A guardare il bicchiere, sul bordo del tavolo, e a considerarlo mezzo pieno. Il mio voto: ★★★ (-) Il mio consiglio musicale: Cyndi Lauper – True Colors (Glee Version)

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